Il 13 febbraio la pagina Facebook dei deputati del Partito democratico ha pubblicato una dichiarazione dell’ex ministro Graziano Delrio, secondo cui «se continua il trend negativo della natalità, perderemo fino a 15 punti di Pil in 20 anni».

Da dove vengono questi numeri? È una previsione affidabile? Abbiamo verificato.

In Italia ci sono sempre meno nascite

L’11 febbraio l’Istat ha pubblicato il primo rapporto con i dati provvisori sui principali indicatori demografici del nostro Paese relativi al 2019.

Il quadro del 2019 è in linea con quanto registrato negli anni più recenti, scrive l’Istat. Lo scorso anno la popolazione è scesa a 60 milioni e 317 mila unità (dato aggiornato al 1° gennaio 2020), con un calo di 116 mila residenti e con un trend negativo che dura ormai da cinque anni consecutivi. A inizio 2015 la popolazione residente contava quasi 60,8 milioni di unità.

«Le evidenze documentano ancora una volta bassi livelli fecondità», sottolinea l’Istat e «un regolare quanto atteso aumento della speranza di vita»,

Per quanto riguarda le 435 mila nascite del 2019, l’Istituto nazionale di statistica ha rilevato che si tratta del dato «più basso mai riscontrato nel Paese». Nonostante questo record negativo, nel 2019 la fecondità è rimasta costante rispetto al 2018, ossia 1,29 figli per donna. Un «rilevante contributo alla natalità», segnala l’Istat, è arrivato dalle nascite di madre straniera: 85 mila, circa un quinto sul totale.

Il ricambio per ogni 100 residenti morti, inoltre, è oggi assicurato da appena 67 neonati, mentre dieci anni fa era pari a 96.

Ma quali potranno essere le conseguenze di questo trend negativo delle nascite sull’economia del nostro Paese?

Denatalità e calo del Pil

Il 21 dicembre 2019, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un articolo intitolato “Troppo vecchia l’Italia tra 20 anni. Il Pil crollerà del 15%”, che riporta gli stessi dati citati da Delrio nella sua dichiarazione.

«Studio Bankitalia: nel 2041 ci saranno 1,2 milioni di residenti in meno e 6 milioni di pensionati in più – specifica il sottotitolo – mentre il flusso degli arrivi si è fermato».

Ma a quale studio sta facendo riferimento l’articolo di Repubblica? Nel testo dell’articolo si legge che «a questi risultati arrivano i ricercatori della Banca d’Italia che hanno rielaborato per sottoperiodi un loro recente studio, avvertendoci sui rischi depressivi del declino demografico italiano».

Lo studio in questione – come confermato a Pagella Politica dalla Banca d’Italia – è stato pubblicato a marzo 2018. Tre ricercatori della banca centrale italiana si sono posti una domanda molto semplice: sulla base di quanto avvenuto nell’andamento demografico del passato, che cosa accadrà nei prossimi decenni all’economia e alla ricchezza dell’Italia?

I tre ricercatori arrivano alla conclusione che l’effetto delle dinamiche demografiche «determinerebbe in 45 anni un calo del Pil del 24,4 per cento rispetto ai livelli del 2016 e del 16,2 per cento in termini pro capite (-0,4 medio annuo), a parità di altre condizioni».

Le cose non cambierebbero di molto neppure se si ipotizzassero scenari alternativi, per esempio con un ritorno a livelli di occupazione precedenti alla crisi economica del 2008. In 45 anni, inoltre, il Pil dell’Italia si dimezzerebbe (-50 per cento) «se si azzerassero i flussi migratori futuri e la componente di popolazione straniera già residente in Italia al 2016 assumesse parametri demografici (e.g. fertilità) identici a quelli dei nativi italiani».

Nella seconda parte dello studio, vengono poi elencati alcuni elementi su cui si potrebbe agire per contrastare il possibile calo del Pil nei prossimi decenni: l’estensione della vita lavorativa, l’aumento dell’occupazione femminile e l’innalzamento dei livelli di istruzione.

Oltre a questi tre fattori, «in modo diretto, ma differito, anche un aumento della natalità potrebbe contribuire all’incremento della popolazione in età lavorativa», scrivono in una nota a piè di pagina i ricercatori, che però nei loro calcoli utilizzano le previsioni ufficiali dell’Istat sulla natalità futura, che presentano un «quadro di sostanziale stazionarietà».

E nei prossimi 20 anni?

In tutto questo, da dove viene la previsione di Delrio sulla perdita di «fino a 15 punti di Pil in 20 anni»?

Lo studio della Banca d’Italia prende come orizzonte temporale per le sue previsioni il 2061, e non il 2041. Quest’ultimo nella ricerca viene citato solo come l’anno in cui – secondo i trend attuali – anche il contributo all’economia dell’immigrazione diverrebbe negativo. In parole semplici, il problema dell’invecchiamento che oggi coinvolge gli italiani ma non gli stranieri, tra 20 anni sarà un problema comune.

In riferimento ai prossimi 20 anni, l’articolo di Repubblica parla di rielaborazioni «per sottoperiodi» fatte dagli studiosi, ma questa rielaborazione ci è stata smentita dagli stessi ricercatori della Banca d’Italia.

«Sulla base dei dati e dei metodi da utilizzati, il nostro esercizio (che, ci teniamo a sottolinearlo, non è una previsione ma è l’elaborazione di uno scenario tendenziale puramente ipotetico che ci fa capire verso quale direzione spingano le forze demografiche) non si presta bene a “sezionamenti” per sottoperiodi», ha spiegato via email a Pagella Politica Matteo Gomellini, economista e ricercatore della Banca d’Italia. «Le elaborazioni per periodi intermedi […] – pur non irragionevoli – non sono nostre».

Ricapitolando: è vero che secondo i calcoli della Banca d’Italia, se il quadro demografico italiano non cambierà, entro il 2061 il Pil del nostro Paese potrebbe rischiare di diminuire quasi del 25 per cento rispetto ai livelli del 2016, ma non è possibile dire in base ai calcoli dei ricercatori se in 20 anni (ossia intorno al 2040) il “crollo” sarà del 15 per cento.

Il verdetto

Secondo Graziano Delrio, «se continua il trend negativo della natalità, perderemo fino a 15 punti di Pil in 20 anni». Abbiamo verificato e, anche se la frase fa riferimento a uno scenario futuro, qualcosa non torna.

Secondo i ricercatori della banca centrale italiana, nel 2061 le tendenze demografiche attuali del nostro Paese potrebbero portare a un calo del Pil del 24,4 per cento rispetto al 2016 (da un punto di vista metodologico, più che di una «previsione» bisogna parlare di «uno scenario tendenziale puramente ipotetico»).

La natalità però è solo uno dei possibili fattori compensativi – e per di più indiretto – per arginare questo calo: non l’unico e nemmeno il principale. I tre elementi presi in considerazione dallo studio per contenere la diminuzione del Pil riguardano l’estensione della vita lavorativa, l’aumento dell’occupazione femminile e l’innalzamento dei livelli di istruzione. Quindi collegare la perdita di Pil alla sola natalità è già di per sé un errore.

Inoltre, a differenza di quanto dice un articolo di Repubblica del dicembre 2019, che titola con gli stessi dati citati da Delrio, nessuno studio della Banca d’Italia parla di previsioni con un orizzonte temporale relativo ai prossimi 20 anni. Le previsioni sono sul 2061 e eventuali sezionamenti per sottoperiodi non sono state condotte scientificamente nello studio.

In conclusione, Delrio si merita un “Nì”.