Il 28 aprile Nicola Fratoianni, deputato e leader di Sinistra italiana, ospite della trasmissione televisiva Mezz’ora in più ha dichiarato che in Italia il 20 per cento della popolazione possiede «oltre il 66 per cento» della ricchezza del Paese.

Davvero il nostro denaro è nelle mani di così poche persone?

Abbiamo verificato.

«20 per cento» e «66 per cento»: da dove provengono queste cifre?


Nicola Fratoianni non riporta la fonte dei suoi dati ma i numeri provengono dal rapporto Disuguitalia, pubblicato il 22 gennaio 2018 da Oxfam Italia, branca della ong britannica che, a livello internazionale, si occupa di povertà ed economia sociale.

Il documento – presentato in occasione del World Economic Forum di Davos e di cui online sono consultabili le anticipazioni fornite alla stampa – riporta le stesse percentuali cui fa riferimento Fratoianni. A metà del 2017 (fine del primo semestre), il 20 per cento più ricco degli italiani deteneva il 66,4 per cento della ricchezza nazionale. Le cifre del leader di Sinistra italiana, dunque, trovano qui conferma in riferimento al 2017.

Sono i dati più recenti? Sembra di no.

La distribuzione della ricchezza nel 2018

Le percentuali cui fa riferimento Fratoianni, come abbiamo visto, sono relative al 2017. A gennaio 2019, ancora una volta in occasione dell’annuale World Economic Forum, Oxfam Italia ha pubblicato il rapporto Bene pubblico o sicurezza privata? che parla anche della distribuzione della ricchezza nel nostro Paese e fornisce dati aggiornati.

Tra i cinque motivi che per Oxfam Italia sono centrali per «combattere la disuguaglianza», al primo posto c’è la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Nel comunicato stampa relativo alla pubblicazione del rapporto si legge che «in Italia, a metà 2018, il 20 per cento più ricco dei nostri connazionali possedeva circa il 72 per cento dell’intera ricchezza nazionale».

Dunque, guardando ai dati più recenti forniti da Oxfam, in Italia la ricchezza posseduta dal 20 per cento della popolazione è aumentata tra il 2017 e il 2018 di 6 punti percentuali, passando dal 66 per cento al 72 per cento.

Nicola Fratoianni riporta quindi un dato non aggiornato.

La ricchezza e le sue misure


Come avevamo già sottolineato in una nostra precedente analisi, in passato i rapporti stilati dall’Oxfam hanno fatto discutere. I temi, legati principalmente alla povertà e alla distribuzione della ricchezza, sono spesso trattati con titoli accattivanti, evidenziando i dati che creano maggior scalpore e utilizzando parole chiavi semplici da memorizzare, ma non sempre la metodologia è condivisibile.

I dati Oxfam relativi all’Italia in questo caso specifico sembrano però trovare conferma, almeno indirettamente, anche altrove. Infatti, come avevamo dimostrato, guardando sia la Banca d’Italia sia l’Ocse riportano delle informazioni in linea con quelle condivise dall’Oxfam.

Il rapporto Ricchezza e disuguaglianza in Italia, pubblicato dalla Banca d’Italia nel 2012 riportava, guardando al 2008, che «il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 40 per cento dell’intero ammontare di ricchezza netta».

Sempre nel 2008, il rapporto Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries stilato dall’Ocse aveva evidenziato come a partire dai primi anni Novanta in Italia disuguaglianza e povertà fossero cresciute rapidamente e, «da livelli simili alla media Ocse si é passati a livelli vicini a quelli degli altri paesi dell’Europa del Sud», registrando «un livello comparativamente elevato» e ricoprendo, tra i 30 Paesi in esame, «il sesto più grande gap tra ricchi e poveri». Si trova poi conferma di quanto riportato dalla Banca d’Italia: la distribuzione diseguale della ricchezza rispetto al reddito ha fatto sì che in Italia «il 10 per cento più ricco detiene circa il 42 per cento del valore netto totale» della ricchezza.

Il confronto con gli altri Paesi

Per misurare la disuguaglianza economica possiamo poi guardare all’indice di Gini che misura, a livello globale, la distribuzione della ricchezza. La variazione è compresa tra lo 0 e l’1 dove, con 0, si indica una situazione in cui tutti i cittadini hanno lo stesso reddito e, con 1, una situazione in cui una sola persona percepisce tutto il reddito del Paese. In altre parole, quindi, più basso è il valore dell’indice di Gini e più equa è la distribuzione della ricchezza.

Secondo Eurostat, che utilizza l’indice di Gini ma sulla scala da 0 a 100[1], nel 2017 l’Italia ricopriva la ventiduesima posizione (ottenendo 32,7 punti), attestandosi quindi tra i Paesi con le diseguaglianze più marcate nella Ue. Siamo seguiti da alcuni dei principali Stati europei (come Regno Unito e Spagna) ma preceduti da altri (Francia e Germania).

Un ricerca pubblicata ad aprile 2019 dal World Inequality Database, progetto che si occupa di raccogliere e rendere accessibili tutti i dati relativi alla distribuzione del reddito e della ricchezza, ha preso in esame anche la realtà italiana. Emerge, come riporta anche Il Sole 24 Ore, come nel nostro Paese il reddito della fascia più povera della popolazione abbia un andamento negativo mentre la fascia più ricca mantiene quello positivo. In altre parole, i ricchi continuano a guadagnare sempre di più e i poveri sempre meno, creando una diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza sempre più marcata.

Il verdetto


Nicola Fratoianni ha dichiarato che in Italia il 66 per cento della ricchezza nazionale è posseduto dal 20 per cento della popolazione.

Il leader di Sinistra italiana riporta un dato corretto ma non aggiornato. Le percentuali sono corrette se si guarda ai dati Oxfam relativi al 2017. Se, invece, si guardano agli stessi dati ma relativi al 2018 le percentuali cambiano: il 20 per cento della popolazione italiana detiene il 72 per cento della ricchezza nazionale.

Oxfam non è sempre ritenuta una fonte sicura, ma – dando numeri sostanzialmente compatibili con quelli della Ong – anche altre autorevoli istituzioni, e altri indici, sottolineano come in Italia ci sia una situazione di forte diseguaglianza sociale.

Vista l’imprecisione, Nicola Fratoianni merita un “C’eri quasi”.




[1] L’indice di Gini può essere moltiplicato per cento, diventando così un valore tra 0 e 100. Questa scelta rende più semplice la rappresentazione grafica e la comprensione del trend di crescita o decrescita negli anni.