Il 4 febbraio la ministra per il Sud Barbara Lezzi, ospite a DiMartedì su La7, ha difeso (min. 3’ 25’’) la legge di Bilancio per il 2019 e gli aumenti dell’Iva previsti dal governo per i prossimi anni.



Secondo la senatrice del Movimento 5 stelle, l’attuale maggioranza si è trovata a dover disinnescare 12 miliardi e mezzo di cosiddette “clausole di salvaguardia” solo per il 2019. «Poi ce n’erano 19,2 miliardi per il 2020, 19,6 per il 2021», ha aggiunto Lezzi. «Totale: poco più di 50 miliardi, esattamente quello che c’è adesso per il prossimo biennio».



Abbiamo verificato e, al netto di alcune osservazioni, Lezzi ha ragione.



A che cosa servono le clausole di salvaguardia



Le clausole di salvaguardia sono un meccanismo di finanza pubblica che negli ultimi anni ha avuto sempre più importanza per mantenere in ordine il bilancio dello Stato. Il loro scopo infatti è quello di far sì che l’Italia rispetti determinati vincoli economici, stabiliti dalle norme dell’Unione europea.



In sostanza, se un governo non raggiunge alcuni obiettivi di finanza pubblica, vengono attivati automaticamente aumenti di determinate tasse – solitamente l’Iva e le accise sui carburanti – e tagli alla spesa pubblica, volti a “salvaguardare”, appunto, il bilancio dello Stato.



Grazie all’aumento delle entrate o alla riduzione delle uscite un governo può però trovare le risorse per bloccare l’attivazione di questo meccanismo, “sterilizzando” di fatto gli effetti delle clausole di salvaguardia.



Nel 2011, con i decreti legge 98 e 138, fu l’ultimo governo Berlusconi a introdurre le prime norme di questo tipo: se entro il 2012 non fossero stati trovati nella spesa pubblica 20 miliardi di euro da razionalizzare, sarebbe scattato un taglio lineare di alcune agevolazioni fiscali.



L’esecutivo tecnico di Mario Monti riuscì a trovare una parte di queste risorse, ma con il decreto legge 201 del 2011 decise che l’Iva sarebbe aumentata dal 21 per cento al 22 per cento a partire dal 1° ottobre 2013, come in effetti avvenne.



Negli ultimi anni, i governi Renzi e Gentiloni hanno rinviato con le leggi di bilancio annuali l’attivazione delle clausole, trovando di volta in volta i soldi necessari per evitare gli aumenti sistematici.



Le clausole di salvaguardia del governo Gentiloni



Il precedente esecutivo guidato da Paolo Gentiloni (Partito democratico), con la legge di Bilancio approvata in via definitiva il 23 dicembre 2017 (articolo 1, comma 2), aveva bloccato l’aumento dell’Iva per l’anno successivo. Ma aveva comunque lasciato in eredità alcune clausole di salvaguardia per il triennio successivo.



Per il 2019, infatti, il governo Gentiloni aveva previsto un aumento complessivo dell’Iva di circa 12,4 miliardi di euro: 3,4 miliardi di euro per l’aumento dell’Iva agevolata (dal 10 all’11,5 per cento) e circa 9 miliardi di euro per l’aumento dell’Iva ordinaria (dal 22 al 25,4 per cento).



Per il 2020, la crescita prevista per l’Iva era di circa 18,8 miliardi di euro: 6,9 miliardi di euro per l’aumento dell’Iva agevolata (dall’11,5 al 13 per cento) e circa 11,8 miliardi di euro per l’aumento dell’Iva ordinaria. Per l’anno successivo, l’aumento previsto superava i 19 miliardi di euro, con l’aliquota dell’Iva agevolata al 13 per cento e quella dell’Iva ordinaria 25 per cento.



Per il 2020 e il 2021, vanno anche aggiunti gli aumenti delle accise sulla benzina (350 milioni di euro per anno).



Ricapitolando: l’ultimo governo Pd aveva stabilito clausole di salvaguardia per un valore totale di circa 51,2 miliardi di euro, come affermato correttamente da Lezzi.



Ma gli aumenti previsti dall’ultima legge di Bilancio del governo Conte hanno davvero lo stesso valore?



Le clausole di salvaguardia del governo Conte



Con la legge di Bilancio 2019 (articolo 1, comma 2), l’esecutivo Lega-M5s è riuscito a sterilizzare gli aumenti dell’Iva previsti per quest’anno. Contemporaneamente, però, ha inserito delle nuove clausole di salvaguardia per i prossimi due anni.



Per il 2020, è infatti previsto un aumento dell’Iva agevolata dal 10 al 13 per cento, garantendo un gettito annuale di circa 8,6 miliardi di euro (anche per il 2021). L’Iva ordinaria dovrebbe invece passare dal 22 al 25,2 per cento, crescendo quindi di quasi 14 miliardi di euro. Per l’anno successivo, la percentuale dovrebbe salire ancora, fino al 26,5 per cento, permettendo un guadagno per lo Stato di oltre 19,6 miliardi di euro.



A questi aumenti, va aggiunto anche quello delle accise sui carburanti, che cresceranno di 400 milioni di euro sia nel 2020 che nel 2021.



Ricapitolando: il governo Conte, per i prossimi due anni, ha stabilito clausole di salvaguardia per un valore di circa 51,6 miliardi di euro, una cifra simile a quella decisa dall’esecutivo Gentiloni ma distribuita su un periodo più lungo, per il triennio 2019-2021.



Le tasse sono certe, non però queste



Prima di arrivare al verdetto, è necessario fare alcune osservazioni sul tema.



Innanzitutto, questi aumenti non sono certi: se con la prossima legge di Bilancio saranno trovate le risorse necessarie per sterilizzare le clausole di salvaguardia, l’Iva e le accise non cresceranno. Una promessa fatta già diverse volte dal governo negli ultimi mesi.



A differenza della scorsa legislatura, però, il problema è nel valore delle clausole dei singoli anni. Un conto è reperire i soldi per bloccare aumenti per circa 12,5 miliardi di euro (come avvenuto per il 2019), un altro sarà trovarne 23 miliardi di euro per il prossimo anno.



In secondo luogo, per la fine del triennio, il governo Conte ha previsto un aumento dell’aliquota dell’Iva ordinaria maggiore rispetto a quella del governo Gentiloni. Nel 2021, infatti, se le clausole non saranno bloccate, questa aliquota raggiungerà il 26,5 per cento, contro il 25 per cento deciso invece nella scorsa legislatura.



Secondo alcuni economisti, come Carlo Cottarelli (direttore dell’Osservatorio Conti pubblici italiani dell’Università Cattolica), c’è poi una sostanziale differenza tra le clausole introdotte dai precedenti esecutivi e quelle approvate dal governo Lega-M5s. In passato, gli aumenti di Iva e accise erano stati previsti per rispettare gli obiettivi comunitari di riduzione del deficit, ossia la differenza tra quando lo Stato incassa e spende ogni anno.



Oggi, invece, gli aumenti per il 2020 e 2021 non sono stati inseriti per questo obiettivo, ma per coprire l’aumento della spesa – e di conseguenza del deficit – necessaria a finanziare interventi come il reddito di cittadinanza e “quota 100”.



Il verdetto



La ministra per il Sud Barbara Lezzi ha dichiarato che le clausole di salvaguardia stabilite dal governo Conte per il 2020 e il 2021 hanno lo stesso valore di quelle decise dall’esecutivo Gentiloni.



Al netto di alcune osservazioni, l’esponente del M5s ha ragione: per il triennio 2019-2021, a fine 2017 il governo a guida Pd aveva stabilito aumenti complessivi di Iva e accise per un valore di 51,2 miliardi di euro. Per i prossimi due anni, invece, Lega e M5s hanno stabilito aumenti complessivi per un valore simile, pari a 51,6 miliardi di euro.



In conclusione, comunque, Lezzi merita un “Vero”.