Il 4 marzo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto un discorso in cui ha spiegato, tra le altre cose, le nuove misure adottate dal governo per contenere il contagio del nuovo coronavirus.

Abbiamo verificato cinque dichiarazioni di Conte per vedere se corrispondono al vero o meno.

Le misure adottate a gennaio

«Da gennaio, quando avevamo appena due casi, abbiamo subito messo in atto misure che sono apparse drastiche» (min. -4:43)

Il 30 gennaio, durante una conferenza stampa insieme al ministro della Salute Roberto Speranza, Conte aveva annunciato i primi due casi di coronavirus in Italia, che riguardavano due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma (e poi guariti alcune settimane dopo).

Nello stesso discorso, il presidente del Consiglio aveva detto che sarebbe stato approvato un provvedimento (poi pubblicato dall’Enac il 31 gennaio) per chiudere il traffico aereo da e verso la Cina, Paese dove in quei giorni si stava concentrando il contagio di nuovo coronavirus. All’epoca l’Italia era stata il primo Paese europeo ad adottare una misura tanto drastica, che non è comunque rimasta esente da critiche.

«Abbiamo chiuso i voli, una decisione che non ha base scientifica, e questo non ci ha permesso di tracciare gli arrivi, perché a quel punto si è potuto fare scalo e arrivare da altre località», aveva detto ad esempio il 23 febbraio a La Stampa Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore della sanità, nominato il giorno dopo dal governo come consulente per le relazioni dell’Italia con gli organismi sanitari internazionali. «Francia, Germania e Regno Unito seguendo l’Oms non hanno bloccato i voli diretti e hanno messo in quarantena i soggetti a rischio».

Secondo quanto ricostruito però da Il Fatto Quotidiano, sembra che anche negli altri principali Paesi europei non è mai stata imposta una quarantena obbligatoria a tutti i passeggeri di voli che stavano rientrando dalle aree della Cina coinvolte dal contagio. Al massimo a quelli che avevano sintomi evidenti e, in generale, facendo affidamento sul senso di responsabilità dei singoli individui, che segnalassero propri eventuali problemi.

Dal coronavirus si guarisce

«In Italia la grandissima parte delle persone contagiate guariscono senza conseguenze» (min. -3:37)

Per prima cosa inquadriamo brevemente la questione da un punto di vista generale: quanto è pericolosa la Covid-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2?

«Come altre malattie respiratorie, l’infezione da nuovo coronavirus può causare sintomi lievi come raffreddore, mal di gola, tosse e febbre, oppure sintomi più severi quali polmonite e difficoltà respiratorie», riporta sul suo sito ufficiale il Ministero della Salute. «Raramente può essere fatale. Generalmente i sintomi sono lievi e a inizio lento. Alcune persone si infettano ma non sviluppano sintomi né malessere».

Insomma, la guarigione senza conseguenze secondo il Ministero è la regola. Ma guardiamo ora che cosa ci dicono i numeri più aggiornati sulla situazione nel nostro Paese.

Secondo i dati del Ministero della Salute, al 4 marzo 2020 (ore 18:00) su un totale di 3.089 persone che avevano contratto il virus in Italia, 107 sono decedute e 276 guarite. Per quanto riguarda le guarigioni, si tratta del 9 per cento dei casi, una percentuale a prima vista più bassa di quella lasciata intendere da Conte o prevista in linea generale dal Ministero della Salute, ma vanno fatte almeno tre considerazioni.

La prima è che stiamo parlando della percentuale dei guariti sui casi accertati di contagio e questi potrebbero essere una minoranza del totale. Come abbiamo già scritto in passato infatti, non si sa con certezza – né in Italia né a livello mondiale – quante persone abbiano davvero contratto il nuovo coronavirus, proprio perché nella maggioranza dei casi si guarisce in pochi giorni e i sintomi sono gli stessi di una comune influenza. Il dato sui guariti, al momento, è dunque certamente sottostimato: molti possono essere stati contagiati senza mostrare sintomi o mostrando sintomi lievi, senza dunque essersi sottoposti a un test prima di guarire.

La seconda osservazione è che al 4 marzo 2020 (ore 18:00) tra i 2.706 soggetti positivi al nuovo coronavirus, oltre il 39 per cento (1.065) si trovava in isolamento domiciliare, senza la necessità di essere ricoverato in ospedale. Tra questi, dunque, potrebbero esserci soggetti che sono nei fatti guariti anche se non sono ancora stati dichiarati tali.

Infine, se guardiamo ai numeri a livello globale, le cose cambiano. Secondo le rilevazioni in tempo reale registrate dai ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti, al 5 marzo 2020 (ore 11:00) sui 95.748 casi di contagio confermati nel mondo 53.423 sono guariti (il 55,8 per cento). Una percentuale molto più alta di quella italiana e anche in questo caso, come detto poco sopra, il dato è molto probabilmente sottostimato, mentre di conseguenza è molto probabilmente sovrastimato quello sulla letalità. Le 3.286 morti a livello mondiale corrispondono infatti a circa il 3,4 per cento dei contagi confermati, e non a quelli totali, che sono quasi certamente molti di più per i motivi spiegati in precedenza. La percentuale reale dei decessi, secondo gli esperti, è probabilmente significativamente più bassa.

Quanti vanno in terapia intensiva

«Perché allora tanta preoccupazione, vi chiederete? Perché una certa percentuale di persone contagiate necessita di un’assistenza continuata in terapia intensiva» (min. -3:30)

Conte ha ragione. Secondo i dati del Ministero della Salute, al 4 marzo 2020 (ore 18:00) si trovavano in terapia intensiva 276 persone sulle 2.076 in quel momento positive al nuovo coronavirus. Stiamo parlando dunque del 13,3 per cento dei casi. Una percentuale nettamente più alta, ad esempio, di quella dei ricoveri ospedalieri causati dalle influenze stagionali che, come abbiamo scritto, si aggira intorno all’1-1,5 per cento dei casi.

I reparti di terapia intensiva sono, in parole semplici, quelli in cui vengono ricoverati i pazienti che hanno le funzioni vitali gravemente compromesse. Tra queste, ci sono anche quelle respiratorie: la Covid-19 (la malattia causata dal virus Sars-CoV-2), nei casi più seri, può infatti causare polmoniti e sindromi respiratorie acute gravi. Tutte malattie che possono richiedere il ricovero in terapia intensiva.

Come ha spiegato il 2 marzo il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) Tedros Ghebreyesus, ad oggi «sappiamo che l’80 per cento dei contagiati mostra sintomi lievi e guarisce», mentre «circa il 15 per cento riporta sintomi più seri e un altro 4-5 per cento sintomi gravi, che richiedono il supporto con l’ossigeno».

Una percentuale del genere può avere gravi ripercussioni sul funzionamento degli ospedali, che in terapia intensiva hanno già molti altri pazienti (come ad esempio quelli che hanno subito importanti interventi chirurgici). Vediamo perché.

La sostenibilità del sistema sanitario

«Questo significa che finché i numeri sono bassi, il sistema sanitario nazionale può assistere efficacemente i contagiati […] Per questa ragione il ministro della Salute Speranza ha dato immediato mandato nei giorni scorsi di aumentare del 50 per cento la disponibilità nazionale delle unità di terapia intensiva e del 100 per cento delle unità di terapia sub-intensiva» (min. -3:18)

L’obiettivo principale in questo momento, come ha sottolineato anche la virologa di fama mondiale Ilaria Capua il 2 marzo scorso, è quello di rallentare il contagio del nuovo coronavirus, per cercare di limitare al massimo il suo impatto sul numero di posti letto in terapia intensiva a disposizione in Italia.

«I posti negli ospedali destinati alla terapia intensiva sono al 90 per cento oggi già occupati ma, in caso di bisogno, possono essere aumentati anche di migliaia», aveva detto il 1° marzo il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri a SkyTg24. «Qualcuno che ha un’altra patologia ad esempio può essere spostato in altre regioni dove non c’è epidemia».

In base ai dati del Ministero della Salute più aggiornati, nel 2017 in Italia c’erano 5.090 posti letto di terapia intensiva negli istituti pubblici e privati accreditati.

Secondo fonti stampa, il 4 marzo – come indicato da Conte – il ministero della Salute ha inviato una circolare in cui annuncia di stare predisponendo un piano per il potenziamento del 50 per cento dei posti in terapia intensiva e del 100 per cento dei posti letto per le malattie infettive e pneumologiche.

Le buone pratiche da seguire

«Dobbiamo assumere un comportamento responsabile. Dobbiamo lavare le mani spesso, starnutiamo e tossiamo in un fazzoletto o nella piega del gomito, manteniamo un metro di distanza dai contatti sociali. Evitiamo abbracci e strette di mano, evitiamo luoghi affollati» (min. -2:17)

Qui Conte fa riferimento al decreto del presidente del Consiglio dei ministri firmato il 4 marzo 2020 e intitolato “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

L’Allegato 1 del testo contiene alcune «misure igienico-sanitarie», tra cui: «lavarsi spesso le mani»; «evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute»; «evitare abbracci e strette di mano»; «mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro»; «starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie»; «evitare l’uso promiscuo di bottiglie e bicchieri»; «non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani»; «coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce»; «non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico»; « «pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol»; «usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate».

Queste sono del resto anche le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

In conclusione

Abbiamo verificato cinque dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante il suo discorso per spiegare le nuove misure prese dal governo per contenere il contagio del nuovo coronavirus. Conte non ha commesso errori significativi.

Il presidente del Consiglio ha infatti ragione quando dice che già a fine gennaio l’Italia aveva preso provvedimenti drastici, nel tentativo di fermare l’arrivo del virus dalla Cina (bloccando i voli da e verso il Paese asiatico), anche se questa scelta aveva sollevato delle critiche circa la sua reale efficacia.

È vero poi che la stragrande maggioranza dei contagiati da Sars-CoV-2 riporta sintomi lievi e guarisce, ma è anche vero – come sottolinea il presidente del Consiglio – che una percentuale (minoritaria ma comunque potenzialmente preoccupante) dei casi finisce in terapia intensiva, con il rischio di mettere a dura prova la sostenibilità del nostro sistema sanitario.

Conte riferisce poi correttamente che il Ministero della Salute sta approntando un piano per aumentare la disponibilità dei posti letto, e cita una serie di norme igienico-sanitarie da rispettare, come il lavarsi spesso le mani e mantenere una distanza interpersonale di un metro, contenute nel decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 4 marzo.