Durante un confronto con il leader della Lega Nord Matteo Salvini, il ministro per le Riforme costituzionali e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ha contestato l’accusa di aver “inserito il precariato in Costituzione”. Ha risposto che gran parte dei nuovi posti di lavoro sono stabili. Vediamo se i numeri confermano.



Come cambiano i posti di lavoro



Secondo i dati Istat più recenti, pubblicati il 30 settembre e riferiti ad agosto 2016, gli occupati in Italia erano 22.768.000. A febbraio 2014, mese di insediamento del governo Renzi, erano invece 22.179.000 (i dati sono tratti dalle serie storiche, disponibili qui). La variazione è di 589.000 occupati in più, quasi esattamente la cifra citata dal ministro.



Nella sua dichiarazione, il ministro sembra indicare che tutto l’aumento dell’occupazione da quando si è insediato il governo Renzi sia dovuto ai suoi interventi. Tuttavia, bisogna ricordare che gli interventi sul lavoro più consistenti sono cominciati a gennaio 2015: sia le decontribuzioni sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato che il nuovo contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, due tipologie di intervento molto diverse ma che vengono continuamente mischiate nel dibattito politico, come abbiamo ricordato più volte.



Tornando ai 589.000 occupati in più: si tratta davvero di occupati “quasi tutti a tempo indeterminato”? Per verificarlo ci serviamo degli stessi numeri dell’Istat, che distingue, nelle sue rilevazioni, anche tra dipendenti a termine e permanenti. Nel comunicato relativo ad agosto si legge che la crescita dei dipendenti, nell’ultimo anno, “è determinata esclusivamente dai permanenti che crescono dell’1,7% (+253 mila) mentre quelli a termine sono in lieve calo (-0,1%, pari a -2 mila)”. Questa osservazione vale però soltanto per il periodo da agosto 2015 ad agosto 2016.



Confusione a parte, andiamo a controllare se i nuovi occupati sono effettivamente “quasi tutti a tempo indeterminato” sia a partire dal febbraio 2014 – quando è cominciato l’aumento citato da Boschi – sia a partire da gennaio 2015 – quando sono entrati in vigore i provvedimenti sul lavoro più importanti del governo attuale.



Dipendenti a termine e permanenti



Le serie storiche dell’Istat permettono di ricostruire come si presentava l’occupazione italiana, dal punto di vista della condizione lavorativa, a febbraio 2014. I dipendenti a tempo indeterminato erano 14.447.000, ovvero il 65,1% del totale; quelli a termine erano il 10,1% (2.251.000) e gli indipendenti – come ad esempio le partite Iva – il restante 24,7% (5.482.000).



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Trenta mesi più tardi, la situazione si presentava leggermente differente. In numeri assoluti, l’unica categoria a diminuire è stata quella degli indipendenti, passati da 5.482.000 a 5.401.000. Nel frattempo, i dipendenti a tempo indeterminato erano diventati 14.920.000, con un aumento di 473.000 unità (cioè più 3,2 per cento), mentre quelli a termine erano cresciuti a 2.447.000: l’aumento in questa categoria è stata di 196.000 unità, cioè più 8,7%.



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Se davvero i nuovi occupati fossero tutti a tempo indeterminato, come dichiarato dal ministro Boschi, il numero dei dipendenti con un contratto a termine sarebbe rimasto stabile, e la quota degli occupati permanenti sarebbe stata l’unica a crescere rispetto al totale.



Non è successa né l’una, né l’altra cosa: il maggior incremento percentuale tra le tipologie di occupazione è stato proprio quello dei contratti a termine, passati dal 10,1 al 10,7 per cento del totale. Questa variazione (+0,6 per cento) ha assorbito la maggior parte del calo degli indipendenti (-1 per cento), mentre il rimanente 0,4 per cento è andato all’incremento dei contratti a tempo indeterminato.



I numeri assoluti, poi, sono ancora più chiari: in 30 mesi gli occupati con contratto a termine sono cresciuti di quasi 200 mila unità, un numero molto rilevante se si tiene presente che gli occupati a tempo indeterminato, che pure hanno registrato un aumento di quasi mezzo milione, sono di gran lunga la quota maggioritaria nel nostro mercato del lavoro.



In breve: i nuovi occupati dall’inizio del governo Renzi non sono “quasi tutti a tempo indeterminato”: la crescita è composta, in numeri assoluti, per circa un terzo da dipendenti a tempo determinato e per due terzi da quelli a tempo indeterminato. Bisogna anche tener presente che nel mercato del lavoro italiano questi ultimi sono una larga maggioranza, per cui si può concludere facilmente anche che la crescita maggiore, in termini relativi, è stata proprio quella dei contratti a termine.



L’effetto delle misure sul lavoro






Se invece del febbraio 2014 prendiamo come data di partenza il gennaio 2015, il quadro cambia di poco: dall’inizio dello scorso anno gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti di 440.000 unità (da 14.480.000 a 14.920.000, più 3,03 per cento) mentre gli occupati a termine sono cresciuti di 123.000 unità (da 2.324.000 a 2.447.000, più 5,29 per cento). Insomma, se prendiamo come punto di partenza il mese di insediamento del governo i numeri dicono che il rapporto tra nuovi occupati a tempo indeterminato e nuovi occupati a tempo determinato è di circa due terzi e un terzo; se invece prendiamo gennaio del 2015, le proporzioni si spostano a tre quarti e un quarto.



Vale la pena notare un’ultima cosa, a proposito dell’infinita querelle sull’efficacia del Jobs Act a cui fa riferimento anche il ministro: da gennaio ad agosto di quest’anno i nuovi occupati sono stati appena 60.000 in più, per quanto riguarda i permanenti, mentre quelli a termine sono cresciuti di oltre 100.000 unità. Mentre le riforme normative sono rimaste in vigore, il grande cambiamento è stato la forte riduzione degli sgravi fiscali sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato, che erano del 100 per cento per i primi tre anni nel 2015 e sono state fortemente ridotte a partire dal 2016.



Il verdetto



Il ministro Boschi dice che i posti di lavoro dall’insediamento del governo sono stati 585.000 in più, e questo dato è corretto, ma dice anche che i provvedimenti del governo hanno fatto sì che essi fossero “quasi tutti a tempo indeterminato”. Questa caratteristica non è confermata dai dati, perché in realtà circa un terzo dei nuovi occupati dal febbraio 2014 hanno avuto contratti a termine. Resta vero che la maggior parte dei nuovi occupati siano effettivamente a tempo indeterminato, e dunque assegniamo un “Nì” al ministro.