La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni l’8 ottobre ha aspramente criticato su Twitter la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sull’ergastolo ostativo, sostenendo che i giudici avrebbero ritenuto questo istituto «una violazione dei diritti umani».

La questione è in realtà più complicata di così e l’affermazione di Meloni è imprecisa.

Vediamo meglio i dettagli.

La sentenza della Cedu

Il 7 ottobre 2019 la Cedu ha respinto (qui si può scaricare il comunicato stampa relativo) il ricorso dell’Italia contro una precedente sentenza del 13 giugno 2019 (sempre della Cedu) che, su ricorso del boss della ‘Ndrangheta Marcello Viola, aveva riscontrato nella normativa italiana sull’ergastolo ostativo una violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani.

Questo articolo stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

La sentenza di giugno, che è stata quindi ora confermata, non sostiene che l’ergastolo ostativo sia di per sè contrario ai diritti umani, ma che lo sia nella forma in cui è attualmente previsto dalla legge italiana.

Secondo i giudici, in particolare, è da condannare l’automatismo – previsto dall’articolo 22 del codice penale in unione agli articoli 4 bis e 58 ter della legge sull’ordinamento penitenziario – tra la mancata collaborazione attiva del condannato per mafia (il rifiuto di diventare un “pentito”) e il divieto di accedere a permessi premio, a sconti di pena e a misure alternative al carcere. Queste misure hanno lo scopo, a fronte di un certificato percorso di rieducazione e abbandono della criminalità, di consentire almeno un parziale reinserimento del condannato nella società.

La mancata collaborazione dell’ex mafioso, sempre secondo i giudici della Cedu, potrebbe infatti dipendere da situazioni in concreto di grave pericolo, che impediscono al condannato di prendere una decisione “libera”. Un condannato per mafia potrebbe, ad esempio, non volersi pentire per il timore che i suoi familiari vengano assassinati per vendetta.

Dunque non è necessariamente vero che al rifiuto di pentirsi corrisponda per forza l’intenzione di non recidere i legami con la mafia e di continuare ad aderire ai valori dell’organizzazione criminale. Un ex mafioso potrebbe infatti non voler collaborare per non mettere in pericolo la vita dei propri cari, ma allo stesso tempo aver tagliato qualsiasi legame – concreto e ideologico – con la criminalità organizzata e non rappresentare più alcun pericolo per la società.

È quindi sbagliato, secondo i giudici della Cedu, escludere che il condannato possa dimostrare di aver reciso i legami con la mafia e di essere pronto per un percorso rieducativo e di reinserimento (parziale) nella società per il solo fatto che ha rifiutato di collaborare.

Questo automatismo, e non il carcere ostativo in sé, secondo la Cedu costituisce una violazione dei diritti umani.

Che cosa succede ora

La decisione della Cedu non comporta in nessun caso, come scrivono anche gli stessi giudici, il rilascio anticipato di Viola o di altri boss mafiosi in carcere. Per Viola è stato stabilito, in base all’articolo 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che il solo avergli dato ragione sia un’equa soddisfazione e che ha diritto ad un rimborso delle spese e dei costi di giudizio da parte dello Stato per una cifra pari a 6.000 euro.

L’Italia, in base all’articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dovrà adeguarsi alla sentenza. Se non lo farà, è possibile che venga condannata a pagare altre somme in denaro.

Per conformarsi non sarà necessario, come abbiamo visto, eliminare l’istituto del carcere ostativo. Sarà sufficiente modificare le regole riguardanti il carcere ostativo.

In particolare l’ordinamento italiano dovrebbe prevedere la possibilità teorica che un ex mafioso, che ha deciso di non collaborare con la giustizia italiana per il fondato timore che così facendo metta in grave pericolo la vita propria o dei propri cari, possa dimostrare in altri modi di aver reciso qualsiasi legame operativo e valoriale con la criminalità organizzata e di non costituire più un pericolo per la società. In questo modo potrebbe dimostrare di essere adatto a seguire un percorso rieducativo che preveda anche un parziale reinserimento sociale.

Il verdetto

Giorgia Meloni ha affermato che per la Cedu il carcere ostativo è una violazione dei diritti umani.

Si tratta di una grave semplificazione rispetto a quanto scritto dai giudici. Come abbiamo visto, è un aspetto particolare della disciplina del carcere ostativo – l’automatismo tra mancata collaborazione e divieto di accesso a determinate misure – ad essere considerato contrario all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Dunque l’Italia non deve rinunciare al carcere ostativo ma, più semplicemente, modificare alcuni dettagli della sua disciplina.

Per Meloni quindi un “Nì”.