Come, dove e perché il coronavirus abbasserà l’Iva in Europa

Ansa
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La crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus ha spinto diversi Stati europei a prendere in considerazione la riduzione delle aliquote Iva (Imposta sul valore aggiunto). Abbiamo contattato i nostri colleghi stranieri per verificare in quali Paesi sia già stata presa una decisione di questo tipo, in quali se ne stia discutendo – come in Italia, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto al termine degli Stati Generali che «è una delle misure allo studio» – e in che termini.

Prima di vedere però il risultato della nostra indagine internazionale, e di capire grazie al parere di un esperto perché in un momento di crisi circoli l’idea di ridurre la tassa sui consumi, andiamo a vedere molto rapidamente che cos’è l’Iva, come funziona e qual era la situazione in Europa prima dell’arrivo del coronavirus.

L’Iva, in breve

L’Iva è una tassa sui consumi presente in tutti gli Stati dell’Unione europea. È stata introdotta in Italia nel 1972 con il decreto del Presidente della Repubblica n.633 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1973, per adeguare il sistema tributario italiano a quello degli altri Stati membri della Comunità europea.

L’imposta va a colpire, attraverso un sistema di detrazioni, solo la parte di incremento di valore che il bene subisce nelle singole fasi di produzione e distribuzione (il “valore aggiunto”). Diciamo che “rotola a valle” attraverso le fasi della produzione di un bene o di un servizio, fino a scaricarsi integralmente sul consumatore.

Accanto all’aliquota ordinaria è possibile che ci siano altre aliquote agevolate. Ad esempio in Italia oltre all’aliquota ordinaria al 22 per cento esistono (art. 16 del d.P.R. 633/1972) tre aliquote agevolate, al 4, al 5 e al 10 per cento, che sono applicate in particolare ai prodotti alimentari ma non solo. Ci sono poi (art. 10 del d.P.R. 633/1972) prestazioni che sono esenti dall’Iva, come ad esempio le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione, le prestazioni educative di infanzia e gioventù, le operazioni di finanziamento e assicurazione, musei, biblioteche e via dicendo.

Le aliquote variano poi da Paese a Paese, come si vede nella mappa sottostante, elaborata dal centro di ricerca statunitense Tax Foundation.
Mappa 1: L’aliquota Iva ordinaria nei vari Paesi dell’Unione europea, e nel Regno Unito, aggiornata a gennaio 2020. Fonte: Tax Foundation
Mappa 1: L’aliquota Iva ordinaria nei vari Paesi dell’Unione europea, e nel Regno Unito, aggiornata a gennaio 2020. Fonte: Tax Foundation
Fatta questa breve introduzione, andiamo allora a vedere cosa si sta muovendo in Europa in conseguenza dell’epidemia di coronavirus e cominciamo dal nostro Paese.

Italia

In Italia si parla da qualche giorno di un possibile taglio dell’Iva.

Tra i primi a menzionare l’idea è stata la viceministra dell’Economia Laura Castelli (M5s) che, in un’intervista a Radio Anch’io su Rai Radio 1, il 17 giugno ha detto (min. 1:50): «Per qualche anno si può fare, insieme alla riduzione dell’Irpef e alla politica sui pagamenti elettronici. Sarebbe un bell’elastico per i consumi interni».

Il 22 giugno poi, durante la conferenza stampa conclusiva degli Stati Generali – una serie di incontri a tema economico che si sono svolti a Roma dal 13 al 21 giugno – il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha risposto a una giornalista dicendo (min, 22:50): «Abbiamo discusso [della possibilità di ridurre l’Iva, ndr] ma non abbiamo deciso, anche perchè è una misura costosa che dobbiamo studiare con attenzione».

Al momento dunque non c’è ancora nulla di concreto, ma l’apertura di Conte ha avviato il dibattito tra le forze politiche, con aperture anche da parte delle opposizioni. Pare che una delle ipotesi ora sul tavolo del governo sia una riduzione selettiva solo per chi non usa il contante.

Intanto il cosiddetto “decreto Rilancio” (decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020) ha abrogato le «clausole di salvaguardia in materia di Iva e accisa» (art. 123inserite nella legge di Bilancio per il 2020, che prevedevano un aumento dell’Iva ordinaria al 25 per cento nel 2021 e al 26,5 per cento nel 2022, e un aumento dell’Iva agevolata dal 10 al 12 per cento nel 2021.

L’aumento avrebbe portato nelle casse dello Stato circa 128 miliardi di euro fino al 2025. Le clausole hanno rappresentato un problema per gli ultimi governi (abbiamo analizzato l’argomento in varie nostre analisi) ma ora, grazie alla maggiore libertà di spesa concessa dall’Unione europea a causa dell’emergenza coronavirus, il tema sembra passato in secondo piano.

L’Italia, in ogni caso, non è l’unico Paese europeo a valutare un possibile taglio dell’Iva. Grazie ai nostri colleghi fact-checkers abbiamo ricostruito la situazione nei principali Paesi europei, dove alcuni governi hanno già messo in atto la riduzione (come la Germania) e altri l’hanno esclusa (come la Francia).

Germania

La Germania è stato il primo grande Paese europeo a tagliare l’Iva in seguito alla pandemia di Covid-19. Come ci hanno spiegato i nostri colleghi di Correctiv, a partire dal 1° luglio e fino al 31 dicembre 2020 il governo tedesco abbasserà l’Iva ordinaria dal 19 per cento al 16 per cento e l’aliquota ridotta dal 7 per cento al 5 per cento. Nel settore della ristorazione, inoltre, l’Iva passerà dal canonico 19 per cento al 7 per cento per un anno, dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2021.

Le misure fanno parte del più ampio piano da 130 miliardi di euro varato dal governo di Berlino per favorire la ripresa economica del Paese dopo la pandemia di coronavirus.

Secondo think-tank americano Tax Foundation il solo taglio temporaneo dell’Iva costerà alle casse della Germania 20 miliardi di euro.

Regno Unito

Al momento il Regno Unito sta considerando l’idea di abbassare l’aliquota ordinaria Iva ipotizzando, in particolare, una riduzione temporanea di tre punti percentuali (dall’attuale 20 per cento al 17 per cento) che costerebbe all’erario britannico 21 miliardi di sterline, cioè 23 miliardi di euro. Si tratta però di indiscrezioni di stampa: Tom Phillips, fact-checker per Full Fact, ha infatti confermato a Pagella Politica che «non è certo che il taglio dell’Iva verrà messo in atto, è possibile che il Tesoro scelga altri metodi per stimolare l’economia».

Se alla fine si optasse per questa soluzione, secondo le indiscrezioni di stampa il taglio dell’Iva potrebbe avvenire a inizio luglio, in concomitanza con l’allentamento di alcune misure restrittive.

Francia

La Francia si è smarcata dall’ipotesi di taglio dell’Iva quando, a inizio giugno, ha escluso la possibilità di attivare tale misura. L’informazione è stata confermata anche dai nostri colleghi di Checknews, la sezione di fact-checking del giornale Libération.

Al momento la Francia impone un’Iva ordinaria al 20 per cento, con scaglioni ridotti al 10, al 5,5 e al 2,1 per cento.

Spagna

Nel panorama dei principali Paesi europei, la Spagna potrebbe andare controcorrente. Come segnalato anche dai nostri colleghi di Maldita.es, il governatore del Banco de España Pablo Hernández de Cos ha infatti consigliato di aumentare l’Iva, almeno sui prodotti che attualmente godono dell’aliquota più bassa, ma il governo Sanchez per ora pare difficile voglia procedere in questo senso. Attualmente in Spagna l’Iva ordinaria è fissata al 21 per cento, ma ci sono aliquote agevolate al 10 per cento o 4 per cento.

Anche in questo caso, come per Italia e Inghilterra, si tratta comunque solo di indiscrezioni e non c’è ancora nulla di confermato.

Ma perché l’epidemia di coronavirus favorisce la riduzione dell’Iva?

Abbiamo visto insomma che diversi Paesi stanno pensando – nel caso della Germania si è anzi già passati alle vie di fatto – di ridurre le aliquote Iva, anche se temporaneamente. Abbiamo chiesto allora a Nicola Sartori, professore di Diritto tributario all’Università Bicocca di Milano, come mai in un momento di crisi come questo, in cui gli Stati già si prevede si indebiteranno pesantemente, sia così diffusa l’idea di ridurre le entrate per lo Stato tramite una riduzione dell’Iva, e come mai invece durante la crisi del 2011 si fece l’esatto contrario.

«Le politiche fiscali hanno normalmente tre obiettivi possibili», ha spiegato Sartori a Pagella Politica. «Possono aumentare il gettito per lo Stato, redistribuire la ricchezza oppure influenzare le condotte umane. Un singolo tributo può perseguire più obiettivi ma, allo stesso tempo, può comprometterne altri: il legislatore è quindi chiamato a prendere decisioni politiche, non tecniche. La riduzione dell’Iva ha lo scopo di influenzare le condotte umane, in particolare incentivare i consumi per rilanciare così l’economia, ma pone il problema della riduzione del gettito per lo Stato in un momento in cui la spesa pubblica – a causa dell’emergenza sanitaria e delle sue conseguenze – sta aumentando significativamente. Per ora si è deciso di risolvere il problema aumentando il debito pubblico».

Una riduzione dell’Iva finanziata a debito, e non accompagnata da altre rimodulazioni del carico fiscale, non è però l’unica strada possibile. «Ci si può interrogare se sia giusto in un momento di crisi, quando la redistribuzione della ricchezza è diventata più casuale e imprevedibile – ad esempio chi vendeva mascherine si è improvvisamente arricchito mentre chi aveva un bar si è impoverito –, privilegiare così tanto l’obiettivo dell’influenzare i comportamenti umani, pagandolo a debito e scaricando il costo sulle generazioni future, senza compensarlo con misure redistributive», prosegue Sartori. «Un contributo di solidarietà su chi ha aumentato i propri guadagni nonostante il periodo di crisi, ad esempio, bilancerebbe la redistribuzione più casuale portata dalla crisi, e aumenterebbe il gettito per lo Stato, che ad esempio potrebbe evitare di aumentare il debito per finanziare il taglio dell’Iva. Una riduzione dei tributi, insomma, non è sempre e per forza la scelta giusta».

Per quanto riguarda infine la differenza col 2011 – conclude Sartori – questa starebbe in particolare «nella scelta politica presa, complice anche un diverso atteggiamento dell’Unione europea a una diversa necessità da soddisfare: allora era importante rassicurare i mercati sulla tenuta dei conti pubblici italiani, ora è più importante immettere liquidità nel sistema economico del Paese, rimasto bloccato per mesi».

In conclusione

L’epidemia di coronavirus, e la crisi economica da questa scatenata, stanno ponendo gli Stati europei di fronte alla necessità di prendere importanti scelte di politica economica. L’Italia sta discutendo della possibilità di ridurre temporaneamente le aliquote Iva, in scia con quanto deciso dalla Germania, allo scopo di rilanciare i consumi e anche il Regno Unito sta prendendo in considerazione l’ipotesi.

In Francia invece il governo ha deciso di non seguire l’esempio tedesco, lasciando immutate le aliquote Iva rispetto al periodo pre-crisi e in Spagna il dibattito politico, stimolato dalla presa di posizione della Banca centrale spagnola, addirittura riguarda un possibile aumento delle aliquote più basse dell’Iva.

Non è possibile sapere a priori quali scelte funzioneranno e quali no, e si tratta di scelte squisitamente politiche. Rilanciare i consumi in un momento di crisi è ovviamente un obiettivo condivisibile, ma bisogna anche considerare che una riduzione delle entrate dello Stato – non compensata da altre imposte di tipo redistributivo – in un momento in cui le uscite stanno aumentando grandemente, si traduce in un ulteriore aumento del debito pubblico, il cui costo si scarica sulle generazioni future.

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