E’ notizia di oggi che la povertà in Italia avrebbe smesso di crescere; un segnale positivo che ha scalzato dall’apertura dei principali giornali anche la crisi greca e l’accordo iraniano. I titoli dei giornali si riferiscono ai dati Istat pubblicati oggi sulla povertà in Italia, secondo i quali le persone in povertà assoluta erano 4 milioni e 102 mila nel 2014, in calo dai 4 milioni e 420 mila nel 2013. Segnala sempre l’Istat che questo calo “non è statisticamente significativo” e quindi l’incidenza della povertà assoluta è “sostanzialmente stabile”.






Come si misura la povertà?



Di povertà parlano spesso i politici che monitoriamo e molti sono i modi per misurarla, in primis quello di distinguere la povertà assoluta (sotto ad una certa soglia) da quella relativa (rispetto al resto della popolazione). La condizione di carenza di risorse materiali può essere inoltre misurata in base all’incapacità di riuscire a far fronte a spese impreviste oppure partendo dalla considerazione di avere un reddito che è inferiore all’ammontare necessario per acquistare un paniere di beni considerato “essenziale” dagli istituti statistici. A tale riguardo è importante segnalare che l’Istat ha cambiato quest’anno la propria metodologia per quanto riguarda il censimento degli italiani che vivono in stato di povertà.



Cosa ha cambiato l’Istat



L’Istituto statistico ha cambiato la base di partenza dalla quale calcola il numero di poveri: se fino all’anno scorso partiva dall’indagine sui consumi; da quest’anno utilizza lo studio sulle spese delle famiglie. La nuova metodologia, introdotta a partire dal 2014, non è altro che una versione attualizzata della prima, e risponde anche alla necessità di fornire dei dati confrontabili con quelli degli altri Paesi raccolti da Eurostat*.



Ok, ma perché vi siete fissati su una questione metodologica?



Perché sono cambiati, e di molto, i numeri complessivi. Con il vecchio metodo i “poveri assoluti” in Italia erano 4 milioni 814 mila nel 2012 e 6 milioni 20 mila nel 2013. Con il nuovo procedimento i valori sono rispettivamente diventati 3 milioni 552 mila e 4 milioni 420 mila (si veda il grafico in basso, e le serie storiche allegate nei due link sopra). Si tratta di una notevole differenza di circa un milione e mezzo di unità ogni anno, come è evidente dalla tabella riportata.



Ovviamente l’Istat ha ricalcolato, in base alla più recente metodologia, tutti i numeri sulla povertà assoluta a ritroso nel tempo, fino al 2005, in modo da avere una serie storica coerente. Di conseguenza il miglioramento che si è registrato – e di cui hanno scritto i giornali – non è dovuto alle diverse metodologie seguite ma è un fatto realmente constatabile. Ciò è quanto ci ha affermato l’Istituto di statistica quando lo abbiamo contattato per completare questo articolo: “Poiché la ricostruzione in serie storica è concorde con quanto osservato applicando negli anni la vecchia metodologia, è possibile ipotizzare che la stabilità osservata tra il 2013 e il 2014 sarebbe stata confermata anche con la vecchia metodologia”.



Insomma, il 2014 sarebbe stato in ogni caso l’anno in cui si sarebbe arrestato il trend negativo per la povertà. Resta il fatto che (come avvenne qualche mese fa con la rivalutazione del Pil), quando cambia il modo in cui si misurano alcuni fenomeni, la realtà attorno a noi può cambiare in maniera molto considerevole.



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* In risposta ad una nostra domanda sul motivo che ha portato al cambio di metodologia l’Istat ci ha scritto: Il cambio della metodologia […] frutto di anni di sperimentazione, è stato effettuato al fine di rilevare con maggior precisione il comportamento di spesa di ciascuna famiglia e consentire analisi più robuste a livello micro. Inoltre, si è aderito allo standard internazionale della classificazione dei beni e servizi oggetto di consumo (Classification of Individual Consumption by Purpose), aumentando da 264 a 473 il numero di voci di spesa”.



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