Fact-checking: il governatore De Luca a Che tempo che fa

Pagella Politica
Il 17 novembre, ospite a Che tempo che fa su Rai 3, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (Pd) ha commentato la diffusione del contagio da coronavirus nella sua regione, elencando una serie di numeri e rivendicando alcuni primati campani.

Abbiamo verificato cinque dichiarazioni di De Luca, che ha mischiato statistiche corrette con alcuni errori e omissioni.

I dipendenti della sanità campana

«La Campania, rispetto al Veneto, che ha quasi un milione di abitanti in meno della Campania, ha 16 mila dipendenti in meno [nella sanità]. Rispetto a Emilia e Piemonte, che hanno un milione e mezzo di abitanti in meno di noi, abbiamo 15 mila dipendenti in meno. Rispetto alla Lombardia, 60 mila dipendenti in meno» (min. 06:14)

In questo caso De Luca ha citato dei dati per lo più corretti, con un’imprecisione nel confronto con la Lombardia.

Partiamo dai dati sulla popolazione. Al 1° gennaio 2020 la Campania, con oltre 5 milioni e 785 mila abitanti, era la terza regione più popolosa d’Italia, dietro a Lazio (oltre 5 milioni e 865 mila abitanti) e Lombardia (quasi 10 milioni e 104 mila abitanti).

Il Veneto, con circa 4 milioni e 907 mila residenti, aveva «quasi un milione di abitanti in meno della Campania», come correttamente citato da De Luca. Piemonte ed Emilia-Romagna avevano rispettivamente circa 4 milioni e 341 mila e 4 milioni e 467 mila abitanti: entrambe poco meno di un milione e mezzo di abitanti in meno rispetto alla Campania.

Vediamo adesso i dati sui dipendenti nella sanità. A fine maggio 2020 Istat ha pubblicato una serie di statistiche regionali, tra cui alcune sul personale sanitario. Secondo i dati più aggiornati, nel 2017 – quindi in periodo pre-pandemia – in Campania i dipendenti del Servizio sanitario nazionale erano 41.202: 70,6 ogni 10 mila abitanti. In Veneto erano 57.425 (oltre 16 mila in più di quelli della Campania), con un rapporto di 117 ogni 10 mila abitanti; in Emilia-Romagna 56.093 (quasi 15 mila in più della Campania) e 126 mila/10 mila abitanti; in Piemonte 53.790 (quasi 12.600 in più della Campania) e 122,7/10 mila abitanti; e in Lombardia 87.231 (circa 46 mila in più della Campania) e 87/10 mila abitanti (Grafico 1).
Grafico 1. Dipendenti del Servizio sanitario nazionale ogni 10 mila abitanti – Fonte: Istat
Grafico 1. Dipendenti del Servizio sanitario nazionale ogni 10 mila abitanti – Fonte: Istat
Dunque, De Luca ha esagerato di oltre 15 mila unità la differenza tra la sua regione e quella lombarda, ma ha citato dati sostanzialmente corretti per le restanti regioni.

Il numero più basso dei dipendenti campani nella sanità è in parte spiegato da come è stato gestito il sistema sanitario della regione negli ultimi decenni, ma non bisogna dimenticare che De Luca è governatore della regione da giugno 2015 (a settembre scorso è stato rieletto per un secondo mandato).

Con l’inizio degli anni Duemila le regioni che avevano un elevato squilibrio nelle spese della sanità hanno infatti dovuto attuare dei piani per il contenimento dei costi. Nel 2007 la gestione della sanità in Campania è stata sottoposta a piano di rientro e nel 2009 è stata addirittura commissariata, per poi uscirne a fine 2019. «L’attuale assetto delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale – ha sottolineato Istat nella parte dell’approfondimento dedicato alla sanità campana – è in parte condizionato dall’applicazione delle recenti politiche che hanno portato ad un blocco del turn over nelle regioni sotto piano di rientro dal disavanzo economico e finanziario, cui si sono aggiunte politiche di contenimento delle assunzioni».

Il raddoppio delle terapie intensive

«Abbiamo raddoppiato le terapie intensive» (min. 6:38)

Qui la verifica della dichiarazione di De Luca si fa più complicata. Nelle ultime settimane, come hanno ricostruito alcune inchieste giornalistiche, c’è infatti stata parecchia confusione e poca trasparenza sull’effettivo numero delle terapie intensive (Ti) in Campania.

Secondo i dati del Ministero della Salute, prima dell’emergenza coronavirus la regione governata da De Luca aveva 335 posti letto di terapia intensiva. In base alle disposizioni e ai finanziamenti contenuti nel decreto “Rilancio”, questo numero sarebbe dovuto aumentare di 499 unità, arrivando a un totale di 834 posti di terapia intensiva. Qual è la situazione attuale?

Il 5 novembre il bollettino giornaliero della Regione Campania sul coronavirus indicava 243 posti letto «attivabili» di terapia intensiva, con 174 posti occupati da pazienti Covid-19 e un totale complessivo di 590 posti letto in Ti. A partire dal 6 novembre, nel bollettino non è più stato indicato il dato dei posti “attivabili”, ma solo quello dei 590 complessivi – che, tra l’altro, secondo i dati Agenas è il secondo più basso d’Italia (Grafico 2).
Grafico 2. Posti letto in Ti in rapporto alla popolazione – Fonte: Agenas
Grafico 2. Posti letto in Ti in rapporto alla popolazione – Fonte: Agenas
Sempre il 6 novembre, in una conferenza stampa in diretta Facebook, De Luca aveva chiarito (min. 21:03) che non tutti questi posti letto in Ti erano attivi: «Non li attiviamo tutti subito, per non impegnare inutilmente il personale». Il 15 novembre – giorno dell’ospitata di De Luca a Che tempo che fa – il bollettino della Regione Campania indicava in 656 i posti letto complessivi in Ti. Dunque quasi il doppio dei 335 del periodo pre-emergenza, ma ancora lontani dagli 834 posti fissati dal decreto “Rilancio”.

Come ha ricostruito però Fanpage il 16 novembre, il rischio attuale in Campania è che non ci sia abbastanza personale per gestire i posti letto in terapia intensiva in più (che, ricordiamo, non sono ancora del tutto attivi). Tra l’altro, come ha spiegato la stessa Regione Campania il 9 novembre scorso, il dato sui posti in intensiva presenti in regione tengono conto non solo di quelli negli ospedali pubblici, ma anche in quelli privati accreditati. Ma anche in questo caso c’è poca trasparenza su quali siano i numeri reali.

Il 15 novembre il programma di La7 Non è l’Arena ha trasmesso un servizio in cui si accusava la Regione Campania di avere posti letto disponibili «sulla carta», ma non effettivamente attivi. Il giorno successivo la Regione Campania, in un comunicato stampa, ha annunciato di voler agire per vie legali contro il programma tv, accusato a sua volta di diffondere «dati falsi».

L’occupazione dei posti letto

«Oggi abbiamo un tasso di occupazione [nelle terapie intensive] che è sotto il 30 per cento. Abbiamo il 50 per cento dei posti letto in ospedale liberi» (min. 6:43)

In base ai dati forniti dalla Regione Campania – su cui abbiamo visto esserci però molta polemica – la prima percentuale è corretta, mentre la seconda meno.

Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per i servizi regionali (Agenas), al 13 novembre – due giorni prima l’intervista di De Luca – in Campania il 28 per cento dei posti letto in terapia intensiva era occupato da pazienti Covid-19. Questo dato era più basso della soglia di allerta al 30 per cento fissata dal Ministero della Salute, ma comunque ne era pericolosamente vicino (Figura 1).
Figura 1. Occupazione dei pazienti Covid-19 nelle Ti della Campania al 13 novembre – Fonte: Agenas
Figura 1. Occupazione dei pazienti Covid-19 nelle Ti della Campania al 13 novembre – Fonte: Agenas
Per quanto riguarda gli altri ricoverati, sempre secondo i dati Agenas, al 13 novembre in Campania il 49 per cento dei posti letto nelle aree di medicina generale, malattie infettive e pneumologia era occupato da malati di Covid-19. Questo dato è superiore alla soglia di criticità del 40 per cento individuata dal Ministero della Salute, dettaglio non da poco che De Luca omette di riportare (Figura 2).
Figura 2. Occupazione dei pazienti Covid-19 nelle aree non critiche della Campania al 13 novembre – Fonte: Agenas
Figura 2. Occupazione dei pazienti Covid-19 nelle aree non critiche della Campania al 13 novembre – Fonte: Agenas
Inoltre, è sbagliato concludere da queste percentuali che la restante metà dei posti letto sia libera, come ha sostenuto il governatore campano. Come abbiamo spiegato più volte in passato – e questo vale ancor di più per le terapie intensive – i dati che sono pubblici dicono quanti posti letto sono occupati da pazienti Covid-19. Ma non possiamo sapere quanti degli altri posti letto sono occupati da pazienti non Covid-19 (per esempio, ricoverati per una polmonite o per altre patologie): di fatto il reale tasso di occupazione dei reparti in tutta Italia non è noto.

I decessi di Covid-19 in Campania

«Abbiamo il tasso di morte di Covid più basso di Italia» (min. 6:54)

Non è chiaro a che cosa faccia riferimento De Luca quanto parla di «tasso di morte» di Covid-19. Come abbiamo scritto in passato, ci sono diversi indicatori per stimare quanto è effettivamente mortale la malattia causata dal nuovo coronavirus.

Un primo indicatore è quello della “letalità apparente” (o Cfr, dall’inglese Case fatality rate), che quantifica quanti sono stati i morti di Covid-19 sul totale dei diagnosticati. Secondo i dati della Protezione civile, da inizio epidemia al 15 novembre – giorno dell’intervista del governatore – in Campania il rapporto Cfr era dello 0,9 per cento: erano morte 1.029 persone su 111.187 contagiati.

In effetti il dato campano sulla letalità apparente è il più basso tra tutte le regioni italiane. Ma c’è un “però”: come abbiamo visto, questo indicatore si calcola mettendo a denominatore il numero dei casi diagnosticati. Prendere i dati dall’inizio dell’epidemia può essere fuorviante: a marzo e aprile, infatti, la capacità di testing era molto inferiore rispetto a quella attuale, e dobbiamo anche ricordare che la Campania in quel periodo – come tutto il Sud Italia – era stata meno colpita dall’epidemia rispetto al Nord.

Nelle ultime settimane la Campania ha infatti visto crescere repentinamente il numero dei suoi morti per l’epidemia: oltre il 55 per cento dei 1.029 decessi registrati il 15 novembre è avvenuto a partire dal 1° ottobre.

Se confrontiamo il numero di morti da Covid-19 con il dato sulla popolazione, la classifica cambia leggermente. In Campania il rapporto tra decessi da coronavirus e popolazione residente al 1° gennaio 2020 (poco più di mille morti su oltre 5 milioni e 785 mila abitanti) era di circa 17,5 morti ogni 100 mila abitanti. Basilicata e Calabria fanno un po’ meglio: la prima con 14 morti ogni 100 mila abitanti (79 morti su quasi 557 mila abitanti); la seconda con 9 morti ogni 100 mila abitanti (174 morti su quasi un milione e 925 mila abitanti).

Ricordiamo poi che la letalità della Covid-19 varia molto anche a seconda dell’età della popolazione: una regione più anziana, a parità di fattori, avrà una mortalità del virus più alta rispetto a una regione più giovane. E come abbiamo scritto in passato, verificando proprio una dichiarazione di De Luca, la Campania è la regione con l’età media più bassa d’Italia.

I primati delle ordinanze

«Il 12 agosto abbiamo reso obbligatorio i test per chi veniva in Campania dall’estero, unica regione d’Italia. Il 24 settembre obbligatorio l’uso della mascherina fuori di casa, unica Regione d’Italia» (min. 7:49)

Infine, vediamo se i due primati rivendicati da Da Luca sono davvero corretti o meno.

Il 12 agosto il presidente della Regione Campania aveva firmato un’ordinanza che fino alla fine di quel mese imponeva a tutti i cittadini residenti in Campania provenienti dall’estero di entrare in isolamento fiduciario domiciliare per 14 giorni e di segnalarsi alle Asl, per essere poi sottoposti al tampone molecolare o al test sierologico.

Il giorno precedente, un’ordinanza simile – ma meno restrittiva – era stata firmata in Puglia dal presidente Michele Emiliano, che aveva disposto l’obbligo di isolamento fiduciario di 14 giorni (ma non il test) a chi arrivava da tre Paesi: Spagna, Malta e Grecia (che in quel momento erano particolarmente colpiti dall’aumento dei casi).

Sempre il 12 agosto – il giorno della firma dell’ordinanza di De Luca – il ministro della Salute Roberto Speranza aveva introdotto con un’ordinanza l’obbligo di essere sottoposti a un test a chi rientrava in Italia e nei 14 giorni precedenti aveva soggiornato in Spagna, Malta, Grecia e Croazia (l’obbligo fu esteso a Parigi e ad altre zone della Francia solo il 21 settembre).

Dunque è vero che a metà agosto la Campania era stata l’unica regione a disporre misure rigide per il rientro dall’estero (con diverse difficoltà pratiche però, come la poca disponibilità dei test). Ma è anche vero che nello stesso periodo erano state prese a livello nazionale e regionale alcune misure che andavano nella stessa direzione, sebbene meno severe.

Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuale, il 24 settembre il governatore De Luca ha firmato un’ordinanza che disponeva «su tutto il territorio regionale, di indossare la mascherina anche nei luoghi all’aperto, durante l’intero arco della giornata, a prescindere dalla distanza interpersonale». Erano esentati da questo obbligo, per esempio, le attività di ristorazione o di sport all’aperto.

Non è vero come dice De Luca che la Campania era l’unica ad avere l’obbligo della «mascherina fuori di casa». All’epoca in Lombardia era già in vigore una misura simile, ma l’obbligo di usare la mascherina all’aperto era valido solo se non si poteva mantenere il distanziamento interpersonale.

Il 25 settembre anche la Regione Calabria aveva seguito l’esempio campano, mentre a livello nazionale l’obbligo della mascherina all’aperto è stato di fatto introdotto con il Dpcm del 7 ottobre, prevedendo comunque delle eccezioni (per esempio, in situazioni di isolamento all’aria aperta).

In conclusione

Abbiamo verificato cinque dichiarazioni del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (Pd), ospite a Che tempo che fa su Rai 3. Il governatore campano ha mischiato statistiche corrette con alcuni errori e omissioni.

In primo luogo, è vero che Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna, pur avendo meno abitanti della Campania, hanno più dipendenti nel servizio sanitario, mentre è esagerato dire che la Lombardia ha 60 mila dipendenti in più della Campania (sono in realtà 46 mila.

Sul raddoppio delle terapie intensive rivendicato da De Luca c’è stata molta polemica negli ultimi giorni. Secondo i dati della Regione Campania, ad oggi i letti complessivi in Ti disponibili in regione sono oltre 650, un numero maggiore rispetto alle 335 prima dell’emergenza, ma ancora lontano dagli oltre 800 stabilito dal decreto “Rilancio”. Non tutti gli oltre 650 posti letto sono inoltre subito attivi, ma, secondo quanto riportato dalla Regione Campania, saranno attivati in base alla necessità.

In base a questi dati – seppure contestati – quasi il 30 per cento dei posti in Ti è occupato da pazienti Covid-19, una percentuale che indica la soglia di allerta del Ministero della Salute. I posti letto negli altri reparti sono sì al 50 per cento come dice De Luca, che però omette di dire che qui la soglia di allerta è del 40 per cento e che i restanti posti possono essere occupati anche da pazienti non Covid-19.

Se si guarda alla letalità apparente da inizio epidemia, la Campania ha il dato più basso di tutte le regioni italiane, ma in rapporto alla popolazione c’è chi ha fatto meglio di lei.

Infine, è vero che a metà agosto la Campania è stata la prima regione a introdurre misure severe per il rientro dall’estero (anche se negli stessi giorni misure in parte simili erano state introdotte anche dal Ministero della Salute) e che a settembre è stato introdotto l’obbligo della mascherina all’aperto. Questo però era già in vigore in Lombardia, dove però valeva soltanto se non si poteva mantenere il distanziamento interpersonale.

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