La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, ospite a Cartabianca il 5 novembre 2019, ha dichiarato (min. -1:00) che la proposta di legge sulla cittadinanza presentata da Laura Boldrini prevederebbe l’acquisizione «automatica» della cittadinanza per i figli di coppie che si trovano in Italia da almeno due anni e per i maggiorenni in Italia da almeno cinque anni (tre anni nel caso di profughi); ha inoltre affermato che sarebbe possibile, per chi avesse frequentato un «non meglio specificato corso», richiedere la cittadinanza.

Meloni, nella sua dichiarazione, si riferisce alla proposta di legge presentata alla Camera dei deputati nel marzo 2018 dall’ex presidente della Camera e deputata Pd Laura Boldrini. La proposta contiene modifiche da apportare alla legge n.91 del 5 febbraio 1992, che dà appunto disposizioni in materia di cittadinanza.

Ma la proposta di legge di Boldrini prevede davvero quanto citato da Meloni? Abbiamo controllato.

La legge vigente

Vediamo intanto che cosa prevede, in generale, l’attuale legge sulla cittadinanza italiana.

Come riporta il sito del Ministero dell’Interno, la cittadinanza italiana si acquisisce principalmente iure sanguinis, per “diritto del sangue”, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. Può essere inoltre ottenuta per matrimonio e richiesta dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e in possesso di determinati requisiti (come percepire un reddito sufficiente al proprio sostentamento e non avere precedenti penali).

Esistono anche alcune modalità molto specifiche di acquisizione iure soli: la cittadinanza italiana si può ottenere anche se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi (ovvero privi di qualsiasi cittadinanza) o ignoti, o che non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio in base alla legge dello Stato di provenienza. Si tratta comunque di casi molto rari.

La proposta Boldrini

Meloni ha parlato di diverse nuove modalità di acquisizione della cittadinanza che, a suo dire, sarebbero contenute nella proposta di legge di Boldrini.

I figli di coppie soggiornanti in Italia

La leader di Fratelli d’Italia ha affermato che la proposta di legge di Boldrini prevede l’acquisizione «automatica» della cittadinanza per i figli di coppie che «stanno» in Italia da almeno due anni.

Nel testo della proposta si legge (art. 1) che può acquisire la cittadinanza «chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno, al momento della nascita del figlio» o «di cui almeno uno è nato in Italia».

Non si parla dunque di figli di coppie che soggiornano in Italia da almeno due anni, ma di figli con almeno uno dei genitori nato in Italia, o soggiornante in Italia da almeno un anno. Ancora meno di quanto detto da Meloni. L’acquisizione della cittadinanza non sarebbe poi automatica, ma avverrebbe «a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa da un genitore».

I maggiorenni in Italia da almeno cinque anni

Meloni ha poi dichiarato che, con la proposta di Boldrini, otterrebbero «automaticamente» la cittadinanza anche i maggiorenni che «stanno» in Italia da almeno cinque anni.

La proposta prevede (art. 4) che può acquisire la cittadinanza «lo straniero che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica», ma solo se in possesso di un determinato «requisito reddituale», che sia «sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari». Meloni ha quindi ragione quando ricorda il requisito dei cinque anni, ma va aggiunto che la proposta Boldrini prevede che chi vuole la cittadinanza sia anche in possesso di un certo reddito.

I profughi

Giorgia Meloni ha sottolineato che, nel caso di profughi, aver trascorso tre anni sul suolo italiano sarebbe sufficiente per ottenere la cittadinanza.

Nel testo della proposta si legge (art. 4) che la cittadinanza può essere acquisita dallo «straniero regolarmente soggiornante nel territorio della Repubblica da almeno tre anni a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria o di apolide».

Meloni ha quindi ragione, al netto della differenza tra “profugo” e “rifugiato”: questi vengono solitamente usati come sinonimi, e così fa anche Meloni, ma tecnicamente fra le due categorie esiste una differenza. Lo status di rifugiato è giuridicamente riconosciuto (dalla Convenzione di Ginevra del 1951), si accompagna a una serie di diritti e si riferisce a chi ha lasciato il suo Paese per timore di essere perseguitato per ragioni di «razza, religione, nazionalità e appartenenza politica», e ha trovato rifugio in uno Stato straniero.

In Italia, a un rifugiato viene concesso un permesso di soggiorno per asilo con una durata di cinque anni, rinnovabile a ogni scadenza. Il rifugiato ha inoltre vari diritti: l’accesso al lavoro; il ricongiungimento familiare; il diritto all’assistenza sanitaria, sociale e all’istruzione pubblica; il diritto di circolare liberamente all’interno dell’Unione europea e di chiedere la cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza in Italia.

“Profugo” è invece un termine generico per definire chi è scappato dal proprio Paese per motivi di guerra, povertà, fame, calamità naturali o altro, ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale.

Per quanto riguarda le altre due categorie citate nel testo della proposta, gli apolidi, come abbiamo visto, sono persone prive di qualsiasi cittadinanza (caso molto raro); la protezione sussidiaria, invece, è una forma di protezione internazionale che può essere concessa al cittadino straniero che «non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine […] correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno». Questa forma di protezione prevede la concessione di un permesso di soggiorno della durata di tre anni, rinnovabile a ogni scadenza e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, e anche se garantisce meno diritti rispetto allo status di rifugiato, conferisce comunque vari benefici, come la possibilità di partecipare all’assegnazione di alloggi pubblici.

Nel testo della proposta, dunque, si fa riferimento a stranieri residenti in Italia da almeno tre anni che siano rifugiati, apolidi o beneficiari di protezione sussidiaria, tutte categorie giuridicamente riconosciute.

Chi segue un “corso”

Meloni ha infine sostenuto che, secondo la proposta di legge, la cittadinanza potrebbe essere richiesta anche da coloro che abbiano seguito un «non meglio specificato corso».

Nella proposta si legge (art. 2) in effetti che «è prevista la possibilità di acquisizione della cittadinanza, su istanza del genitore, da parte del minore che abbia frequentato un corso di istruzione primaria o secondaria o un percorso di istruzione o formazione professionale».

È quindi vero che non viene chiarita la natura esatta, né la durata del corso di istruzione o formazione professionale che il minore dovrebbe seguire, ma è altrettanto vero che non si parla solo di un «non meglio specificato corso».

Il verdetto

Meloni ha presentato i requisiti per avere la cittadinanza italiana che sarebbero contenuti in una proposta di legge con prima firmataria Laura Boldrini. Abbiamo controllato e Meloni ha sostanzialmente ragione.

La leader di Fratelli d’Italia commette qualche imprecisione solo sui primi due punti della sua dichiarazione: un bambino nato in Italia non deve essere figlio di una coppia che si trova qui da almeno due anni per poter richiedere la cittadinanza, ma basta che almeno uno dei suoi genitori sia nato in Italia o vi abbia soggiornato per almeno un anno; inoltre, per uno straniero maggiorenne non è sufficiente, al fine dell’ottenimento della cittadinanza, aver soggiornato in Italia per cinque anni, ma è necessario che per questo periodo di tempo sia stato legalmente residente sul nostro territorio e che sia in possesso di un determinato reddito.

Infine, nella proposta non si parla di un «non meglio specificato corso», ma di «un corso di istruzione primaria o secondaria o un percorso di istruzione o formazione professionale». Questa definizione, sebbene non esattamente specifica, non è nemmeno così vaga come sostiene Meloni. “C’eri quasi” per la leader di Fratelli d’Italia.