Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha scritto su Facebook e Twitter che «in Italia i profughi veri arrivano in aereo», mentre sarebbero già arrivati troppi «clandestini sui barconi».

La frase del leader della Lega è però scorretta, per almeno due motivi. Vediamo quali.

I rifugiati arrivati in Italia dal 2013

La distinzione tra «veri» e «finti» profughi ricorre spesso nei discorsi di Salvini. Secondo il ministro dell’Interno, un «vero profugo» è chi ottiene lo status di rifugiato, che insieme alla sussidiaria è una delle due protezioni internazionali che si possono ottenere in Italia. Il terzo tipo di protezione, quella umanitaria, non è internazionale, ed è stata abolita dal governo con il cosiddetto “decreto sicurezza” (n. 113/2018), sostituendola con alcuni permessi di tipo speciale.

Ma molti «veri profughi», anche secondo la definizione di Salvini, sono arrivati in Italia via mare o via terra. I dati del Ministero dell’Interno mostrano infatti che dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2018, oltre 28 mila richiedenti asilo arrivati in Italia non in aereo – ma via mare o terra – hanno ottenuto lo status di rifugiato. Per la precisione, 3.078 nel 2013; 3.649 nel 2014; 3.555 nel 2015; 4.808 nel 2016; 6.827 nel 2017; 7.457 nel 2018 (ottenuti sommando i dati disaggregati per ogni mese).

Inoltre, l’espressione «veri profughi» è generica e contiene un chiaro giudizio di valore. Se consideriamo anche i migranti non arrivati in aereo che hanno ricevuto dalle Commissioni territoriali una tra le altre due forme di protezione – quella sussidiaria e quella umanitaria, di recente abolita dal governo con il “decreto sicurezza” (n. 113/2018), diventato legge il 28 novembre 2018 –, scopriamo che dal 2013 a oggi il loro numero totale è di oltre 138.700 individui.

Perché i richiedenti asilo non arrivano in aereo

Perché questi migranti, e in particolare i rifugiati, si affidano a organizzazioni criminali, rischiando la vita nel Mediterraneo, invece di prendere un aereo per raggiungere l’Europa e chiedere asilo? Inoltre, il viaggio via aereo costa in genere meno della lunga, difficile e pericolosa traversata via terra e poi via mare, oltre ad essere enormemente più rapido.

La risposta è che ci sono diversi ostacoli pratici a chi vuole lasciare un Paese per richiedere asilo altrove, sia nel Paese di partenza che in quello di arrivo, che rendono questa strada di fatto non percorribile.

Per avere la possibilità di presentare una richiesta di asilo, salvo casi particolari, bisogna trovarsi nel Paese a cui si vuole chiedere protezione. Per poterlo fare, però, servono alcune condizioni necessarie.

Una prima condizione è avere un passaporto. Paesi come l’Eritrea concedono questo documento solo a chi ha sostenuto il servizio di leva; ma evitare la leva obbligatoria è uno dei motivi che spinge i giovani eritrei ad abbandonare il continente africano. Come spiega ad esempio il rapporto Just deserters di Amnesty International, il servizio militare prevede che ogni adulto debba svolgere 18 mesi di leva: i quali però, nella pratica, si trasformano spesso in un arruolamento a tempo indeterminato.

Inoltre, nei Paesi africani, ottenere questo tipo di documento è costoso, un ostacolo ulteriore a quelli burocratici che vedremo a breve. In Ruanda, per esempio, un passaporto costa 50 mila franchi ruandesi, pari a poco più di 49 euro – l’equivalente di quanto guadagna un cittadino ruandese in un mese.

Una seconda condizione è quella di avere un visto turistico, per poter lasciare il Paese da cui si sta cercando di scappare. Ma per ottenerlo bisogna rendere verosimile il proprio intento di soggiornare in Italia per una vacanza. Se un cittadino pakistano volesse per esempio venire nel nostro Paese per un breve periodo, dovrebbe presentare 15 documenti, che confermino – tra le varie cose – la struttura alberghiera in cui vuole soggiornare, lo stipendio degli ultimi sei mesi (certificato dalla propria banca), la prenotazione dei biglietti aerei e la sottoscrizione di un’assicurazione sanitaria.

La Convenzione di Ginevra

Come mostra il sito Passport Index, un cittadino dell’Afghanistan può andare in 29 Paesi senza bisogno di avere un visto. Tra questi, ci sono nazioni come l’Uganda, la Somalia e il Mozambico. Perché un cittadino afghano non prova a chiedere protezione lì, invece che venire in Italia?

Innanzitutto, questi Stati non sembrano offrire a chi migra condizioni di vita migliori rispetto al proprio Paese di origine.

Inoltre, un cittadino extra-Ue che vuole chiedere protezione fuori dai propri confini è vincolato dalle convenzioni firmate dai vari Stati nel mondo. Lo status di rifugiato può essere infatti assegnato dai Paesi che non solo hanno firmato e ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951, ma anche i protocolli introdotti nei decenni successivi. Diversi Stati hanno sì siglato la convenzione, ma non questi protocolli.

L’unione di questi fattori – migliori standard di vita e firma della Convenzione di Ginevra e dei protocolli – spiega perché un potenziale rifugiato sceglie un Paese come l’Italia quando vuole fuggire dal proprio Paese per chiedere protezione.

Qual è il ruolo delle compagnie aeree?

Un’altra opzione, apparentemente plausibile, è questa: un migrante compra un biglietto aereo, e senza visto prova ad abbandonare il proprio Paese, atterrando in Europa e chiedendo protezione.

Il problema qui riguarda il ruolo delle compagnie aeree. Come ha spiegato in un video Hans Rosling, co-fondatore della Gapminder Foundation (che promuove lo sviluppo globale sostenibile e l’uso dei dati nella didattica), esiste una direttiva europea – la 2001/51/EC – che sanziona le compagnie che trasportano passeggeri privi di documenti di viaggio validi.

In teoria, questa direttiva non pregiudica gli impegni presi dalla firma della Convenzione di Ginevra, e non può quindi privare rifugiati o richiedenti tali di poter viaggiare. Questa limitazione di fatto avviene, perché la norma delega alle compagnie aeree la responsabilità di scegliere chi far imbarcare o meno, spingendole a non accettare nessuno che non abbia documenti di viaggio validi.

Secondo Rosling, questa norma europea è la causa principale che spinge i migranti a scegliere la rotta nel Mediterraneo – il cui costo supera il migliaio di dollari – invece che comprare un biglietto aereo.

I corridoi umanitari

In realtà, esiste una via legale per permettere ai profughi di arrivare in Italia con l’aereo. I corridoi umanitari infatti sono un progetto pilota – realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese, completamente autofinanziato – che consente di arrivare nel nostro Paese legalmente, con un visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo. A novembre 2018, lo stesso Salvini era andato all’aeroporto di Pratica di Mare, nel Lazio, in occasione dell’arrivo di oltre 50 rifugiati all’interno di questo progetto.

A oggi, però, questo esperimento coinvolge numeri relativamente ridotti. Dal 2016, in Italia sono stati infatti portati al sicuro in Italia più di 1.800 persone, come siriani in fuga dalla guerra civile o abitanti del Corno d’Africa.

Che cosa succedeva in passato?

Prima dell’aumento degli sbarchi avvenuto negli ultimi anni, è vero che i flussi migratori avvenivano anche via aereo: i migranti – profughi e non – arrivavano in Italia soprattutto con questo mezzo o via terra. Per chi voleva migrare in Italia da un Paese extra-Ue – per esempio africano o sudamericano – era dunque più facile entrare in Europa atterrando in un aeroporto.

Questo aveva anche a che fare con le modalità di gestione dell’immigrazione degli anni passati, e ancora oggi in vigore, cioè la decisione di quote numeriche annuali con un decreto – il cosiddetto “decreto flussi”. Il governo stabilisce infatti per decreto il numero massimo di lavoratori non comunitari che possono entrare nel Paese ogni anno. Attualmente queste quote per i flussi si sono ridotte notevolmente – sia per la situazione occupazionale italiana sia per l’aumento dei migranti accolti – ma nel 2008, per esempio, questi decreti stabilivano la possibilità di immigrazione per circa 170 mila lavoratori stranieri, che potevano così entrare legalmente in Italia.

In molti casi però – spiega una relazione di alcuni anni fa del Viminale – quei cittadini stranieri che terminato il permesso per motivi di lavoro restava in Italia per chiedere protezione o vivere in una condizione di illegalità (i cosiddetti overstayers). Un fenomeno simile riguardava anche chi entrava in modo regolare nel nostro Paese, ufficialmente per motivi turistici o di studio: cittadini stranieri che, dopo il soggiorno legale, non tornavano nel Paese di origine.

Era un fenomeno molto rilevante fino a qualche anno fa: i dati del Ministero dell’Interno di dieci anni fa spiegano infatti che il 63 per cento dei clandestini presenti nel nostro Paese all’epoca era entrato in Italia atterrando in un aeroporto o arrivando a piedi.

Dunque, se prendiamo per buona la distinzione di Salvini tra «veri» e «finti» profughi, e consideriamo i secondi come quanti non fuggono da guerre o persecuzioni ma sono migranti economici, possiamo dire che per anni l’aereo è stato il canale principale per l’arrivo dei secondi.

Il verdetto

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, con una frase postata sui social, ha lasciato intendere che i «veri» profughi arrivano in Italia in aereo. Chi arriva con i «barconi», via mare, sarebbe invece un immigrato non profugo, economico o comunque non meritevole delle forme più generose di protezione.

Ma i dati del Viminale mostrano che negli ultimi sei anni oltre 29 mila migranti arrivati via mare hanno ottenuto lo status di rifugiato, arrivando in Italia senza prendere un aereo. Inoltre, atterrare in Italia provenendo da uno Stato extra-Ue è oggi praticamente impossibile: bisogna avere documenti come un passaporto e un visto turistico, che sono molto difficili da ottenere in alcuni Paesi.

È vero che esiste una via legale che porta i profughi in Italia su un aereo, i corridoi umanitari. Questa iniziativa umanitaria però riguarda numeri molto bassi e certo minori di quanti hanno ottenuto lo status di rifugiato arrivando via mare negli ultimi anni. “Pinocchio andante” per Matteo Salvini.