Negli ultimi giorni in Europa è tornato di forte attualità il tema dei diritti civili, dopo l’approvazione il 15 giugno di una contestata legge in Ungheria che, secondo i critici, discrimina la comunità Lgbtq+. Il 23 giugno la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito una «vergogna» la legge approvata dal Parlamento ungherese, in mano al primo ministro Viktor Orbán, mentre 17 Stati membri su 27 – tra cui l’Italia – hanno espresso in una lettera preoccupazione per i contenuti della legge. A sostegno di Orbán si sono invece schierati alcuni Paesi dell’Est Europa, come la Polonia, e la destra italiana.

Il 25 giugno, ospite dell’evento “Live in Firenze” di Sky TG24, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha preso le difese (min. 4:04) di Orbán. Meloni ha detto di aver letto e approfondito la legge, chiedendosi se chi critica il primo ministro ungherese abbia fatto lo stesso. «La legge della quale si parla, sicuramente scritta con toni che a me non piacciono, è di fatto una legge che vieta la propaganda gender nelle scuole, fatta da associazioni che non siano inserite formalmente nel sistema di formazione ungherese», ha detto Meloni. «Questo dice la legge e questo è obiettivamente un po’ diverso da come è stata raccontata».

Il giorno prima anche il leader della Lega Matteo Salvini aveva difeso Orbán con argomenti simili, sostenendo a sua volta: «Io me la sono letta la legge ungherese».

Ma davvero questa legge si limita a fare quanto detto dalla leader di Fratelli d’Italia? Abbiamo analizzato anche noi tutto il testo contestato e sembra che Meloni non l’abbia letto bene. O almeno, abbia evidenziato soltanto una delle parti, omettendendone altre.

Il voto in Parlamento

Come abbiamo anticipato, la legge ungherese contestata in questi giorni è stata approvata dal Parlamento di Budapest il 15 giugno con 157 voti a favore e uno contrario: l’opposizione non ha partecipato al voto, mentre il partito di estrema destra Jobbik – che non fa parte della maggioranza – ha votato sì. Ricordiamo che quasi il 70 per cento dei seggi del Parlamento ungherese è in mano a Fidesz, il partito di destra guidato da Orbán, insieme agli alleati del Partito popolare cristiano democratico (Kndp).

L’obiettivo dichiarato della nuova legge è innanzitutto quello di inasprire le pene per i pedofili. Il suo titolo è infatti “Azioni più dure contro i trasgressori pedofili e modifiche a determinate leggi per proteggere i bambini”. Ma, come vedremo tra poco, contiene anche una serie di altre norme, tra le più contestate in questi giorni, che con la pedofilia non hanno nulla a che fare. Tant’è che alcuni media, tra cui in Italia Il Post, hanno scritto che la nuova legge «di fatto paragona l’omosessualità alla pedofilia e vuole impedire che si parli di persone gay e transgender con i minori».

Come si è arrivati fin qui

Un approfondimento del sito di informazione ungherese Telex, uscito lo scorso 23 giugno, spiega che la riforma sui crimini sessuali verso i minori è salita al centro del dibattito politico ungherese a metà dell’anno scorso, dopo uno scandalo che ha coinvolto l’ex ambasciatore ungherese in Perù Gábor Kaleta, arrestato con l’accusa di pedopornografia.

A maggio 2021 Fidesz ha presentato una proposta di legge, che al di là di alcune divergenze sembrava ricevere il sostegno anche dell’opposizione. Tra le varie proposte contenute nel testo, ci sono l’introduzione di un database nazionale degli abusatori sessuali sui minori (con la città di residenza, l’indirizzo e altri dati) e l’inasprimento delle pene verso i pedofili.

A ridosso del voto del 15 giugno la maggioranza guidata da Fidesz ha però presentato una serie di emendamenti, per introdurre nella legge una serie di misure che sono accusate (tra gli altri, da esponenti dell’Unione europea e delle Nazioni unite) di discriminare i diritti Lgbtq+ e che hanno spinto l’opposizione – con l’eccezione dell’estrema destra del Jobbik – a boicottare il voto. Vediamole nel dettaglio.

Di che cosa parla Meloni

Il testo approvato dal Parlamento ungherese è disponibile in ungherese, ma la Magyar Helsinki Bizottság – un’organizzazione ungherese indipendente per la tutela dei diritti umani – ha tradotto in inglese gli emendamenti più contestati.

Come abbiamo visto in precedenza, secondo Meloni la norma contestata «è di fatto una legge che vieta la propaganda gender nelle scuole, fatta da associazioni che non sia inserite formalmente nel sistema di formazione ungherese». L’espressione «propaganda gender» – spesso usata dalla destra italiana insieme con «ideologia gender» o «indottrinamento gender» – non ha una definizione precisa. Ma fa riferimento in modo critico sia agli studi di genere (gender studies in inglese) sia ad alcune iniziative, soprattutto nelle scuole, che promuovono temi legati alla comunità Lgbtq+ (come l’omosessualità e la riassegnazione di genere) e che per la destra italiana non sarebbero adatti a un pubblico di bambini. La stessa Meloni, intervistata il 25 giugno su Sky TG24, si è chiesta (min. 6:25) perché la scuola italiana trascuri l’educazione sessuale, mentre si occupa invece di questi altri temi.

Nel riassumere la legge ungherese Meloni prende in considerazione solo una disposizione specifica, quella contenuta nella sezione 11, che introduce alcune novità in una norma più generale del 2011 sull’educazione nazionale pubblica.

In base alle nuove regole, le attività a scuola che riguardano la sfera sessuale «non devono mirare a promuovere la deviazione dall’identità di genere del bambino, intesa come il suo sesso alla nascita, né alla riassegnazione di genere né all’omosessualità». Questo deve essere fatto con «particolare attenzione» all’articolo XVI, paragrafo 1, della Costituzione ungherese – introdotto alla fine del 2020 – che recita: «Ciascun bambino ha il diritto alla protezione e alle cure necessarie per il suo sviluppo fisico, mentale e morale. L’Ungheria deve proteggere il diritto dei bambini alla propria identità, che corrisponde con il loro sesso alla nascita, e assicurare un’educazione che sia in accordo con i valori costituzionali e la cultura cristiana del nostro Paese».

La nuova legge approvata il 15 giugno dal Parlamento ungherese stabilisce anche che, al di là di insegnanti e di professionisti sanitari, solo le organizzazioni regolarmente riconosciute dallo Stato possono tenere attività per gli studenti sull’orientamento e lo sviluppo sessuale, ma anche sugli effetti dannosi delle droghe, sui pericoli di Internet o su «altre questioni relative allo sviluppo della salute fisica e mentale».

Come spiega lo stesso testo di legge, questa nuova disposizione è pensata per limitare le attività a scuola di «organizzazioni con una credibilità professionale dubbia». «I rappresentanti di alcune organizzazioni in alcune sessioni cercano di influenzare lo sviluppo sessuale dei bambini attraverso attività chiamati “programmi di sensibilizzazione”», ma «che possono causare gravi danni allo sviluppo fisico, intellettuale e morale dei bambini», sottolinea il testo di legge. «L’obiettivo dell’emendamento è quello di assicurare che queste sessioni possano essere tenute solo da persone od organizzazioni che sono incluse in un registro ufficiale, costantemente aggiornato». Dunque Meloni, come abbiamo anticipato, cita correttamente questa parte della legge, quando in tv parla dell’esclusione in Ungheria di «associazioni che non siano inserite formalmente nel sistema di formazione ungherese» nel trattare temi legati all’identità sessuale e di genere.

Secondo i critici, questa norma è l’ennesimo tentativo da parte del governo di Orbán di limitare le attività delle organizzazioni non governative che fanno sensibilizzazione sui temi legati ai diritti della comunità Lgbtq+. Il governo ungherese si è difeso, dicendo che è in corso una campagna «globale» di «fake news» e che l’obiettivo della legge è quello di proteggere i bambini dai pedofili e di limitare ai genitori l’educazione sessuale dei bambini.

Ma ci sono altre disposizioni contenute nella legge, molto contestate negli ultimi giorni, non menzionate da Meloni nella sua difesa di Orbán.

Di che cosa non parla Meloni

In primo luogo le nuove norme modificano (sezione 1) una legge del 1997 sulla protezione dei bambini. Il testo approvato dal Parlamento ungherese stabilisce che «lo Stato protegge il diritto dei bambini alla loro identità di genere, intesa come il loro sesso alla nascita». In più, per raggiungere questo obiettivo, si legge che «è proibito mettere a disposizione di chi ha meno di 18 anni qualsiasi contenuto pornografico o contenuto che rappresenta la sessualità fine a se stessa, o promuove o raffigura deviazioni dall’identità di genere, intesa come il sesso alla nascita, la riassegnazione di genere, o l’omosessualità». Una disposizione identica è contenuta nella sezione 2, dedicata alla diffusione di pubblicità di qualsiasi tipo che abbiano i contenuti appena citati.

In secondo luogo la legge introduce, alla sezione 9, nuove restrizioni per i media. Per esempio, non possono essere più raccomandati per chi ha meno di 18 anni programmi «capaci di condizionare negativamente lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori», ossia quelli in cui l’«elemento dominante è la violenza o contenuti che promuovono e ritraggono la deviazione dell’identità di genere, intesa come il sesso alla nascita, la riassegnazione di genere o l’omosessualità».

Come spiega l’approfondimento di Telex citato in precedenza, al momento non è ancora chiaro quali saranno i risvolti concreti di queste disposizioni. «Il significato di queste nuove regole è difficile da decifrare sia in ungherese che in inglese, dal momento che non è c’è una definizione legale di “rappresentazione” o “promozione” nella pratica giuridica», ha scritto il sito di informazione indipendente ungherese. Il rischio dunque è che ci sarà un ampio margine di discrezionalità nello stabilire chi rispetterà le nuove norme e chi no.

In un comunicato la rete televisiva ungherese Rtl Klub ha per esempio scritto che programmi televisivi come Il diario di Bridget Jones, Harry Potter e Billy Elliot rischiano di essere considerati pericolosi per chi ha meno di 18 anni. Sorte analoga potrebbe spettare alla lettura di diversi libri nelle scuole.

In conclusione

Secondo Giorgia Meloni, chi critica la legge approvata il 15 giugno in Ungheria non l’ha letta, come invece ha fatto lei, perché le nuove norme ungheresi vietano soltanto «la propaganda gender nelle scuole, fatta da associazioni che non siano inserite formalmente nel sistema di formazione ungherese».

Al di là del riferimento critico alla «propaganda gender», che è un’espressione non neutrale nel dibattito, è vero che la nuova legge ungherese restringa alle organizzazioni riconosciute in un particolare registro statale la possibilità di trattare temi legati ai diritti Lgbtq+ nelle scuole (e che per parlare di questi temi si debba in ogni caso rispettare la «cultura cristiana» del Paese e considerare l’identità di genere del bambino come il suo sesso alla nascita).

Ma Meloni omette di dire che la nuova legge ungherese ha introdotto anche altre disposizioni, fortemente criticate dalla Commissione Ue, da diversi Stati membri e da diverse organizzazioni non governative.

Ora in Ungheria sarà per esempio possibile vietare campagne pubblicitarie in favore delle comunità Lgbtq+, o di sensibilizzazione su temi come la riassegnazione di genere e l’omosessualità, programmi televisivi e altri contenuti simili, a scuola e nei contesti pubblici frequentati dai minori di 18 anni.

In generale, le nuove disposizioni sembrano avere un ampio margine di discrezionalità, quindi non è ancora possibile stabilire con precisione quali saranno le conseguenze concrete in Ungheria sui temi legati ai diritti Lgbtq+.