Il 19 novembre, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha commentato su Facebook la manovra finanziaria del governo, scrivendo che «realizziamo il più grande taglio di tasse degli ultimi tempi rispetto allo scenario a politiche invariate».

Conte fa una precisazione molto rilevante: le stime a “politiche invariate”, in parole semplici, indicano che cosa accadrebbe nei prossimi anni senza alcun intervento da parte del governo o del Parlamento, dunque in base alle norme già attualmente in vigore.

Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Il presidente Conte fa riferimento ai dati contenuti nel Documento programmatico di Bilancio (Dpb) per il 2020, che non solo descrive e quantifica gli effetti delle misure inserite nella manovra di Bilancio (che andrà approvata entro fine dicembre), ma contiene anche le proiezioni delle principali voci di entrata e di spesa dello Stato a politiche invariate. Valuta insomma che cosa sarebbe successo senza quegli interventi.

Per quanto riguarda le tasse, la voce di riferimento nel Dpb è quella sulla pressione fiscale, un indicatore economico che mette in rapporto il gettito dello Stato (imposte dirette e indirette e contributi sociali) con il Pil.

Ricordiamo che in questo ambito si sta parlando sempre di previsioni, per quanto contenute in documenti ufficiali, e non di dati certi.

Che cosa dicono i numeri

2019-2020

Secondo l’ultimo Dpb, nel 2020 a politiche invariate la pressione fiscale sarebbe aumentata dal 42 per cento del 2019 al 42,7 per cento. Grazie ai nuovi provvedimenti economici proposti dalla maggioranza, il governo Conte II stima che la pressione fiscale resterà in sostanza stabile, passando da un 41,9 per cento a un 42 per cento [1].

Questa differenza di 0,7 punti percentuali è davvero il «più grande taglio di tasse degli ultimi tempi»?

Vediamo come erano andate le cose negli ultimi anni.

2018-2019

Il Dpb per il 2019 – presentato lo scorso autunno dal governo Lega-M5s – aveva previsto tra il 2018 e il 2019 una crescita della pressione fiscale a politiche invariate dello 0,3 per cento (dal 41,9 per cento al 42,2 per cento), che si annullava per effetto della futura legge di Bilancio (restando al 41,8 per cento nei due anni). Un “taglio” dello 0,4 per cento.

2017-2018

Discorso diverso per il Dpb per il 2018, frutto del governo Gentiloni. Qui si legge che a politiche invariate la pressione fiscale sarebbe aumentata dal 42,6 per cento del 2017 al 42,7 per cento; questa percentuale si stimava sarebbe scesa al 42,1 per cento sulla base delle disposizioni contenute nella futura legge di Bilancio.

Un calo di 0,6 punti percentuali dunque – di poco più basso di quello previsto dal Conte II – ma che avrebbe portato la pressione fiscale a un livello più basso di quello preesistente.

2016-2017

Anche il Dpb per il 2017, presentato dall’allora governo Renzi, partiva da stime della pressione fiscale intorno al 42,6 per cento per il 2016, sia per lo scenario a politiche invariate che in quello programmatico.

Nel primo caso, se il governo non avesse fatto nulla, si stimava che la pressione fiscale sarebbe salita dello 0,2 per cento (dal 42,6 per cento al 42,8 per cento); con gli interventi in manovra, il calo previsto era dello 0,3 per cento (dal 42,6 per cento al 42,3 per cento). Un aumento evitato dello 0,5 per cento.

Veniamo ora agli ultimi due bienni per i quali abbiamo a disposizione i dati, 2015-2016 e 2014-2015, periodo in cui è entrato in vigore l’obbligo di pubblicare il Documento programmatico di bilancio.

2015-2016

A fine 2015, il Dpb aveva previsto a politiche invariate un aumento delle pressione fiscale nel 2016, dal 43,7 per cento al 44,2 per cento (+0,5 per cento). Questa percentuale scendeva al 43,1 per cento negli obiettivi dell’allora governo Renzi: una riduzione dell’1,1 per cento, più alta di 0,4 punti percentuali di quella prevista dall’attuale Conte II.

2014-2015

Infine, il Documento programmatico di Bilancio per il 2015 conteneva previsioni identiche sia per lo scenario a politiche invariate che per quello programmatico: un passaggio della pressione fiscale tra il 2014 e il 2015 dal 44,3 per cento al 44,2 per cento (-0,1 per cento).

Che cosa c’è dietro questi numeri

Se rimaniamo nell’ambito delle previsioni fatte dagli esecutivi a partire dal 2014, non è vero che la riduzione della pressione fiscale prevista dal governo Conte II a politiche invariate (-0,7 per cento) è la più grande degli ultimi tempi.

Il Dpb per il 2016 aveva infatti previsto che le misure economiche dell’allora governo Renzi avrebbero portato un calo della pressione fiscale dell’1,1 per cento.

In effetti, tra il 2014 e il 2016, con Renzi presidente del Consiglio le previsioni di calo della pressione fiscale erano state – in parte – confermate dalle rilevazioni successive, segnando un passaggio dell’indicatore dal 43,6 per cento al 42,4 per cento. Questa percentuale scende al 42 per cento, se si considera nel conteggio anche il “bonus degli 80 euro” introdotto nel 2014: meno 1,2 per cento in tre anni oppure, stando larghi e includendo gli 80 euro, meno 1,6 per cento.

In ogni caso, è necessario sottolineare che dietro al calo della pressione fiscale previsto dal governo Conte II rispetto alle stime a politiche invariate c’è il blocco dell’aumento dell’Iva (art. 2 del ddl di Bilancio per il 2020), stabilito dal precedente esecutivo Lega-M5s.

È discutibile insomma che ci sia stato oggi un «taglio di tasse»: il governo Conte II ha più precisamente evitato che se ne pagassero di più il prossimo anno. In aggiunta, come abbiamo visto, è lo stesso governo Pd-M5s ad aver previsto nell’ultimo Dpb un leggero aumento della pressione fiscale (+0,1 per cento) per il 2020.

Il verdetto

Secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la nuova legge di Bilancio porterà «il più grande taglio di tasse degli ultimi tempi rispetto allo scenario a politiche invariate». Questo termine indica che cosa accadrebbe nei prossimi anni senza alcun intervento da parte del governo e del Parlamento, dunque con le norme già attualmente in vigore.

Grazie soprattutto al blocco dell’aumento dell’Iva, il Documento programmatico di Bilancio per il 2020 prevede un aumento “evitato” della pressione fiscale dello 0,7 per cento, il secondo più alto rispetto all’1,1 per cento previsto nel Dpb per il 2016.

È poi fuorviante parlare di «taglio di tasse»: è più corretto parlare di un aumento evitato della pressione fiscale, che comunque secondo l’attuale governo è prevista crescere, seppure di poco, per effetto anche delle misure contenute nella legge di Bilancio per il 2020. In conclusione, Conte si merita un “Nì”.




[1] Le previsioni sulla pressione fiscale possono avere differenze tra i due scenari, politiche invariate e non, nell’ordine dello 0,1 per cento.