Il 15 gennaio 2020, la candidata del centrodestra alla presidenza della Regione Emilia-Romagna Lucia Borgonzoni (Lega) ha pubblicato su Facebook una «lettera aperta» che introduce al suo programma elettorale (qui consultabile).

Tra le «priorità» di una futura Giunta regionale a guida centrodestra, scrive Borgonzoni, ci sarebbe l’azzeramento dell’Irpef «come in Veneto».

Ma le cose stanno davvero così? In Veneto c’è «zero Irpef»? Abbiamo verificato e qualcosa non torna.

Irpef e regioni

Quando parla di «Irpef», Borgonzoni sta facendo riferimento a un aspetto specifico della fiscalità regionale, ossia quello relativo all’addizionale regionale all’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche), istituita nel 1998.

Questa imposta, spiega il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), «si applica al reddito complessivo determinato ai fini dell’Irpef e deve essere versata se per lo stesso anno risulta dovuta l’Irpef».

In sostanza, l’addizionale regionale all’Irpef – come suggerisce appunto il nome – è un’imposta che si aggiunge all’Irpef “nazionale” e che viene calcolata, come quest’ultima, sul reddito annuale.

Ogni singola regione può stabilire l’aliquota dell’addizionale Irpef entro i limiti fissati dalla legge statale, ma esiste un’aliquota di base, ossia un livello sotto il quale nessuna regione può andare. Nessuna regione può «azzerare» del tutto questa aliquota.

Dal 2012 l’aliquota di base dell’addizionale regionale Irpef è dell’1,23 per cento e a partire dal 2015 le 15 regioni a statuto ordinario, con singole leggi regionali, hanno potuto aumentarla al massimo di 2,1 punti percentuali (le regioni a statuto speciale possono aumentarla al massimo dello 0,5 per cento).

Ricapitolando: non è vero che l’addizionale regionale all’Irpef in Veneto vale «zero», ma ha un valore minimo di 1,23 per cento, il limite più basso imposto dallo Stato, che tutte le regioni a statuto ordinario devono rispettare. Non è insomma possibile, neanche volendo, per una regione a statuto ordinario scendere al di sotto di questo limite.

Ma che decisioni hanno preso negli anni Veneto ed Emilia-Romagna in questo ambito? Hanno sfruttato o meno la possibilità di alzare l’aliquota di base?

L’addizionale Irpef in Veneto ed Emilia-Romagna

Il Dipartimento delle finanze del Mef mette a disposizione una mappa interattiva con cui è possibile conoscere i vari livelli delle addizionali regionali all’Irpef nelle varie regioni d’Italia.

Nel 2019 i residenti in Veneto hanno pagato un’aliquota unica per l’addizionale regionale all’Irpef, pari all’1,23 per cento, ossia il valore dell’aliquota di base. Il Veneto, governato dal leghista Luca Zaia, ha dunque deciso di mantenere una tassazione uguale per tutti, al contrario di quanto fatto invece dall’Emilia-Romagna.

Lo scorso anno, nella regione guidata da Stefano Bonaccini del Partito democratico, l’addizionale regionale all’Irpef si pagava sulla base di cinque scaglioni: dell’1,33 per cento per la fascia di redditi fino a 15 mila euro; dell’1,93 per cento per la fascia di redditi oltre i 15 mila euro e fino a 28 mila euro; del 2,03 per cento per la fascia di redditi oltre i 28 mila euro e fino a 55 mila euro; del 2,23 per cento per la fascia di redditi oltre i 55 mila euro e fino a 75 mila euro; e del 2,33 per cento per la fascia di redditi oltre i 75 mila euro.

Nel 2019 il Veneto non è stata però l’unica regione ad avere un’aliquota unica per l’addizionale regionale all’Irpef, anche se come vedremo in effetti un primato ce l’ha.

Con un’aliquota unica ci sono anche l’Abruzzo (1,73 per cento), la Provincia autonoma di Bolzano (1,23 per cento), la Calabria (2,03 per cento), la Campania (2,03 per cento), la Sardegna (1,23 per cento), la Sicilia (1,23 per cento), la Provincia autonoma di Trento (1,23 per cento) e la Valle d’Aosta (1,23 per cento).

Insomma, oltre a due Province autonome e tre regioni a statuto speciale, quattro regioni italiane hanno un’aliquota unica per l’addizionale regionale all’Irpef, ma quella del Veneto ha il primato di essere la più bassa tra le regioni a statuto ordinario.

Le altre regioni, dalla Lombardia al Lazio, hanno tutte una struttura progressiva di aliquote a scaglioni, come l’Emilia-Romagna.

Il verdetto

Una delle promesse elettorali della candidata del centrodestra alla presidenza della Regione Emilia-Romagna Lucia Borgonzoni è quella di azzerare l’Irpef, «come in Veneto».

Per come è scritta, l’affermazione è sbagliata in ogni caso: da un lato promettere di azzerare l’Irpef significa promettere una cosa impossibile, e infatti non lo fa nemmeno il Veneto; dall’altro fare come il Veneto non significa azzerare l’Irpef, ma più semplicemente mantenere l’aliquota di base imposta dallo Stato (1,23 per cento).

In Veneto è infatti in vigore un’unica aliquota per questa imposta – che equivale al limite minimo imposto dallo Stato – come avviene anche in altre tre regioni a statuto ordinario (dove la percentuale dell’addizionale è però più alta).

In Emilia-Romagna, invece, l’addizionale regionale all’Irpef si paga sulla base di cinque scaglioni, a seconda della fascia di reddito d’appartenenza (anche nello scaglione più basso l’aliquota, pari all’1,33 per cento, è comunque più alta che in Veneto).

Insomma, è sbagliato dire che in Veneto l’Irpef è a «zero», anche se è vero che la regione guidata da Zaia non ha aumentato l’aliquota di base, come invece potrebbe in base alla legge.

Per questo motivo, Borgonzoni nel complesso si merita un “Nì”.