L’8 aprile la senatrice della Lega Lucia Borgonzoni ha attaccato su Facebook il governo Pd-M5s, a detta sua colpevole di ipocrisia per aver approvato un decreto che vieta gli sbarchi ai migranti in Italia, in linea con le posizioni per cui era stato fortemente criticato Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno.

«Adesso viene fuori che avevamo ragione noi…porti chiusi», ha scritto Borgonzoni, aggiungendo che l’esecutivo avrebbe giustificato il provvedimento «con la dichiarazione che siamo diventati noi, porto non sicuro».

Ma davvero il governo ha chiuso i porti ai migranti? E con che motivazioni? Abbiamo verificato.

Che cosa prevede il decreto del governo

L’8 aprile la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli (Pd), il ministro della Salute Roberto Speranza (LeU), la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (M5s) hanno firmato un decreto che impedisce alle navi battenti bandiera straniera che salvano migranti al di fuori della zona di Search and Rescue (Sar) italiana di portare i migranti nei porti italiani.

Il primo articolo del decreto infatti stabilisce che «per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e la definizione di Place of safety (“luogo sicuro”) (…), per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area Sar italiana».

Il secondo, e ultimo, articolo del decreto sottolinea poi che il provvedimento vale fino al termine dello stato d’emergenza per l’epidemia di coronavirus, deliberata il 31 gennaio scorso dal Consiglio dei ministri fino al prossimo 31 luglio.

In sostanza, le navi straniere (Ong e non solo) che salvano migranti nelle zone di Search and Rescue (Sar) non italiane – ossia dove il nostro Paese non è tenuto a condurre operazioni di soccorso e salvataggio – non potranno chiedere all’Italia di farsi carico delle persone salvate. Discorso diverso vale invece per i salvataggi avvenuti nella Sar italiana, quindi sotto il coordinamento dell’Italia (a prescindere dalla nazionalità della nave).

Come ha spiegato un approfondimento di Questione Giustizia (la rivista di Magistratura democratica) del 2018, il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali sul mare stabiliscono il dovere di far sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (il place of safety citato dal decreto).

Con questa espressione, spiega Questione Giustizia, si intende un luogo dove «la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata» e dove «le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte».

Secondo il governo, dunque, l’epidemia di nuovo coronavirus in Italia metterebbe, in un certo senso, a rischio la sicurezza dei migranti salvati, tra i quali oltretutto – si legge nel decreto – «non può escludersi la presenza di casi di contagio da Covid-19».

Il provvedimento sostiene inoltre che l’attuale sovraccarico del sistema sanitario nazionale non permetterebbe di fornire “porti sicuri” senza compromettere ulteriormente l’attività di medici e di «tutto il personale sanitario».

Nelle premesse del decreto, il governo scrive poi esplicitamente che «le attività essenziali e di soccorso da attuarsi nel “porto sicuro”» possono essere assicurate dai Paesi di cui le navi battono bandiera: per esempio dalla Germania, per una nave con bandiera tedesca, o dai Paesi Bassi, per una nave con bandiera olandese (un suggerimento che in passato era più volte arrivato anche da Salvini).

Se gli altri Paesi europei, colpiti dall’epidemia e con una Sar, dovessero adottare un decreto analogo, in base al principio di reciprocità, potrebbe accadere che una nave italiana che avesse operato un salvataggio in una Sar straniera, venga indirizzata verso l’Italia per far sbarcare i migranti.

Le critiche al decreto

Il nuovo decreto ha già ricevuto diverse critiche, tra cui ad esempio alcune provenienti dall’interno del Pd.

«Chiudere i porti a chi salva vite era inaccettabile quando lo faceva Salvini, lo è anche oggi», ha scritto l’8 aprile su Twitter Matteo Orfini, ex presidente del Pd. «Si può garantire la sicurezza ad esempio con la quarantena a bordo della nave. Non rinunciamo a salvare vite, soprattutto in giorni in cui tutti misuriamo l’importanza della solidarietà».

«Le Ong Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea esprimono la propria preoccupazione per la decisione del governo italiano di strumentalizzare la situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti alle persone salvate in mare da navi straniere, riferendosi ancora una volta, di fatto alle navi civili di ricerca e soccorso», hanno invece commentato con un comunicato alcune delle principali Ong.

Le stesse organizzazioni umanitarie hanno inoltre spiegato di non essere attive al momento nel Mediterraneo e che stanno riorganizzando i propri assetti e le proprie operazioni «per adeguarsi alle misure sanitarie di prevenzione e risposta a Covid-19».

Ricapitolando: è vero come dice Borgonzoni che il governo Pd-M5s ha approvato un provvedimento per chiudere di fatto i porti italiani, considerati in questo momento “non sicuri” per l’emergenza coronavirus, alle navi straniere che salvano i migranti in mare, nella zona Sar non italiana.

Questo decreto è (parzialmente) in linea con quanto richiesto da Salvini nei mesi scorsi e con quanto fatto da leader della Lega da ministro dell’Interno quando, prima con singole direttive e poi con il decreto “Sicurezza bis”, aveva impedito gli sbarchi a diverse navi Ong.

Ma questo era avvenuto, a detta di Salvini, per limitare le partenze dalla Libia – nonostante non ci sia ad oggi una correlazione tra la presenza delle Ong in mare e il numero degli arrivi – e non perché era in corso un’emergenza sanitaria nazionale. Dunque in una situazione significativamente diversa.

In ogni caso il decreto riguarda gli sbarchi coordinati dalle autorità ma non può intervenire su quelli “autonomi”, che in questi giorni – seppure in misura minore rispetto al passato – continuano a esserci.

Il verdetto

Secondo Lucia Borgonzoni, il governo Conte II ha chiuso i porti ai migranti salvati in mare «con la dichiarazione che siamo diventati noi, porto non sicuro». Al netto di alcune osservazioni, l’ex candidata alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha ragione.

Con un decreto congiunto di quattro ministeri – criticato da alcune Ong e anche da alcuni esponenti della maggioranza – l’esecutivo Pd-M5s ha stabilito che le navi straniere che salvano i naufraghi nella zona Sar non italiana non possono sbarcare nei porti italiani, considerati non sicuri a causa dell’emergenza coronavirus.

Questo provvedimento è in un certo senso in continuità con quanto fatto da Matteo Salvini quando era al Viminale, anche se in quel caso la politica restrittiva nei confronti dell’immigrazione non era stata giustificata dall’allora governo Lega-M5s con la presenza di un’emergenza sanitaria. La differenza è insomma quella tra una politica “ordinaria” che prescinde da una situazione emergenziale, e una “straordinaria” che si prevede fin da subito sia limitata nel tempo.

In conclusione, Borgonzoni si merita un “C’eri quasi”.