Negli ultimi giorni alcuni politici e quotidiani italiani – come Huffington Post e Il Giornale – hanno diffuso la notizia secondo cui la Howard University, un’università privata e storicamente afroamericana di Washington (Stati Uniti), abbia deciso di chiudere il Dipartimento di studi classici perché la maggior parte degli autori classici sono «uomini bianchi» e «suprematisti».

Il 28 aprile l’eurodeputato di Forza Italia Raffaele Fitto ha per esempio commentato la decisione della Howard University scrivendo su Twitter: «Niente più Omero e Cicerone, Socrate e Platone, perché erano tutti maschi e bianchi, quindi “suprematisti”. Per me, senza mezzi termini, è una decisione stupida!». Il 3 maggio, invece, il leader della Lega Matteo Salvini ha pubblicato su Facebook un servizio del Tg2 sul tema andato in onda il 27 aprile (min. 22:45), scrivendo: «Omero, Cicerone e gli altri autori dell’antichità, pietre miliari della nostra civiltà, hanno una colpa imperdonabile: erano MASCHI e BIANCHI. Siamo alla follia più totale!».

Le accuse nei confronti della Howard University sono però prive di fondamento. È vero che il Dipartimento di studi classici di questo ateneo chiuderà dal prossimo autunno, ma il razzismo non c’entra. Vediamo perché.

Howard University e gli studi classici

La Howard University è un ateneo privato situato nell’area metropolitana di Washington D.C., a circa mezz’ora dalla Casa Bianca. Fondato nel 1867, oggi offre corsi di studio per tutti i livelli in diverse discipline, dalla medicina agli studi religiosi. Nell’ultimo periodo l’università viene spesso citata dai media internazionali come alma mater dell’attuale vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, che alla Howard University ha conseguito il titolo triennale in scienze politiche ed economia.

Non si tratta solo di una coincidenza: la Howard University rientra infatti nel gruppo degli Historically Black Colleges and Universities (HBCUs), le università nate prima della legge sui diritti civili del 1964 proprio con lo scopo di servire le minoranze che non godevano delle stesse libertà, diritti o privilegi dei bianchi. Generalmente, al giorno d’oggi i college di tradizione afroamericana sono piuttosto piccoli e non godono di grossi finanziamenti.

Alla Howard University il Dipartimento di studi classici è attivo fin dalla fondazione dell’università. Inizialmente questo offriva corsi di laurea completi e specializzati (i cosiddetti Major), ma il New York Times riporta che a partire dal 2009 questi sono stati eliminati. Oggi, infatti, l’ateneo offre tre Minor – corsi che anche gli studenti di altre facoltà possono aggiungere al proprio piano studi, ma che non rappresentano l’indirizzo principale – in civiltà classiche, greco e latino.

Al momento, Howard è l’unico tra gli atenei di tradizione afroamericana ad avere un Dipartimento di studi classici attivo e indipendente, ma questo non durerà ancora a lungo.

La chiusura del Dipartimento

Il 16 aprile la Society for Classical Studies, un’importante associazione per lo studio della cultura greca e romana nel Nord America, ha pubblicato un breve comunicato in cui la Howard University annuncia la decisione di chiudere il Dipartimento di studi classici «come parte di uno sforzo di prioritizzazione» interno.

L’università, continua il testo, «sta attualmente negoziando con i docenti le soluzioni migliori per un reimpiego e un riposizionamento» dei programmi e del personale. «Queste discussioni sono state amichevoli, e il corpo docente è fiducioso nel fatto che il dipartimento possa essere mantenuto integro in qualche modo, con insegnanti e programmi ancora al loro posto», aggiunge il comunicato riferendosi all’impegno preso dall’Ateneo per non eliminare del tutto l’insegnamento dei classici.

Anche se il Dipartimento di studi classici non esisterà più dal prossimo settembre, infatti, l’università intende continuare a offrire corsi relativi a materie classiche e umanistiche per gli studenti interessati. La differenza è che questi saranno inglobati in altre facoltà e corsi di laurea: «Siamo convinti che le nozioni che offriamo attraverso lo studio dei classici siano importanti, ma dobbiamo anche rendere quegli insegnamenti attinenti alla realtà tramite applicazioni pratiche» ha detto al New York Times Anthony K. Wutoh, preside dell’università.

Secondo le ricostruzioni della stampa statunitense, i quattro docenti di ruolo del Dipartimento confluiranno in altri settori accademici dell’università, mentre quattro docenti precari perderanno il posto allo scadere dei rispettivi contratti.

Le motivazioni della Howard University

La decisione di chiudere il Dipartimento di studi classici arriva dalle raccomandazioni contenute in un report realizzato dall’ateneo, chiamato Howard Forward 2019-2024, che ha analizzato la situazione attuale dell’università per individuare punti di forza e fattori che invece non portano risultano soddisfacenti, come i corsi con pochi iscritti o alti tassi di abbandono.

Nel documento tutte le facoltà sono state divise in cinque categorie in base al loro rendimento: “Investimento strategico”, “Mantenere allo stato attuale”, “Mantenere con condizioni”, “Ristrutturare/Consolidare” ed “Eliminare”.

Il report spiega che il Dipartimento di studi classici, «seppur attualmente indipendente, non offre alcun corso completo [Major], e i suoi corsi possono comunque essere offerti tramite altre facoltà». Per questo, «il Dipartimento potrebbe essere eliminato».

Quello di studi classici non è però l’unico Dipartimento indicato come potenziale candidato per la dissoluzione: nella stessa categoria sono stati posti, tra gli altri, anche quello di Comprehensive Sciences – che include materie come Fisica e Computer e Società – i programmi di anatomia, biologia, e ingegneria civile.

I motivi fondamentali che hanno portato la Howard University a decidere di chiudere il Dipartimento di studi classici, quindi, sono le ristrettezze economiche e il disequilibrio tra benefici e costi creato dai suoi corsi di laurea, come confermato anche da Wutoh.

Le reazioni negli Stati Uniti…

Molti studenti della Howard University si sono mobilitati per cercare di mantenere attivo il Dipartimento, protestando sui social media con l’hashtag #SaveHUClassics e lanciando una petizione firmata da più di 5 mila persone (dati aggiornati al 25 aprile).

Allo stesso tempo ha fatto molto scalpore un articolo di opinione pubblicato il 19 aprile sul Washington Post e intitolato: «L’eliminazione dei classici alla Howard University è una catastrofe spirituale». Il pezzo è firmato da Cornel West, filosofo e studioso particolarmente conosciuto e con alle spalle una lunga carriera accademica in università prestigiose, e Jeremy Tate, imprenditore e consulente per le ammissioni al college. I due autori sostengono che la decisione mandi un messaggio «allarmante» di impoverimento culturale e abbandono del canone occidentale.

«Per mettere fine a questa catastrofe spirituale dobbiamo ritrovare la vera conoscenza, mobilitare tutte le risorse intellettuali e morali a nostra disposizione per formare esseri umani coraggiosi, con ideali e virtù civica», si legge nel pezzo.

Il 2 maggio, il direttore degli studi triennali alla Howard University Brandon Hogan e il direttore del Dipartimento di Filosofia Jacoby Adeshei Carter hanno risposto a West e Tate con un articolo di opinione pubblicato sul New York Times. Secondo gli accademici, non c’è alcuna «catastrofe» in corso alla Howard: semplicemente, «i dipartimenti non sono gratuiti».

I due autori hanno infatti ricordato che West ha studiato e insegnato prevalentemente in università bianche e con grandissimi fondi a disposizione, tra cui Harvard (che gestisce circa 42 miliardi di dollari), Yale (31 miliardi) e Princeton (27 miliardi). La Howard, invece, ha a disposizione un capitale di circa 700 milioni di dollari. «Mentre le istituzioni più rinomate raramente devo prendere in considerazione l’idea di eliminare un dipartimento, i migliori HBCUs faticano ogni giorno a fare ciò che vorrebbero per i propri studenti. Questa è la reale catastrofe spirituale», conclude il pezzo.

… e in Italia

La vicenda della Howard University è arrivata anche nel nostro Paese, dove si è diffuso un filone di disinformazione che sembra invece assente negli Usa. Come detto, diversi politici e organi di stampa hanno affermato che la Howard University ha deciso di eliminare il Dipartimento di studi classici perché gli autori studiati, come Socrate o Platone, sarebbero tutti uomini, bianchi e suprematisti.

La notizia è stata riportata da diversi organi di stampa ed è anche stata trasmessa durante un servizio del Tg2 andato in onda il 27 aprile. Diversi esponenti politici, come Matteo Salvini (Lega) e Raffaele Fitto (Forza Italia), hanno commentato il fatto sui propri profili social.

In realtà, come abbiamo visto, la nazionalità o l’orientamento culturale dei grandi autori antichi non hanno avuto nulla a che fare con la decisione presa dall’ateneo, dettata piuttosto da ragioni molto più pragmatiche di natura principalmente economica.

Al contrario, tanto l’articolo di critica pubblicato sul Washington Post quanto la risposta sul New York Times ricordano come lo studio dei classici, quando impostato a partire dalla giusta prospettiva, rappresenti una parte importante della storia e della cultura afroamericana.

Tra i tanti esempi possibili possiamo ricordare che la prima poetessa afro-americana mai pubblicata, Phillis Wheatley Peters (1753 c. – 1784), era – pure se schiava – un’amante dei classici greci e romani e le sue opere sono ricche di citazioni. Anche Martin Luther King, secoli dopo, era solito leggere e citare autori della classicità greca.

La narrativa principale diffusasi in Italia sostiene inoltre che la Howard University smetterà di insegnare i classici mettendo di fatto al bando tutti gli autori che sono alla base delle culture antiche. Anche questo è falso: come abbiamo spiegato, l’università continuerà a offrire i corsi relativi a queste materie, anche se questi non faranno più parte di un dipartimento a sé stante.

L’informazione è stata confermata dal presidente dell’ateneo Wayne A. I. Frederick, che durante un’intervista con il network americano Msnbc del 26 aprile ha affermato (min. 4:40): «Non smetteremo di offrire questi corsi, e crediamo siano importanti […] ma vogliamo rendere l’esperienza dei nostri studenti di colore più aderente alla realtà attuale».

In generale, il modo in cui si è diffusa in Italia la notizia sul Dipartimento della Howard University rientra nel dibattito sulla cancel culture, la cancellazione dal dibattito pubblico di personalità che sono state accusate di non rispettare, ora o in passato, le minoranze o di avere espresso opinioni discutibili nei confronti di determinati argomenti (in questo caso, gli autori classici nei confronti delle minoranze etniche).

La decisione è anche stata collegata alla cosiddetta «furia iconoclasta» che è imperversata negli Stati Uniti in seguito alla morte di George Floyd, quando diverse statue di generali confederati sono state rimosse perché ritenute irrispettose per la comunità afroamericana.

A prescindere dalle opinioni individuali, né la cancel culture né i sentimenti che hanno portato alla rimozione delle statue sono ricollegabili con la decisione presa dalla Howard University riguardo alla sua offerta didattica.

In conclusione

A partire dal prossimo autunno la Howard University di Washington, D.C. – storico ateneo statunitense per la comunità afroamericana – chiuderà il suo Dipartimento di studi classici.

In Italia, questa notizia è stata diffusa da alcuni quotidiani e politici, come il leader della Lega Matteo Salvini, secondo cui la chiusura sarebbe motivata dal voler mettere al bando gli autori antichi, accusati di essere uomini, bianchi e suprematisti. Questa narrativa però non ha fondamento nella realtà, e il tema è stato toccato solo marginalmente dal dibattito pubblico che si è sviluppato negli Stati Uniti.

La chiusura è stata decisa principalmente a ragioni economiche ed è stata presa con lo scopo di migliorare l’efficienza dei corsi di studio offerti ed evitare di sprecare risorse importanti.

Negli Stati Uniti ha fatto per lo più discutere un articolo di opinione pubblicato sul Washington Post in cui il filosofo Cornel West e l’imprenditore Jeremy Tate definiscono la notizia una «catastrofe spirituale». Il direttore degli studi “triennali” alla Howard University e il direttore del Dipartimento di Filosofia hanno invece risposto che la vera «catastrofe» sta nel fatto che le università storicamente nere soffrono di problemi finanziari e non possono offrire tutto ciò che vorrebbero ai propri studenti.