Il 10 luglio, in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, la deputata di Forza Italia Anna Maria Bernini ha scritto che il nostro Paese è il «fanalino di coda dell’Ue per crescita del Pil: +0,1 per cento nel 2019 e +0,7 per cento nel 2020».

Verifichiamo i dati e vediamo poi da quanti anni si trascina questa condizione.

Cosa dice la Commissione Ue

Secondo le ultime previsioni economiche della Commissione europea, diffuse a luglio e menzionate nel post Facebook di Bernini, la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia si dovrebbe attestare allo 0,1 per cento nel 2019 e allo 0,7 per cento nel 2020.

Sempre secondo la Commissione Ue, questi livelli farebbero dell’Italia l’ultimo Paese europeo in termini di crescita del Pil sia nel 2019 sia nel 2020.

Ma non solo siamo gli ultimi, siamo anche lontani dal resto dei grandi Paesi Ue. Nel 2019 la Germania ci distanzia di 0,4 punti, la Francia e il Regno Unito di 1,2 punti, la Spagna addirittura di 2,2 punti.

Bernini ha quindi ragione: l’Italia, con lo 0,1 per cento nel 2019 e lo 0,7 per cento nel 2020, è il «fanalino di coda dell’Ue per crescita del Pil».

È la prima volta che siamo ultimi?

Come mostrano i dati Eurostat, non è la prima volta che l’Italia si posiziona ultima in Europa per crescita del Pil.

Già lo scorso anno, con lo 0,9 per cento di crescita, l’economia italiana si è classificata ultima tra quelle dell’Unione europea, distaccata dello 0,5 per cento dalle penultime tre (Belgio, Germania e Regno unito con l’1,4 per cento).

Tra l’altro, tra il 2007 e il 2017, l’Italia si è piazzata tra le ultime 5 economie europee per crescita del Pil in 8 occasioni su 11: terzultima nel 2007 con l’1,5 per cento (governo Prodi); quintultima nel 2008 con il -1,1 per cento (governi Prodi e Berlusconi); quintultima nel 2012 con il -2,8 per cento (governo Monti); quartultima nel 2013 con lo il -1,7 per cento (governi Monti e Letta); quartultima nel 2014 con lo 0,1 per cento (governo Renzi); terzultima nel 2015 con lo 0,9 per cento (governo Renzi); penultima (insieme alla Francia) nel 2016 con l’1,1 per cento (governi Renzi e Gentiloni); ed infine terzultima (insieme al Belgio) nel 2017 con l’1,7 per cento (governo Gentiloni).

Se aggiungiamo il dato del 2018 e le previsioni per il 2019, risulta che l’Italia per 10 volte negli ultimi 13 anni si è piazzata tra le ultime 5 economie europee in termini di crescita del Pil. Inoltre, dal 2007 l’Italia non si è mai posizionata tra i primi 15 Paesi europei in termini di crescita reale del Pil.

Possiamo poi notare che i tre anni in cui non siamo stati nelle cinque economie che crescevano meno (o decrescevano di più), sono stati quelli in cui la crisi economica ha fatto sentire più duramente il suo impatto in Europa. Dunque diversi Paesi si sono trovati prima in forte decrescita e poi hanno impiegato un paio di anni per riprendersi. Al di fuori di quella parentesi eccezionale, insomma, l’Italia è sempre stata negli ultimi cinque Paesi della classifica.

La “sfera di cristallo” della Commissione

Come però abbiamo già visto in passato, le previsioni sulla crescita del Pil reale fatte dalla Commissione non sono precise al centesimo. Tra il 2009 e il 2018, le stime della Commissione (consultabili qui e qui) si sono sempre discostate dal dato reale, e lo hanno fatto in media dello 0,69 per cento.

Questo scostamento dello 0,69 si basa – salvo che per il 2009 e il 2012 – sulle previsioni d’inverno (Winter Forecasts). Dato che queste vengono rilasciate all’inizio dell’anno (febbraio), la Commissione dispone a luglio di maggiori elementi per valutare la performance economica dell’Italia di quanti non ne abbia nella prima parte dell’anno.

È dunque possibile che, essendo state rilasciate a luglio di quest’anno, le previsioni della Commissione per il 2019 e il 2020 si dimostreranno più precise di quelle riportate in precedenza.

L’ottimismo dei governi

Il governo Conte sembra non concordare con le stime della Commissione europea ed è leggermente più ottimista di quanto non sia Bruxelles.

Infatti, nel Documento di Economia e Finanza (Def) di aprile 2019, l’esecutivo ha previsto nel suo quadro programmatico una crescita per il 2019 dello 0,2 per cento e una dello 0,8 per il 2020 (contro lo 0,1 e lo 0,7 citati in precedenza).

Se andiamo ad analizzare le stime fatte dai passati governi nei documenti programmatici pubblicati in aprile [1] e le confrontiamo con quelle fatte della Commissione, scopriamo però che i governi italiani erano in disaccordo con Bruxelles in 8 casi su 10.

Nello specifico, in 5 casi le stime dei governi fatte ad aprile erano più ottimistiche di quelle fatte dalla Commissione a febbraio mentre in tre circostanze la situazione era capovolta.

Allo stesso tempo però, il margine di errore delle previsioni contenute nei documenti programmatici di economia e finanza (del mese di aprile) finora risulta inferiore a quello dei Winter Forecast (del mese di febbraio) della Commissione: 0,53 per cento contro 0,69.

Il verdetto

La senatrice di Forza Italia Anna Maria Bernini ha riportato sulla sua pagina Facebook che l’Italia sarebbe «fanalino di coda dell’Ue per crescita del Pil: +0,1 per cento nel 2019 e +0,7 per cento nel 2020».

I dati menzionati da Bernini sono corretti: le previsioni della Commissione Ue vedono per l’Italia una crescita del Pil dello 0,1 per cento nel 2019 e dello 0,7 nel 2020.

Abbiamo inoltre visto che, se le previsioni della Commissione si dovessero avverare, questa sarebbe la seconda volta consecutiva che ci piazziamo in ultima posizione per crescita del Pil tra i Paesi europei e la decima (dal 2007) che ci troviamo tra gli ultimi 5. Da notare oltretutto che non siamo stati tra i peggiori solo nei tre anni (2009-2011) in cui l’intera Europa è stata colpita duramente dalla crisi economica.

Abbiamo infine constatato che dal 2009 le stime della Commissione europea si sono discostate dal dato reale in media dello 0,69 per cento. Un margine di errore che è leggermente superiore a quello degli ultimi esecutivi (0,53)

In ogni caso, Anna Maria Bernini merita un “Vero”.




[1] Il motivo di questa scelta è che i documenti di economia e finanza (pubblicati in aprile) si discostano di soli 2 mesi dalle Winter Forecasts della Commissione europea (rilasciate in febbraio).