Durante una recente diretta Facebook, Luigi Di Maio (M5S) ha passato in rassegna l’operato del governo Conte e ha affrontato la vicenda della nave “Diciotti” della Guardia Costiera Italiana (al tempo della dichiarazione attraccata al porto di Catania).



Il ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle Politiche sociali ha dichiarato che i porti spagnoli possono considerarsi «aperti» solo ora, mentre quelli italiani sono rimasti «spalancati» per più di cinque anni.



Verifichiamo.



Porti chiusi, porti aperti e porti spalancati



L’“apertura” e la “chiusura” dei porti all’arrivo di navi che trasportano migranti soccorsi nel Mediterraneo è stata, negli ultimi mesi, un argomento su cui spesso i nostri politici si sono espressi (qui ne aveva parlato lo stesso Di Maio). La disponibilità da parte di uno Stato a consentire l’attracco delle navi in un porto del proprio territorio è un argomento particolarmente delicato e, in molti casi, gli esponenti politici utilizzano questa espressione senza che sia chiara la valenza metaforica o reale.



Per prima cosa: un porto può essere “chiuso”?



Sì. Un Paese può, potenzialmente, negare uno sbarco tramite la “chiusura” di un proprio porto. Solitamente scelte di questo tipo vengono prese in situazioni di reale pericolo o nel caso in cui siano state violate norme nazionali.



Rifiutare l’accesso ai porti a imbarcazioni che hanno effettuato soccorsi in mare può, però, essere illegittimo.



Infatti, sia il diritto del mare sia la Costituzione italiana (art. 2) hanno tra i propri principi fondanti quello della solidarietà. Inoltre, convenzioni internazionali come, ad esempio, quella di Montego Bay (art. 98), seguono lo stesso principio, obbligando i comandanti delle navi a prestare assistenza a chiunque si trovi in mare in pericolo di vita, fornendo le prime cure e il trasferimento in un luogo sicuro. In questi casi, il porto dello Stato più vicino ha l’obbligo di accogliere la nave.



Un Paese che decida di vietare l’attracco di una nave carica di migranti può poi andare incontro alla violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Secondo quanto sancito dall’art. 4 del protocollo n. 4 della Convenzione, sono infatti vietate le espulsioni collettive di stranieri.



La Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo stilata ad Asburgo nel 1979 stabilisce che tutti gli Stati che hanno nel loro territorio una zona costiera devono assicurare un servizio di ricerca e salvataggio (la cosiddetta “zona SAR” – Search And Rescue). La sigla identifica tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare delle persone in difficoltà.



In base al principio della SAR, i mari del pianeta sono stati suddivisi in alcune macro-aree e sono nati centri di coordinamento dei soccorsi. Le linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare specificano che il governo responsabile per la regione SAR in cui avviene il recupero sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che sia fornito altrove.



“Chiudere” un porto, quindi, non è una decisione semplice e comporta, se presa in condizioni particolari, il rischio di violare il diritto internazionale, con possibili condanne – per i Paesi europei – da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.



Ma vediamo qual è la situazione in Italia e in Spagna.






Migranti via mare (e via terra) in Spagna



Secondo i dati riportati dall’Unhcr e aggiornati al 26 agosto 2018, sono 33.377 i migranti che hanno raggiunto il territorio spagnolo nel corso di quest’anno. Di questi, la grande maggioranza – 28.970 – sono arrivati via mare.



Il numero è in netto aumento, se guardiamo alle cifre degli ultimi anni. Nel 2017 il numero di migranti approdati sulle coste spagnole era stato pari a 22.103 unità. Nel 2016 questo stesso dato era di soli 8.612 individui. I numeri degli anni precedenti sono ancora inferiori: l’Unhcr riporta, infatti, un totale di 5.283 persone sbarcate in Spagna nel 2015 e di 4.632 nel 2014.






Tabella 1: Numero di migranti arrivati via mare in Spagna (*dato al 26.08.2018) – Fonte: Unhcr



Parte dei flussi delle migrazioni irregolari che interessano i territori spagnoli avvengono via terra: si tratta di coloro che raggiungono le enclavi spagnole in Africa di Ceuta e Melilla. Al 26 agosto 2018 sono stati 4.407 gli individui che hanno raggunto irregolarmente queste aree. Durante l’intero 2017 si erano contate 6.246 persone, in aumento rispetto all’anno precedente (5.932 unità) ma in calo rispetto al 2015 (10.980 unità). Nel 2014 il dato risultava in linea con quelli degli ultimi due anni e pari a 7.084 unità.




Gli sbarchi in Italia



Al 28 agosto 2018, secondo i dati condivisi dall’Unhcr, sono 19.897 i migranti che hanno raggiunto il nostro Paese via mare: nei primi otto mesi dell’anno, quindi, l’Italia ha accolto meno migranti rispetto al Pease iberico.



Questa tendenza è, però, solo recente.



Nel 2017, infatti, in Italia sono sbarcate 119.369 persone, in calo rispetto alle 181.436 del 2016 e alle cifre raggiunte nei due anni precedenti (rispettivamente 153.842 unità per il 2015 e 170.100 per il 2014).






Tabella 2: Numero di migranti arrivati via mare in Italia (*dato al 28.08.2018) – Fonte: Unhcr



Le scelte di Madrid



I dati evidenziano come l’Italia abbia, negli ultimi cinque anni, accolto via mare un numero molto maggiore di migranti rispetto a quanto fatto dalla Spagna. Tra il 2014 e 2018 (fino al mese di agosto) possiamo stimare per il nostro Paese un totale di circa 644.000 individui. Nello stesso periodo il governo spagnolo ha accolto circa 70.000 migranti, poco più di un decimo. Il numero sale a 103.600 – un sesto circa – se si contano anche i flussi migratori verso Ceuta e Melilla.



Questo squilibrio è in parte dovuto alla posizione geografica dei due Paesi, oltre che ad approcci politici e diplomatici differenti. L’Italia è, infatti, la principale meta di approdo per coloro che lasciano la Libia, territorio che, dal 2011, è in una situazione di fortissima instabilità. I flussi migratori che interessano la Spagna provengono, invece, soprattutto dal Marocco, realtà politica più stabile.



Al di là dei numeri, comunque, Di Maio commenta una scelta politica: vediamo allora come si è comportata la Spagna nella gestione dei flussi migratori recenti.



Per quanto riguarda gli arrivi via mare, la Spagna ha stretto da anni alcuni accordi di cooperazione con alcuni Paesi dell’Africa settentrionale (Marocco, Senegal e Mauritania) che hanno portato a “esternalizzare” il controllo delle frontiere. La Spagna ha infatti deciso di finanziare e, in parte, equipaggiare, gli Stati di transito, così che i migranti vengano qui trattenuti evitando le partenze e, di conseguenza, gli sbarchi sulle coste spagnole. Questi accordi hanno permesso ad esempio di interrompere, di fatto, la rotta migratoria via mare che dal Senegal raggiungeva le Isole Canarie.



Per quanto riguarda il confine terrestre tra Ceuta e Melilla, territori spagnoli, e il Marocco, le misure adottate dal governo spagnolo sono state oggetto di critica da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel mirino è l’accusa di condurre azioni di polizia violente contro chi tenta di immigrare a Ceuta e Melilla: in diversi casi, chi riesce a scavalcare la rete di confine viene respinto in territorio marocchino con l’uso della forza e senza alcun procedimento legale.



Riportiamo la nostra attenzione ai flussi migratori via mare. Come ci aveva spiegato l’esperto di diritto marittimo ammiraglio Fabio Caffio, da noi sentito in occasione di un’analisi su un argomento simile, «la Spagna ha storicamente condotto operazioni di ‘interdizione marittima’, cioè le navi che partivano dalle coste africane venivano riaccompagnate nei porti di partenza. Questo anche grazie al sistema SIVE».



Il Sistema Integrado de Vigilancia Exterior (SIVE) è un apparato di rilevazione, controllo e pattugliamento delle coste mediterranee e atlantiche. Grazie all’elaborazione dei dati ricevuti dai radar delle navi che operano nelle acque in questione, i video delle stazioni lungo le coste e le tracce satellitari e aree, Madrid controlla il traffico marittimo che può potenzialmente interessare le coste.



Queste informazioni mostrano come il governo spagnolo abbia adottato una serie di misure per limitare l’approdo di migranti via mare, anche senza arrivare alla “chiusura” dei porti – una misura di cui, di fatto, la Spagna non ha avuto bisogno negli ultimi anni, dato che le sue politiche hanno teso più che altro a limitare gli arrivi.



Il verdetto



Luigi Di Maio ha recentemente affermato che la Spagna ha aperto solo ora i propri porti mentre quelli italiani sono rimasti “spalancati” per per più di cinque anni.



Di certo, tra il 2014 e il 2018 l’Italia ha accolto molti più migranti rispetto a quelli che hanno raggiunto i porti spagnoli: sono circa 644.000 le persone arrivate in Italia via mare rispetto alle 70.000 approdate in Spagna. Se, però, facciamo riferimento al solo 2018, lo scenario cambia: la Spagna vede una netta crescita del numero di migranti sbarcati (20.970) tanto da superare le cifre italiane (19.897).



Dunque, si sta verificando in effetti il fenomeno più generale a cui Luigi Di Maio sembra fare allusione – un aumento degli sbarchi in Spagna rispetto agli scorsi anni. Parlare di “apertura” e “chiusura” dei porti è però fuorviante. Infatti le diverse misure prese dal governo spagnolo negli ultimi anni per limitare il flusso di migranti irregolari si sono concentrate sul limitare le partenze e gli arrivi (come il sistema SIVE e gli accordi con i Paesi di transito), senza bisogno di negare le autorizzazioni a sbarcare nei porti spagnoli.



“Nì” per il leader del Movimento 5 Stelle.



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2018-09-04 13:47:30 UTC
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Pagella Politica rating logo Pagella Politica Verdetto:
«La Spagna sta aprendo adesso i porti, dopo che noi per oltre 5 anni li abbiamo tenuti spalancati»
Luigi Di Maio
Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico
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domenica 26 agosto 2018
2018-08-26