Il deputato della Lega Claudio Borghi, nell’ambito di una discussione su Twitter circa i prestiti che il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) può dare agli Stati, il 15 aprile ha scritto che anche i soldi che verrebbero dati all’Italia per far fronte all’emergenza coronavirus «poi (…) li dovremmo restituire! Con condizioni e creditore privilegiato», e che «non ci restituiscono la nostra quota».

L’affermazione è sostanzialmente corretta. Andiamo a vedere i dettagli.

Di quanti soldi stiamo parlando

La discussione su Twitter di cui si è sopra detto ha preso le mosse da un tweet di Borghi, sempre del 15 aprile, in cui si parla di «35 miliardi del Mes».

Questa cifra è una stima, che si basa sulla proposta avanzata dall’Eurogruppo del 9 aprile di modificare uno degli strumenti a disposizione del Mes – le linee di credito rafforzate (Enhanced conditions credit line, o Eccl) – per far fronte alla crisi economica legata all’epidemia di coronavirus.

Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, la proposta è di eliminare le condizioni che a oggi vengono imposte agli Stati che fanno richiesta di accesso alle Eccl (in particolare “misure correttive”, cioè riforme, la cui attuazione viene poi monitorata dal Mes stesso) e di dare un aiuto economico che può arrivare fino a massimo il 2 per cento del Pil del 2019 dello Stato richiedente, a patto che questo denaro venga usato esclusivamente per le spese sanitarie legate all’emergenza coronavirus.

Considerato che il Pil dell’Italia nel 2019 è stato pari a 1.787 miliardi di euro, il 2 per cento ammonta a poco meno di 35,7 miliardi. Circa la cifra citata da Borghi.

Questa proposta dell’Eurogruppo dovrà poi essere approvata dal Consiglio europeo (cosa che potrebbe accadere già il prossimo 23 aprile) e, per diventare effettiva, richiede la modifica della normativa comunitaria esistente.

Si tratta di un prestito

Come è chiaro fin dal loro nome, le “linee di credito rafforzate” (Eccl) sono un credito, cioè un prestito, che il Mes può dare agli Stati. Come tutti i prestiti, prima o poi va restituito (il “quando” viene normalmente negoziato con lo Stato richiedente).

Ad oggi le Eccl non sono mai state utilizzate da nessuno Stato e quindi non abbiamo precedenti a cui guardare ma, ad esempio, il prestito dato con un altro strumento (i “Prestiti nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico”) dal Mes alla Grecia è previsto venga restituito (a seconda delle tranche) in 30-40 anni.

Il vantaggio dei prestiti del Mes è che applicano interessi ai debitori solitamente più bassi di quelli altrimenti richiesti sui mercati finanziari internazionali.

Il Mes è un creditore privilegiato

Come correttamente sostenuto da Borghi, il Mes è un creditore privilegiato. Cioè il suo prestito deve essere ripagato prima rispetto ai prestiti dati eventualmente da altri soggetti (tranne che dal Fondo monetario internazionale, che è a sua volta un creditore privilegiato e con precedenza sul Mes). Questo “status” di creditore privilegiato è stabilito direttamente dal “Considerando” numero 13 del Trattato che istituisce il Mes.

In teoria questo “privilegio”, come ha sostenuto (min. -0.40) ad esempio il leader di Azione Carlo Calenda il 4 aprile, potrebbe produrre conseguenze negative per uno Stato che chieda un prestito al Mes, ma non abbia perso completamente la capacità di finanziarsi emettendo proprio debito pubblico (cosa che stava succedendo ad alcuni Stati, ad esempio la Grecia, con la crisi dei debiti sovrani in Europa nel 2010).

Gli investitori privati che volessero acquistare titoli del debito pubblico saprebbero infatti che il proprio credito sarebbe subordinato a quello del Mes e quindi potrebbero chiedere interessi più alti, considerato il rischio maggiore di cui si stanno facendo carico accettando di essere pagati “dopo”.

Tuttavia un prestito di poco meno di 36 miliardi di euro, a fronte di un debito pubblico di più di 2.400 miliardi di euro (2.445 a novembre 2019, ultimo dato disponibile di Banca d’Italia), corrisponde all’1,5 per cento del totale e non dovrebbe quindi avere un particolare impatto sugli interessi dei titoli di Stato.

E le condizioni?

Borghi parla anche di «condizioni» oltre che di creditore privilegiato. Sul punto al momento è impossibile avere certezze. Stiamo parlando di una proposta, pure formulata in una sede autorevole come l’Eurogruppo, che non non si è ancora tradotta in atti normativi ufficiali.

Da quel che si legge (punto 16) nelle conclusioni dell’Eurogruppo del 9 aprile, l’«unica condizione» che dovrebbe essere prevista per accedere a questa nuova forma di prestito del Mes è che i soldi vengano spesi solo per le spese sanitarie.

Subito dopo però si legge anche che «saranno seguite le disposizioni del Trattato Mes», che normalmente pongono condizioni e controlli.

Si dovrà insomma attendere di vedere se e come il Trattato che istituisce il Mes verrà modificato, se in effetti non saranno poste condizioni a parte il vincolo di destinazione del prestito in spese sanitarie legate all’emergenza coronavirus, e come il Mes stesso potrà verificare che i soldi dati non vengano usati in altro modo dallo Stato richiedente.

Non ci restituiranno la nostra quota

Borghi infine dice che all’Italia non verrà restituita la sua quota. Precisiamo subito di cosa si sta parlando: il Mes ha un capitale teorico di oltre 700 miliardi di euro e l’Italia, con 14,33 miliardi di euro versati e altri 125,4 miliardi sottoscritti, è il terzo contributore, dietro a Germania e Francia. I contributi al Mes sono stabiliti in proporzione al Pil degli Stati e quello italiano è il terzo dell’Eurozona. Dunque la “quota” di cui si sta parlando sono i 14 miliardi circa già versati dall’Italia.

La non restituzione di cui parla Borghi si può leggere in due modi, entrambi corretti. Da un lato è infatti vero che se l’Italia un domani chiedesse di poter usare il nuovo strumento del Mes proposto dall’Eurogruppo, non riceverebbe indietro la quota versata. Questa resterebbe parte del capitale del Mes. I soldi che riceverebbe l’Italia verrebbero raccolti dal Mes sui mercati finanziari, attraverso la vendita dei titoli che emetterebbe lo stesso Mes e che sarebbero garantiti appunto dal capitale versato (e sottoscritto) dai vari Stati.

Dall’altro lato è anche vero, come abbiamo scritto, che l’Italia non può farsi restituire la quota versata se non uscendo dal Mes e, considerato che questo è uno strumento permanente che impegna tutti i Paesi dell’area euro, sarebbe necessario uscire dall’euro – e in teoria anche dall’Unione europea – per poter avanzare una richiesta di restituzione.

Il verdetto

Il deputato della Lega Claudio Borghi il 14 aprile ha scritto su Twitter che i soldi ricevuti dal Mes, anche tramite lo strumento proposto dall’Eurogruppo e di cui ancora non sono noti i dettagli, andrebbero restituiti, che ci sarebbero condizioni, che il Mes è un creditore privilegiato e che la quota versata dall’Italia non verrebbe comunque restituita.

Al netto delle incertezze che dipendono dalla mancanza di dettagli sulla proposta dell’Eurogruppo e dal fatto che questa proposta debba ancora essere concretizzata in un intervento normativo, Borghi ha sostanzialmente ragione.

Quello del Mes sarebbe infatti un prestito, che quindi andrebbe un domani restituito. È poi vero che il Mes sia un creditore privilegiato (rispetto a tutti gli altri creditori tranne che il Fmi) e che la quota versata dall’Italia non verrebbe restituita, né se chiedesse il prestito in questione, né in generale se ne facesse richiesta (a meno di non voler ipotizzare un’uscita dall’euro e forse anche dalla Ue).

Sull’esistenza di condizioni ad oggi mancano testi normativi che ufficializzino e dettaglino la proposta dell’Eurogruppo. Da quel che c’è scritto nelle conclusioni dell’Eurogruppo sembra che l’unica condizione prevista sia l’utilizzo del prestito per pagare solo ed esclusivamente le spese sanitarie collegate all’emergenza creata dal coronavirus. Quindi bisognerà aspettare i prossimi sviluppi in Europa prima di avere certezze su questo specifico punto.

Nel complesso comunque per Borghi un “Vero”.