Negli ultimi giorni la vittoria di Marcell Jacobs – nato negli Stati Uniti da padre americano e madre italiana – nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo ha riportato di attualità nel nostro Paese il dibattito sulla riforma della legge che regola la concessione della cittadinanza italiana.

Alcuni politici hanno difeso la necessità di rendere più agevole agli stranieri l’accesso alla nostra cittadinanza, difendendo la loro posizione con una specifica percentuale. «Cosa stiamo aspettando per lo ius soli? Il 38 per cento della squadra olimpica italiana ha origini straniere», ha per esempio scritto su Facebook il 3 agosto Chiara Gribaudo, deputata del Partito democratico. Il giorno dopo il deputato di Liberi e uguali Erasmo Palazzotto ha riportato sui social lo stesso dato, scrivendo che «alle Olimpiadi il 38 per cento dei nostri atleti ha origini straniere: se vogliamo render loro onore dobbiamo fare in modo che la nostra società sia come la nostra nazionale».

Ma davvero circa quattro membri su dieci della squadra olimpica italiana, che conta in totale 384 atleti, hanno «origini straniere»? Abbiamo verificato e le cose non stanno così: la percentuale del «38 per cento» fa riferimento a qualcosa di diverso, mentre il dato reale è più basso. Vediamo perché.

In che senso «origini straniere»?

Come prima cosa, va sottolineato che la categoria degli atleti con «origini straniere» non ha confini ben definiti. Come vedremo, ci sono infatti atleti che chiaramente rientrano in questa categoria, mentre altri sono più difficili da categorizzare.

Atleti italiani con chiare «origini straniere» sono i due citati da Gribaudo su Facebook: il velocista Jacobs, che è nato negli Stati Uniti da madre italiana e padre americano ed è cresciuto nel nostro Paese, e la pallavolista Paola Egonu, che è invece nata in Italia da due genitori stranieri e ha ottenuto la cittadinanza al termine delle scuole dell’obbligo. Anche il pallavolista Ivan Zaytsev, nato in Italia da genitori russi, ha ottenuto la cittadinanza italiana dopo aver superato i dieci anni di residenza nel nostro Paese.

Altri sportivi con chiare «origini straniere» sono quelli che sono stati adottati da genitori italiani e hanno poi acquistato la cittadinanza del nostro Paese. Qui rientrano, per esempio, il quattrocentometrista Vladimir Aceti, nato in Russia e adottato all’età di 5 anni, e il corridore Yenameberhan Crippa, nato in Etiopia e adottato da una coppia milanese.

C’è poi la categoria dei cosiddetti “naturalizzati”. Per esempio, il lanciatore del peso Zane Weir è nato e cresciuto in Sud Africa, da genitori stranieri, ma a febbraio 2021 ha ottenuto l’eleggibilità a rappresentare l’Italia a livello internazionale grazie alle origini del nonno materno, triestino. Infine c’è chi ha la nazionalità italiana per questioni coniugali: la canoista Kiri Tontodonati, per esempio, è australiana, ma ha cognome e cittadinanza italiana perché ha sposato un italiano.

Come abbiamo anticipato, ci sono però sportivi che è molto difficile – se non impossibile – categorizzare tra quelli con «origini straniere» in base alle informazioni pubblicamente a disposizione. Nella squadra olimpica italiana ci sono molto probabilmente atleti o atlete con solo un nonno straniero oppure un lontano avo non italiano. In senso largo, sarebbe corretto dire che anche loro hanno «origini straniere», ma in questa analisi non li equipareremo agli esempi visti sopra: da un lato, per mancanza di informazioni dettagliate sulla storia delle loro famiglie; dall’altro lato, perché non rientrano tra gli esempi citati in questi giorni nel dibattito politico sulla riforma della cittadinanza.

Fatte queste osservazioni, quanti dei 384 atleti della squadra olimpica italiana hanno «origini straniere», intese nel senso appena descritto? Per rispondere a questa domanda, è utile partire dalla percentuale del «38 per cento» citata negli ultimi giorni da alcuni politici.

Da dove viene la percentuale del «38 per cento»

Questa statistica è contenuta in un articolo della Gazzetta dello Sport, pubblicato online il 31 luglio, e intitolato: “Da Jacobs alla Osakue, la Nazionale è multietnica: il 38 per cento degli azzurri ha origini straniere”. «I primi risultati olimpici sono ottenuti da ragazzi e da ragazze dai nomi e dai cognomi che non ne tradiscono le origini, ma che, neanche a dirlo, sono italiani al 100 per cento…», recita l’articolo nel sottotitolo.

Leggendo il pezzo si scopre che la percentuale riportata non fa però riferimento a tutta la squadra olimpica dell’Italia, ma soltanto a quella dell’atletica, di cui tra l’altro fanno parte Jacobs e la lanciatrice del disco Daisy Osakue (nata a Torino da due genitori stranieri), menzionati nel titolo.

Dei 384 membri della squadra olimpica italiana, 76 fanno parte del team di atletica. Di questi, secondo la Gazzetta e come confermato dal sito ufficiale del Coni sulle Olimpiadi, almeno 29 hanno origini straniere, ossia il «38,1 per cento». Tra gli sportivi citati nell’articolo, ci sono i già visti Jacobs, Crippa, Aceti e Weir, ma anche un atleta come Antonio Baldassare Infantino, che ha origini italiane – la mamma è avellinese e il papà agrigentino – ma che è nato e poi cresciuto sportivamente nel Regno Unito. Sul calcolo della Gazzetta ci sono dunque alcuni margini di interpretazione.

In ogni caso, ricapitolando, quasi quattro atleti su dieci nella squadra olimpica italiana di atletica – e non della squadra olimpica in generale – hanno «origini straniere», nel senso che abbiamo chiarito a inizio articolo. Questa percentuale del «38 per cento» cala di parecchio se si allarga lo sguardo a tutte le altre discipline.

Almeno un italiano su dieci alle Olimpiadi ha «origini straniere»

Abbiamo analizzato le schede biografiche dei 384 atleti che fanno parte della spedizione italiana a Tokyo e almeno 59 hanno una qualche origine straniera, considerando i criteri visti sopra: circa il 15 per cento sul totale. Una percentuale oltre due volte più bassa del «38 per cento» valida per la squadra di atletica.

Per i motivi già elencati, anche il dato del 15 per cento va comunque preso con cautela: come abbiamo visto, possono esserci atleti che hanno un solo nonno o un solo avo straniero, e il resto della famiglia tutto italiano, senza che la loro biografia lo specifichi.

Secondo alcune stime riportate negli ultimi giorni, tra gli altri, dall’HuffPost e dal Corriere della Sera, sarebbero invece 46 gli atleti italiani nati all’estero. Abbiamo contattato l’ufficio stampa del Coni per sapere se il numero «46» fosse una statistica del comitato olimpico italiano, ma ci è stato risposto che una statistica ufficiale sul tema non è stata ancora diffusa.

In conclusione

Le Olimpiadi di Tokyo hanno riportato di attualità il dibattito sullo ius soli in Italia e sulla necessità, secondo alcuni, di dover riformare la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri.

Alcuni politici, favorevoli allo ius soli, hanno difeso la loro posizione dicendo che questa sarebbe giustificata dal fatto che il «38 per cento» della squadra olimpica italiana è composta da atleti e da atlete con «origini straniere».

Il legame tra ius soli e atleti olimpici che hanno la nazionalità italiana per svariate ragioni – come detto, genitori o avi italiani, residenza in Italia o matrimonio – non è chiarissimo, ma non è questo l’oggetto della nostra analisi. In ogni caso, il dato proviene da un calcolo della Gazzetta dello Sport, riferito però non a tutta la spedizione azzurra in Giappone, ma solo ai 76 membri della squadra di atletica.

Se si considerano tutti i 384 atleti italiani andati a Tokyo, la percentuale di partecipanti con «origini straniere» scende intorno al 15 per cento: un po’ più di un atleta su dieci, dunque.

Il calcolo della Gazzetta, inoltre, a un nostro controllo risulta sostanzialmente corretto, anche se vengono ricompresi atleti con origini italiane ma che sono cresciuti all’estero.