Il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove il 5 febbraio ha condiviso sulla propria pagina Facebook un suo intervento alla Camera circa il trattato Italia-Colombia (siglato nel 2016) sul trasferimento delle persone condannate.

Nel testo che accompagna il video, Delmastro Delle Vedove ha scritto di aver approfittato dell’occasione «per ricordare che in Italia su 60.000 detenuti 20.000 sono stranieri e costano circa 1.000.000.000 di euro all’anno. Scontino la pena a casa loro, assaggino la civiltà giuridica delle loro patrie galere».

I numeri forniti sono sostanzialmente corretti ma, come vedremo, la proposta di far scontare ai detenuti stranieri la pena “a casa loro” incontra diversi limiti.

I detenuti stranieri in Italia

Al 31 gennaio 2020, secondo i dati del Ministero della Giustizia, erano presenti nelle carceri italiane 60.971 detenuti (a fronte di una capienza regolamentare di 50.692 posti: le nostre prigioni sono insomma sovraffollate).

Di questi i cittadini stranieri erano 19.841. Le principali nazionalità (al 31 dicembre 2019, quando i detenuti stranieri erano in totale 19.888, circa la stessa quantità) sono quelle marocchina (3.651 detenuti), albanese (2.402), rumena (2.386), tunisina (2.020) e nigeriana (1.665). I cittadini colombiani in carcere – interessati dal trattato sopra citato – erano 114.

Il costo, come avevamo scritto in una nostra precedente analisi, è di 137 euro al giorno per detenuto. Se moltiplichiamo i circa 20 mila detenuti stranieri per 137 euro per 365 giorni otteniamo un miliardo circa. Attenzione però: il costo giornaliero per detenuto è composto all’80 per cento dalle spese per il personale civile e di polizia penitenziaria. Dunque è improbabile che, anche se fosse possibile ridurre di 20 mila unità la popolazione carceraria, si potrebbe in effetti risparmiare un miliardo di euro.

Al di là di questo, i tre numeri citati da Delmastro Delle Vedove sono tutti corretti.

Passiamo ora alla questione del far scontare ai detenuti stranieri la pena “a casa loro”.

Carcere “a casa loro”?

Per far scontare la pena a un detenuto nel suo Paese di origine serve innanzitutto un accordo tra gli Stati, come quello dell’Italia con la Colombia da cui ha preso spunto Delmastro Delle Vedove, e non tutti i Paesi stranieri sono disposti a siglare intese di questo genere. Inoltre non con tutti i Paesi stranieri è possibile procedere al rimpatrio. In base al diritto internazionale e anche alla legge sull’introduzione del delitto di tortura del 14 luglio 2017, non si può infatti estradare una persona quando ci sono motivi fondati di ritenere che essa rischia di essere sottoposta a tortura.

Ma, anche ipotizzando che non ci siano rischi di trattamenti inumani per i detenuti stranieri “a casa loro” e che gli Stati di origine siano disposti a trovare accordi bilaterali con l’Italia, i limiti di questa soluzione non sarebbero finiti.

In base all’articolo 3 della Convenzione di Strasburgo del 1983, entrata in vigore in Italia nel 1989, una persona condannata può essere trasferita solo a determinate condizioni. In primo luogo la condanna deve essere definitiva. Già questo limita l’impatto, anche teorico, della possibilità di far scontare la pena ai cittadini stranieri nei Paesi di origine: su 20 mila circa che si trovavano in carcere al 31 dicembre 2019, più di un terzo (quasi 7 mila) erano dentro in quanto “indagati” sottoposti a misure cautelari, non in quanto “condannati”.

In secondo luogo, in base all’art. 3 della Convenzione di Strasburgo del 1983, la durata della pena che la persona condannata deve ancora scontare è di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento (con la Colombia è stato stabilito la pena residua sia di almeno un anno, salvo casi eccezionali). Al 31 dicembre 2019 i detenuti stranieri con meno di un anno di pena residua da scontare erano 3.630, tra un terzo e un quarto dei 12.815 detenuti stranieri condannati.

Infine, come stabilito ancora dalla Convenzione di Strasburgo del 1983 e ribadito anche dal trattato Italia-Colombia, è necessario il consenso del detenuto straniero al trasferimento. Non è insomma possibile procedere a rimpatri forzati: se i detenuti stranieri vogliono rimanere in carcere in Italia, in base al diritto internazionale, ci devono rimanere. Non è possibile obbligarli ad «assaggiare la civiltà giuridica delle loro patrie galere».

Il verdetto

Il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove ha dato una serie di numeri corretti sulla presenza di cittadini stranieri nelle carceri italiane: 20 mila detenuti su 60 mila totali, per un costo di circa 1 miliardo di euro. Per questo si merita un “Vero”.

Ha poi auspicato che i detenuti stranieri scontino la pena a casa loro. Questo è però molto complicato: servono accordi internazionali in materia e, anche quando ci sono, i limiti giuridici sono numerosi.

Inoltre l’impatto economico dei rimpatri non sarebbe proporzionato al costo “per persona” dei detenuti: quel “miliardo di euro” non verrebbe cioè probabilmente risparmiato nemmeno se si riuscisse nell’impresa (impossibile, da un punto di vista giuridico) di rimpatriare tutti i 20 mila detenuti stranieri oggi presenti nelle carceri italiane.