Intervenendo in aula il 31 luglio, il deputato del Pd Gennaro Migliore ha sostenuto che, con la riduzione dei parlamentari prevista, l’Italia avrebbe il peggior rapporto deputati/abitanti dell’intera Unione europea.

È un’affermazione corretta. Anche se, per formulare un giudizio complessivo, si può prendere in considerazione una peculiarità del sistema italiano che modifica la nostra posizione in classifica. Andiamo a vedere i dettagli.

Il taglio dei parlamentari

Per prima cosa, vediamo la consistenza di questo taglio dei parlamentari di cui si parla. È previsto da un progetto di legge costituzionale, già approvato due volte dal Senato e una volta dalla Camera. Manca quindi solo un’ultima approvazione da parte di Montecitorio per l’approvazione definitiva, a cui seguirà un referendum confermativo (come prescrive l’articolo 138 della Costituzione).

La riduzione prevista dalla legge, che modifica gli attuali articoli 56 e 57 della Costituzione, è di 230 deputati e 115 senatori. La Camera sarebbe quindi composta da 400 deputati e il Senato da 200 senatori, contro – rispettivamente – i 630 e 315 attuali.

Il rapporto deputati/abitanti nella Ue

Abbiamo preso in considerazione il numero di abitanti dei singoli Stati membri dell’Unione europea nel 2018, come riportati da Eurostat (il servizio statistico della Commissione europea), e li abbiamo messi in rapporto al numero di deputati presenti nei 28 Parlamenti.

Il numero di abitanti è un indicatore impreciso della rappresentanza, in quanto vengono conteggiati anche gli stranieri residenti che non hanno, di regola, diritto di voto alle elezioni politiche, ma è un’imprecisione che riguarda tutti i Paesi e che non influisce in modo decisivo sul risultato.

Per il numero dei deputati dei diversi Paesi abbiamo utilizzato il database dell’Inter-Parliamentary Union (Ipu), un’organizzazione internazionale che riunisce i parlamenti di gran parte degli Stati del mondo.

Nella tabella disponibile qui abbiamo sintetizzato i risultati.

È vero che, con 400 deputati e poco meno di 60,5 milioni di abitanti, l’Italia avrebbe un rapporto deputati/abitanti di 1/151 mila (oggi, con 630 deputati, è invece di 1/96 mila). Questo rapporto sarebbe quindi il più alto dell’Unione europea.

Dietro di noi avremmo la Spagna, con un rapporto di 1/133 mila, la Germania, con un deputato ogni 117 mila abitanti, la Francia, con un deputato ogni 116 mila abitanti, l’Olanda, con un deputato ogni 115 mila abitanti e il Regno Unito, con un deputato ogni 102 mila abitanti.

Tutti gli altri Stati hanno un rapporto inferiore a quello di 1/100 mila. I Paesi più piccoli sono quelli dove gli abitanti sono maggiormente rappresentati: a Malta c’è un deputato ogni 7 mila abitanti, in Lussemburgo uno ogni 10 mila, a Cipro uno ogni 11 mila.

Migliore ha quindi ragione, stando ai freddi numeri. Ma, come anticipato, il suo conteggio non tiene conto di una particolarità dell’Italia rispetto alla quasi totalità degli altri Stati dell’Unione europea.

Il bicameralismo perfetto all’italiana

L’Italia, come avevamo scritto in una nostra precedente analisi, è l’unico Paese dell’Unione europea – insieme alla Romania – ad avere due camere (Camera e Senato), elette a suffragio universale, che devono approvare in forma identica i testi di legge perché entrino in vigore (il cosiddetto “bicameralismo perfetto”) e che devono entrambe dare il proprio voto di fiducia a un governo perché entri in carica (e basta la sfiducia di solo una delle due camere perché il governo cada).

Tra i 28 Paesi Ue, solo 13 hanno infatti due camere, mentre 15 sono unicamerali. Dei 13 con due camere, solo 4 le eleggono entrambe a suffragio universale (Italia, Romania, Repubblica Ceca e Polonia) e di questi solo Italia e Romania si trovano nella situazione sopra descritta.

Si può poi citare il caso particolare della Spagna, che ha un Senato eletto in gran parte, ma non integralmente, a suffragio universale. Dei 266 senatori, infatti, 208 sono eletti direttamente dal popolo, mentre i restanti 58 sono eletti dai 17 “parlamenti” delle comunità autonome.

Che conseguenze sulla rappresentanza?

Con un’operazione non priva di fondamento, possiamo guardare – invece che al solo numero di deputati, al numero di parlamentari che sono eletti a suffragio universale, votano la fiducia al governo e hanno piena potestà legislativa (approvano cioè le leggi), in rapporto alla popolazione dei vari Stati della Ue.

Solo in Italia e in Romania, come anticipato, sia i deputati che i senatori hanno queste caratteristiche. Negli altri Paesi i senatori (o i Lords, o altre figure ancora) non rappresentano i cittadini allo stesso modo dei deputati.

Con 600 tra deputati e senatori, l’Italia avrebbe dunque un rapporto di un parlamentare ogni 101 mila abitanti, circa come il Regno Unito (per il quale non ha senso invece prendere in considerazione i membri della House of Lords, che non sono eletti a suffragio universale e non danno la fiducia al governo) e meno di Germania, Francia e Olanda (che, di nuovo, non hanno un Senato paragonabile al nostro).

La Romania, anche considerando i senatori, avrebbe un rapporto di un parlamentare ogni 42 mila abitanti e la Spagna, prendendo in considerazione i senatori eletti a suffragio universale, avrebbe un rapporto di un parlamentare ogni 84 mila abitanti.

Il verdetto


Gennaro Migliore fa un’affermazione formalmente corretta: con il taglio dei parlamentari il rapporto deputati/abitanti dell’Italia sarebbe di 1/151 mila, il più alto nella Ue.

Ma questa affermazione non tiene conto della peculiarità dell’Italia, unico Paese nella Ue – insieme alla Romania – in cui i senatori rappresentano gli elettori in modo pressoché identico ai deputati, e hanno sostanzialmente le medesime funzioni.

Se si considera il rapporto tra parlamentari eletti a suffragio universale dal popolo, che devono approvare le leggi e dare la propria fiducia al governo, e abitanti, l’Italia – anche dopo il taglio dei parlamentari – non sarebbe in una posizione anomala nella Ue ma, anzi, si troverebbe in una condizione paragonabile a quella degli altri grandi Paesi europei.

Per Migliore, nel complesso, un “C’eri quasi”.