Il 30 giugno, la deputata del Partito democratico Lia Quartapelle ha scritto su Facebook che «questo governo per la prima volta dal 2010 taglia i fondi per la cooperazione allo sviluppo: dobbiamo denunciarlo e dire che con la cooperazione si affrontano le cause delle migrazioni».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Secondo Openpolis, con il termine “cooperazione allo sviluppo” si intendono generalmente tutte quelle azioni effettuate da parte di attori pubblici o privati (come le Ong) che puntano «a perseguire il miglioramento delle condizioni socio-economiche in aree ancora povere o poco sviluppate».

Ciò a cui a cui fa è probabilmente riferimento Quartapelle è invece l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), definito dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) «come l’insieme dei trasferimenti pubblici a un Paese in via di sviluppo o a un’organizzazione internazionale che si occupa di cooperazione allo sviluppo».

Il ruolo dell’Ocse

A stabilire quali siano i contributi che lo Stato italiano può classificare come Aps è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Quest’ultima definisce per i 36 Paesi membri dell’organizzazione quali risorse si qualificano come Aps (Official devolopment assistance in inglese, Oda); quali sono i Paesi considerati come destinatari dei fondi Aps; e quali organizzazioni promuovono l’aiuto allo sviluppo e in che percentuale (in proporzione al budget che mettono a disposizione per lo sviluppo).

Tra gli Aps, non rientrano generalmente i fondi destinati al rafforzamento della sicurezza (come le missioni di Peacekeeping dell’Onu) e i prestiti internazionali, ma rientra invece la spesa sostenuta dai Paesi sviluppati per l’accoglienza dei rifugiati nei primi 12 mesi di permanenza nel Paese ospitante.

Dal 2016 sono però state introdotte alcune modifiche su queste tre voci. Se per l’accoglienza dei rifugiati si è provato a circoscrivere le spese classificabili come Aps, sui prestiti e sulla sicurezza si è invece cercato di riconoscere maggiormente lo sforzo economico sostenuto dai Paesi donatori.

A partire dal 2018 è poi stata introdotta una differenza nel metodo di calcolo degli Aps: in precedenza si guardava semplicemente al flusso di denaro, mentre successivamente si è scelto di dare un peso specifico maggiore, nel conteggio, ai prestiti a fondo perduto o con interessi bassissimi rispetto a quelli con interessi più alti.

Questo rende leggermente più complessi i confronti con gli anni passati.

Gli aiuti negli ultimi anni


Nella legge di Stabilità per il 2017 (redatta dal governo Renzi) l’ammontare delle spese in aiuto allo sviluppo – come riportate dall’Allegato Aps – era pari a 4,520 miliardi di euro per il 2017, 4,352 miliardi per il 2018 e 4,381 miliardi per il 2019.

Con la legge di Bilancio per il 2018 il governo Gentiloni aveva invece messo a bilancio circa 5,012 miliardi di euro per l’aiuto allo sviluppo nel 2018, 5,066 miliardi di euro nel 2019 e 4,706 miliardi nel 2020.

Per quanto riguarda invece l’esecutivo Conte, con la legge di Bilancio per il 2019 il governo ha deciso di aumentare leggermente il bilancio di competenza per l’aiuto allo sviluppo per quest’anno rispetto a quanto previsto da Gentiloni. Questo raggiungerà 5,081 miliardi nel 2019, mentre calerà a 4,657 miliardi nel 2020 per poi risalire a 4,706 miliardi nel 2021.

Sebbene calino in maniera più consistente (-8 per cento rispetto al primo anno contro il -3,2 per cento di Renzi e il -6,5 di Gentiloni), le decisioni di spesa del governo Conte sono sostanzialmente in linea con quelli dei predecessori. Così come aveva stabilito il governo Renzi, i fondi stanziati dal governo Conte sono infatti maggiori nel primo anno, più bassi nel secondo e in leggera risalita nel terzo.

Inoltre, i fondi previsti da Lega e M5s per il 2020 sono di poco più bassi di quelli stanziati dal governo Gentiloni per quello stesso anno (-49 milioni di euro), mentre quelli per il 2021 sono pari a quelli che l’ultimo governo a guida Pd aveva stanziato per il 2020.

Non si può quindi dire che il governo si sia comportato in totale controtendenza rispetto ai governi precedenti.

Che cosa c’entrano le cause delle migrazioni?

Come vedremo tra poco, una diminuzione dei fondi stanziati per l’Aps non significa per forza destinare minori risorse per «affrontare le cause delle migrazioni».

Da una parte, alcuni dei fondi che l’Ocse riconosce come aiuto pubblico allo sviluppo sono destinati a settori, come l’energia nucleare e le telecomunicazioni, che hanno a che vedere con le cause delle migrazioni in modo solo molto indiretto.

Dall’altra parte, i principali finanziamenti previsti a sostegno dei migranti non riguardano l’assistenza ai Paesi di partenza, bensì l’accoglienza di coloro che arrivano in Italia.

L’Ocse considera (quasi) tutti i soldi spesi dal ministero dell’Interno per l’accoglienza in Italia come aiuto pubblico allo sviluppo. Un dettaglio non di poco conto visto che nel 2017 la spesa per rifugiati sostenuta dall’Italia valeva per il 30 per cento del totale degli Aps (1,8 miliardi di dollari su 5,86 miliardi di Aps).

Un calo però c’è stato

Sebbene nel 2018 il governo Gentiloni avesse stanziato fondi superiori rispetto al 2017, se andiamo a osservare i fondi effettivamente spesi dall’Italia nel 2018 in Aps notiamo un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti.

Se dal 2012 al 2017 sono cresciuti costantemente, arrivando a 5,86 miliardi di dollari alla fine di questo periodo, nel 2018 i fondi spesi dall’Italia in aiuto pubblico allo sviluppo sono tornati a calare.

Secondo i dati provvisori dell’Ocse, risulta che l’Italia nel 2018 ha speso 4,61 miliardi di dollari (-21 per cento) utilizzando il vecchio metodo (Cash-flow basis) e 5,01 miliardi di dollari (-14,5 per cento) impiegando quello nuovo (Grant-equivalent).

Un calo che, a detta dell’Ocse, è da attribuirsi in parte alla minore spesa sostenuta dal nostro Stato per l’accoglienza dei rifugiati, passata dagli 1,8 miliardi di dollari del 2017 a circa 1,1 miliardi di dollari nel 2018.

In altre parole, la minore spesa sostenuta dall’Italia nel 2018 – rispetto al passato e rispetto a quanto previsto dal governo al momento di stanziare i fondi – non ha a che vedere con un taglio dei fondi destinati a risolvere le cause delle migrazioni, bensì con un calo dei costi legati all’accoglienza dei rifugiati in Italia.

Come abbiamo scritto spesso, dall’estate del 2017 in poi il flusso migratorio via mare verso l’Italia è infatti crollato.

Il verdetto

La deputata del Pd Lia Quartapelle ha detto che «questo governo per la prima volta dal 2010 taglia i fondi per la cooperazione allo sviluppo». Un fatto che, secondo Quartapelle, sarebbe da denunciare perché «con la cooperazione si affrontano le cause delle migrazioni»

Questa affermazione è però fuorviante.

Se la deputata del Pd fa riferimento al 2018, quando sono diminuiti per la prima volta dal 2012 gli aiuti pubblici che l’Italia ha effettivamente speso, in primo luogo per 5 mesi di quell’anno è stato al governo Gentiloni, e in secondo luogo la causa del calo secondo l’Ocse è soprattutto la minor spesa destinata per l’accoglienza dei migranti in Italia (-0,7 miliardi di dollari).

Se invece Quartapelle fa riferimento allo stanziamento di fondi per il prossimo triennio, il governo Conte si è mosso in sostanziale continuità con i due esecutivi precedenti. L’ammontare dei fondi che ha stanziato per l’aiuto allo sviluppo nel 2020 e nel 2021 è infatti superiore a quelli previsti nel 2017 dal governo Renzi e in linea con quelli stabiliti nel 2018 dal governo Gentiloni.

Infine, i fondi allocati dal governo nel documento allegato alla legge di Bilancio in ogni caso riguardano solo parzialmente le cause delle migrazioni, essendo in parte destinati all’accoglienza dei rifugiati in Italia e in parte destinati a settori che hanno a che vedere con le migrazioni solo molto indirettamente (come, per esempio, le telecomunicazioni e l’energia nucleare) .

In conclusione, Quartapelle si merita un “Pinocchio andante”.