Durante la presentazione alla Camera dei Deputati di una mozione di Forza Italia per favorire il ritorno delle aziende italiane che hanno trasferito le loro attività imprenditoriali all’estero – il cosiddetto reshoring – la capogruppo dei senatori azzurri, Anna Maria Bernini, ha citato alcune cifre.



Anna Maria Bernini ha affermato che, lo scorso anno, è stato registrato un grande aumento di investimenti italiani all’estero (180 miliardi) e una diminuzione di 24 miliardi degli investimenti stranieri in Italia.



Verifichiamo la sua dichiarazione.



Gli investimenti diretti esteri




L’affermazione della senatrice Bernini fa parte di una critica più ampia riguardo l’inadeguatezza del Belpaese nel favorire gli imprenditori nostrani, che sarebbero così costretti – secondo la senatrice di Forza Italia – a ricollocare aziende e fare investimenti in terra straniera.



Per cominciare a verificare la situazione, un primo passo è controllare se effettivamente vi sia stata una riduzione degli investimenti di capitale in e dall’Italia.



Seguendo la metodologia adottata dalla Banca d’Italia e dal Fondo Monetario Internazionale, gli investimenti effettuati dalle aziende per l’acquisizione del controllo di attività già esistenti, o per la creazione di nuove imprese, vengono contabilizzati alla voce “investimenti diretti” della bilancia dei pagamenti. Questa è una parte importante della contabilità nazionale che registra le transazioni dei residenti in un Paese con il resto del mondo: sia il commercio con l’estero che le transazioni di immobili o le attività finanziarie.



Gli investimenti diretti esteri, o IDE, vengono registrati come attività se effettuati da imprese italiane, e come passività se effettuati in Italia da imprese straniere. Dunque, se l’affermazione della capogruppo fosse vera, dovremmo notare una forte riduzione del saldo degli investimenti diretti tra il 2016 e il 2017.






Tabella 1: Bilancia dei pagamenti dall’Italia (saldi in milioni di euro) – Fonte: elaborazioni ICE su dati Banca d’Italia



Per prima cosa, l’entità degli investimenti diretti non è lontanamente paragonabile alle cifre riportate dalla senatrice, come mostrano i dati forniti dalla stessa Banca d’Italia e rielaborati dall’agenzia ICE, l’ente governativo italiano che si occupa del commercio estero. Gli investimenti diretti in uscita si aggirano infatti intorno ai 6,5 miliardi per il 2017 e quelli in entrata sono intorno ai 17,7 miliardi nello stesso anno. Come si può notare dalla tabella, la riduzione di 7,2 miliardi tra il 2016 e il 2017 riguarda una diminuzione degli investimenti italiani verso aziende controllate all’estero, e non viceversa.



Inoltre, il rapporto dell’agenzia ICE Italia Multinazionale 2017 certifica che «la media dei flussi di IDE in uscita dall’Italia nel quinquennio 2012-2016 è stata pari a meno di 21 miliardi di dollari/anno, contro gli oltre 54 miliardi del quinquennio precedente». Un trend che rende per lo meno dubbio un improvviso balzo a 180 miliardi per il 2017.



I flussi di capitale finanziario da e per l’Italia




I dati sugli investimenti diretti verso e dall’estero per il 2017 non confermano la fuga di investimenti italiani ipotizzata da Anna Maria Bernini.












Inoltre, 180 miliardi costituiscono una quantità ragguardevole di capitale – nello specifico il 9,5% del PIL del 2017 e più della metà degli investimenti fissi lordi effettuati in Italia in quell’anno. Sorge il dubbio che la senatrice Bernini si stesse riferendo alla variazione di altri tipi di trasferimenti oltre confine.



Ad esempio, le decisioni di investimento nei mercati finanziari, piuttosto che con le ipotizzate difficoltà affrontate dagli imprenditori nostrani. Ma collegare le variazioni di quel tipo di flusso di capitali agli ostacoli burocratici che caratterizzano l’attività imprenditoriale in Italia è quanto meno fuorviante.



Ad ogni modo, per comprendere se la senatrice abbia effettivamente confuso la natura di questi investimenti, guardiamo ai dati sui flussi finanziari.



Cosa dice la Banca d’Italia?



Per prima cosa, guardiamo a quello che hanno fatto i risparmiatori e gli investitori italiani. La Banca d’Italia ha certificato che negli ultimi anni vi è stata una cospicua diversificazione del portafoglio finanziario da parte degli italiani. In seguito alla diminuzione dei rendimenti dei titoli nostrani – dovuto in larga parte al massiccio piano di acquisti effettuato dalla Banca Centrale Europea ( il cosiddetto quantitative easing, QE) -, gli italiani hanno iniziato ad acquistare strumenti di diritto estero e a detenere meno titoli di Stato e di banche italiane.



Questi movimenti sono naturalmente stati fatti per lo più dagli investitori professionali. Si tratta di una “fuga di capitali”? La Banca d’Italia lo ha negato con decisione in un comunicato recente. Nell’interpretazione della Banca d’Italia, questi movimenti sono piuttosto una ricerca di investimenti più diversificati e redditizi, e non sono frutto di un maggior “rischio-Paese” che avrebbe portato molti a disinvestire, ad esempio, nei titoli di Stato italiani.



Gli investitori esteri



E gli stranieri? In effetti, una diminuzione degli investimenti finanziari da parte di operatori stranieri in Italia c’è stata, ma questa ha riguardato più l’anno 2016 che il 2017. Se andiamo infatti a leggere i bollettini economici pubblicati dalla Banca d’Italia, scopriamo che nel 2016 i non residenti hanno ridotto di 24,6 miliardi complessivi i loro investimenti in titoli di Stato italiani (forse proprio quei 24 miliardi ai quali si riferiva la senatrice) mentre nel 2017 hanno aumentato i loro investimenti di 3,6 miliardi.



Nel frattempo, come abbiamo detto, gli investitori residenti hanno invece continuato nel processo di diversificazione del portafoglio tramite l’acquisto di titoli esteri, un fenomeno iniziato nel 2014. Nello specifico, l’acquisto di titoli esteri è stato di 78,7 miliardi nel 2016 e a 127,1 nel 2017, cifre elevate ma comunque diverse dai 180 miliardi riportati dalla capogruppo dei senatori forzisti.



Il sistema Target 2



Per conoscere questi movimenti più nel dettaglio bisogna ora introdurre un aspetto tecnico del sistema dei pagamenti tra gli Stati: il TARGET 2. La sigla sta per Trans-european Automated Real-time Gross settlement Express Transfer system 2 ed è – nelle parole della BCE – «la principale piattaforma europea per il regolamento di pagamenti di importo rilevante; viene utilizzato sia dalle banche centrali sia dalle banche commerciali per trattare pagamenti in euro in tempo reale».



Tecnicamente, ogni transazione effettuata dall’Italia verso paesi dell’Eurozona viene registrata come debito della Banca d’Italia verso la BCE, mentre ogni transazione fatta verso l’Italia viene registrata come credito della Banca d’Italia nei confronti della BCE. Se un Paese riceve più capitale di quanto ne dà all’estero – che sia tramite la vendita di merci e servizi o di titoli nazionali a un partner dell’area euro – il suo saldo TARGET 2 è positivo. In caso contrario è negativo.



Come spiegato in uno dei bollettini economici rilasciati di recente dalla Banca d’Italia, «un miglioramento del saldo passivo della Banca d’Italia nei confronti della BCE sul sistema dei pagamenti TARGET 2 può riflettere investimenti in Italia da parte dei non residenti (maggiori passività), disinvestimenti di attività estere da parte dei residenti (minori attività) o un saldo di conto corrente e conto capitale in attivo».






Fonte: Bollettino economico n. 2 / 2018 – Banca d’Italia







Dalla scomposizione del saldo TARGET 2 si vede il consistente incremento degli investimenti italiani in titoli stranieri nel 2016 e nel 2017 (istogrammi azzurri) e i minori investimenti stranieri in titoli pubblici italiani per il 2016 rispetto al 2017 (istogrammi blu).



Essi corrispondono alle cifre citate in precedenza, come riportate dai bollettini della Banca d’Italia. Questi movimenti, insieme ad altri flussi verso l’estero, hanno contribuito alla crescita da -247 (dicembre 2015) a -439 (dicembre 2017) miliardi del nostro debito nel sistema TARGET 2.



In definitiva, se si prendono per validi i dati e le affermazioni della Banca d’Italia si può comprendere come l’affermazione della senatrice sia sbagliata sotto diversi aspetti. In primo luogo, questi movimenti riguardano le scelte degli investitori nei mercati finanziari, non le decisioni di investimento degli imprenditori italiani verso l’estero e viceversa.



In secondo luogo, gli investimenti di capitale in titoli esteri non costituiscono necessariamente una “fuga verso l’estero”: potrebbero essere semplicemente il desiderio di diversificare e rendere più redditizio il proprio portafoglio da parte dei risparmiatori italiani.



Il verdetto



Anna Maria Bernini ha dichiarato che, secondo un dato relativo allo scorso anno, gli investimenti italiani verso l’estero sono aumentati di 180 miliardi, mentre gli investimenti stranieri in Italia sono diminuiti di 24 miliardi. Non siamo riusciti a trovare alcuna fonte che confermasse l’affermazione della senatrice Bernini. L’unica dato inerente a una possibile fuga di capitali – smentita però dalla Banca d’Italia – ha a che fare con problematiche di natura finanziaria e con gli scompensi all’interno dell’Eurozona. Gli investimenti diretti esteri in uscita dall’Italia, invece, sono di circa 6,5 miliardi per il 2017 e quelli in entrata intorno ai 17,7 miliardi nello stesso anno. Cifre e trend molto diversi da quelli citati da Bernini, che dunque merita un “Pinocchio andante”.












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2018-08-06 13:19:24 UTC
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Pinocchio andante
«Abbiamo un dato, relativo all’anno scorso, che è inquietante: ci sono 180 miliardi di investimenti italiani all’estero in più e 24 miliardi di investimenti stranieri in Italia in meno. Il dato è assolutamente sconfortante».
Anna Maria Bernini
Senatrice Forza Italia
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martedì 17 luglio 2018
2018-07-17