L’8 aprile l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato notizia della conclusione dello studio clinico randomizzato e controllato chiamato “Tsunami”, avviato a partire da maggio 2020 dall’Istituto superiore di sanità (Iss) oltre che dall’Aifa stessa, sul ruolo terapeutico del plasma convalescente nei pazienti che hanno preso la Covid-19.

I risultati sono stati purtroppo negativi: avendo messo a confronto pazienti a cui veniva data la terapia standard con pazienti a cui veniva data la terapia standard più il «plasma convalescente ad alto titolo di anticorpi neutralizzanti» (o “plasma iperimmune”), lo studio «non ha evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni».

Al massimo – in base ad alcuni risultati positivi che però non raggiungono la significatività statistica – si può sperare che abbia un qualche effetto su pazienti con sintomi lievi e solo nei primissimi momenti della malattia, ma è un aspetto che andrebbe eventualmente studiato in futuro.

Insomma, detto in parole semplici, il plasma non funziona. Questa, che ovviamente non è una bella notizia, ci dà però lo spunto per una riflessione sul comportamento della politica nei confronti della scienza. Parleremo in questo caso di Matteo Salvini, che delle cure al plasma è stato per mesi uno dei più accesi e acritici sostenitori, ma il discorso si può applicare a molte altre figure pubbliche.

Salvini e l’innamoramento per le cure al plasma

Della cura al plasma si è iniziato a parlare ad aprile 2020, a inizio pandemia, e in Italia uno dei più convinti sostenitori di questa possibile terapia è stato il leader della Lega, Matteo Salvini.

Già il 5 maggio 2020, in una diretta sui social, Salvini aveva parlato del plasma come di «una cura che funziona» – citando in proposito le posizioni del dottor Giuseppe De Donno dell’ospedale Carlo Poma di Mantova – ed era arrivato addirittura a lanciare sospetti sul governo e sull’Istituto superiore di sanità: cioè che non si interessassero a questa cura in quanto gratuita (cosa peraltro falsa) e senza «un business di qualche industria farmaceutica» alle proprie spalle.

Ancora a maggio, il 20, Salvini aveva fatto poi una lunga conversazione con De Donno in un video intitolato «Il plasma funziona» e, il giorno dopo, propagandava (min. 7:00 e ss.) anche nell’aula del Senato l’utilizzo del plasma («gratuito» e «democratico») e ribadiva i sospetti su interessi occulti nel non volerlo utilizzare.

Gli stessi concetti, in particolare la cieca fiducia nella cura del plasma autoimmune e il sospetto di interessi indicibili dietro al suo mancato utilizzo, il leader della Lega li ha ribaditi poi in numerosissime occasioni nelle settimane successive. Ad esempio a giugno 2020, ospite di Mezz’ora in più su Rai3, aveva sostenuto (min. 30:50 e ss.) che il dottor De Donno avesse «già curato e guarito decine di persone grazie alla cura col plasma autoimmune»; a luglio 2020, ancora in aula al Senato, aveva ripetuto di nuovo (min. 6:50) che «la cura che ha funzionato e guarito centinaia di pazienti» è «la cura del plasma autoimmune»; ancora a novembre 2020 aveva condiviso un video intitolato «“Sono vivo grazie al plasma”. Perché il governo non promuove tale cura?» e associato alla richiesta di far girare la testimonianza, visto il «silenzio» che sarebbe calato sulla cura in questione; e gli esempi potrebbero continuare.

Un invito alla prudenza

Questo buttarsi a corpo morto di Salvini su una cura per cui mancavano le necessarie conferme su efficacia e sicurezza da parte della comunità scientifica è stato un errore, anche a prescindere dai risultati dello studio scientifico di Aifa e Iss che abbiamo citato all’inizio.

In ambiti come questo la prudenza, soprattutto da parte della classe politica (sia o meno al governo), dovrebbe essere sempre presente, per non alimentare false speranze nei cittadini e per non spingere lo Stato a prendere decisioni – nei limiti del possibile – non fondate su solide basi fattuali.

I nostri colleghi di Facta quando hanno affrontato il tema della cura al plasma il 5 maggio 2020 (più o meno quando ha iniziato a parlarne anche Salvini) avevano spiegato chiaramente la situazione, senza nascondere quelle che all’epoca erano delle legittime aspettative sulla bontà di questa terapia. In particolare veniva messo in chiaro che «non sono ancora stati presentati dati consistenti né sono a oggi disponibili pubblicazioni scientifiche su questa specifica sperimentazione» e, ancora, che «finché questi dati non saranno condivisi con la comunità scientifica, non è possibile quindi riferirsi a questa opzione come a una cura già disponibile».

In conclusione

Uno studio scientifico di Aifa e Iss ha dimostrato che la cura al plasma non funziona per impedire decessi e casi gravi di Covid-19. Forse, ma andrà provato, potrebbe funzionare su pazienti con sintomi lievi e nelle fasi iniziali della malattia.

Guardando ai mesi passati si vede chiaramente come il leader della Lega Matteo Salvini abbia fatto sul tema una battaglia profondamente sbagliata. Non solo perché, come è emerso adesso, la cura non funziona. Ma perché – più in generale – su argomenti come questi, specie in un momento di grande emotività collettiva come quello di una pandemia, la politica dovrebbe dare il buon esempio della prudenza.

I limiti della cura col plasma, e l’incertezza sulla sua bontà, erano ad esempio stati evidenziati immediatamente da diverse testate. Che la classe dirigente del Paese abbia più responsabilità di una piccola realtà come la nostra non sembra insomma una richiesta insensata. Con la speranza che comunque questo triste fallimento sulle terapie col plasma serva di insegnamento per il futuro, a non credere ciecamente agli annunci (e, peggio, a far loro da cassa di risonanza) e a fidarsi della comunità scientifica più che del singolo scienziato.