In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, il ministro uscente dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha parlato del costo del lavoro in riferimento al caso Embraco. Il ministro sostiene che i lavoratori dell’Est Europa, in questo caso con riferimento particolare alla Slovacchia, vengano pagati “la metà” di quelli italiani.

La circostanza impedirebbe al nostro Paese di competere ad armi pari, secondo il ministro, visto che questi Stati hanno lo stesso accesso al mercato europeo. Sarà vero? Proviamo a verificare.

Il costo del lavoro

Nel 2016, il costo orario medio del lavoro è stato stimato da Eurostat a 25,4 euro nell’Unione Europea, e a 29,8 nella sola zona euro. Una media, tuttavia, che nasconde profonde differenze tra gli Stati membri, come si può vedere immediatamente dal grafico qui sotto.



Costo del lavoro orario stimato, 2016. In blu: salari e stipendi; in arancio: altri costi. Fonte: Eurostat

Si passa infatti dai 4,4 euro della Bulgaria e 5,5 euro della Romania ai 42 euro della Danimarca, seguita a ruota da Belgio (39,2 euro), Svezia (38 euro), Lussemburgo (36,6 euro) e Francia (35,6 euro). E l’Italia?

Il costo del lavoro del nostro Paese si attestava nel 2016 sui 27,8 euro, vale a dire due euro al di sotto della media dell’area monetaria. Quell’anno ben dieci Stati Ue avevano costi più alti.

La Slovacchia, coinvolta nella delocalizzazione di Embraco, ha invece un costo medio del lavoro a 10,4 euro. Una cifra che la piazza al ventesimo posto su 28 tra gli Stati membri dell’UE ma che allo stesso tempo la pone in testa al gruppo dei Paesi dell’Est. Il costo del lavoro orario medio in Repubblica Ceca (10,2 euro), Polonia (8,6 euro) e Ungheria (8,3 euro), senza contare le già citate Bulgaria e Romania, è infatti più basso che in Slovacchia.

I costi non salariali

Finora si potrebbe dire che il ministro Calenda abbia persino arrotondato per difetto, dicendo che un lavoratore dell’Est viene pagato la metà di un lavoratore italiano. Ma il costo del lavoro che prende a riferimento l’Eurostat non è costituito solo dagli stipendi. Ad essi si sommano anche altri costi per l’azienda, come i contributi sociali dei datori di lavoro, i costi della formazione professionale, le spese di assunzione e le imposte inerenti all’occupazione (togliendo poi dal totale eventuali sussidi).

Sempre su Eurostat si può verificare che in Italia la parte “non di stipendio” del costo del lavoro – esclusi i settori dell’agricoltura e della pubblica amministrazione – pesa, in media, per il 27,4% del costo orario, a fronte di una media del 23,9% nell’Ue e del 26% nella zona euro.

Il nostro Paese è dunque al di sopra della media e ha la componente non salariale del costo del lavoro più alta dopo Francia (33,2%), Svezia (32,5%), Lituania (27,8%) e Belgio (27,5%). I costi non salariali, che arrivano fino al 6,6% di Malta, scendono nell’Est Europa: in Ungheria si attestano sul 23,5%, in Romania al 19,9%, in Polonia al 18,4% e in Bulgaria al 15,8%.

La Slovacchia ha invece un dato molto più vicino a quello italiano: 26,4%. In breve: in Slovacchia, i contributi “pesano” sul costo del lavoro più o meno quanto in Italia, mentre la retribuzione media è nel primo caso assai più bassa.

Il confronto tra Italia e Slovacchia

Mettendo a confronto i dati di Italia e Slovacchia si può dunque dire che, nel 2016, il costo orario medio del lavoro slovacco (10,4 euro) valeva il 37,4% di quello italiano (27,8 euro). Una percentuale che non cambia in maniera significativa se si tiene conto della componente non salariale, visto che questo dato è molto simile tra i due Paesi (27,4% per l’Italia e 26,4% per la Slovacchia). Se si applica questa percentuale al costo orario medio del lavoro, si sottraggono 7,6 euro dai 27,8 italiani e 2,7 euro dai 10,4 slovacchi. La parte salariale del costo orario medio del lavoro vale così 19,8 euro in Italia e 7,7 euro in Slovacchia. Ciò significa che, nel 2016, un lavoratore slovacco è stato pagato in media il 38,8% di un lavoratore italiano.

Il mercato europeo

Calenda dice anche che per l’Italia “è difficile competere ad armi pari visto che questi Stati hanno pari accesso al mercato europeo”. All’interno del mercato unico dell’Ue possono in effetti circolare persone, merci, servizi e denaro di tutti gli Stati membri dell’Unione come se si muovessero all’interno di un singolo Paese. La Slovacchia, coinvolta nel caso Embraco, è tra l’altro al momento l’unico Stato tra i quattro orientali del cosiddetto “blocco di Visegrad” a far parte dell’Eurozona. Bratislava ha infatti adottato la moneta unica a partire dal 1° gennaio 2009.

Molti altri elementi – oltre ai livelli delle retribuzioni – entrano però nella competizione tra Paesi. Uno di questi, ad esempio, è la produttività. Senza scendere nel dettaglio, e specificando che la materia richiederebbe una lunga discussione, ci limitiamo a segnalare solo un report del 2013 dell’Istituto Jacques Delors secondo cui la produttività dei Paesi di nuovo accesso all’Unione Europea è tendenzialmente bassa, e ciò compensa il livello inferiore delle retribuzioni.

Al di là del fatto che questa possa essere una posizione parziale, conta notare che l’automatismo di Calenda non è per niente scontato. Infatti un Paese, invece che competere modificando i salari, potrebbe farlo sul piano della produttività.

Il verdetto

Carlo Calenda sbaglia, ma per eccesso, quando sostiene che “un lavoratore [dei Paesi dell’Est Europa, ndr] è pagato la metà di quello italiano”. In Slovacchia, lo Stato coinvolto nel caso Embraco, si può dire che un lavoratore viene pagato in media il 35-40% di un suo omologo italiano. Sulla “competizione ad armi pari”, però, il ministro semplifica parecchio una questione complessa e mostra un automatismo dove non c’è. Calenda ha invece ragione quando sostiene che “questi Stati hanno pari accesso al mercato europeo”. “Nì” per il ministro uscente.

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2018-02-28 09:42:43 UTC




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«Se un lavoratore è pagato la metà di quello italiano, noi non possiamo competere ad armi pari visto che questi Stati hanno pari accesso al mercato europeo»




Carlo Calenda

ministro dello Sviluppo Economico

http://www.corriere.it/economia/18_febbraio_19/calenda-basta-gli-incontri-inutili-serve-fondo-evitare-28676382-15b8-11e8-83e1-221a94978c8b_preview.shtml



intervista Corriere della Sera

lunedì 19 febbraio 2018

2018-02-19