Aggiornamento 9 aprile, ore 17 – In base ai dati più aggiornati della struttura commissariale, i vaccini somministrati l’8 aprile in Italia sono stati quasi 299 mila, in aumento rispetto alle 278 mila registrate al momento della pubblicazione di questo articolo.

***


L’8 aprile il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto una conferenza stampa dove ha parlato, tra le altre cose, della campagna vaccinale, delle future riaperture e di politica estera.

Abbiamo analizzato quattro dichiarazioni dell’ex presidente della Banca centrale europea (Bce), che risulta aver commesso diversi errori.

La questione degli psicologi e degli operatori sanitari

«Uno, banalizzando, dovrebbe dire: “Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, smettetela di vaccinare i giovani, psicologi di 35 anni perché sono operatori sanitari anche loro”. Queste platee di operatori sanitari che si allargano in questo modo. Ma con che coscienza un giovane, o comunque uno che non è compreso nelle prenotazioni, salta la lista e si fa vaccinare?» (min. 4:13)

Con questa dichiarazione, all’inizio della conferenza stampa, Draghi ha criticato la strategia di alcune regioni, ancora indietro nelle vaccinazioni degli anziani. Secondo il presidente del Consiglio, si dovrebbe smettere di vaccinare soggetti come i giovani psicologi, accostandoli a chi «salta la fila» e non rispetta le priorità date dal governo.

In realtà questo esempio ha parecchi limiti. Da un lato la categoria degli psicologi, sin dal precedente governo, rientra nelle fasce prioritarie della campagna vaccinale. Dall’altro lato lo stesso governo Draghi ha confermato questa misura: più ancora, ha introdotto un obbligo vaccinale che riguarda proprio anche gli psicologi. Dunque, al di là delle legittime opinioni di Draghi sullo specifico esempio, il presidente del Consiglio si lamenta di una situazione di cui è in parte responsabile e su cui potrebbe intervenire. Vediamo i dettagli.

Il 2 gennaio 2021, durante il precedente governo Conte II, il Ministero della Salute ha adottato il “Piano strategico” per la campagna vaccinale contro la Covid-19. In concreto si trattava di una serie di linee guida, presentate a inizio dicembre 2020 dal ministro della Salute Roberto Speranza e approvate dal Parlamento.

Nel piano si legge che nella Fase 1 della campagna vaccinale andavano messi in sicurezza gli «operatori sanitari e sociosanitari» (senza esplicitare limiti di età); i «residenti e il personale dei presidi residenziali per gli anziani»; e le «persone di età avanzata». Sottolineiamo che si trattava di «raccomandazioni» e non di obblighi (su questo aspetto ci torneremo più avanti). Nella gestione delle somministrazioni era stata data libertà di manovra alle regioni, che nei mesi successivi ha portato a grandi differenze nelle percentuali di anziani vaccinati o di dosi utilizzate.

Per quanto riguarda il personale sanitario, non veniva poi fornita una definizione precisa, ma soltanto una stima di una platea di circa 1,4 milioni di persone. Già nei primi giorni di gennaio noi di Pagella Politica avevamo sottolineato alcune differenze tra regioni, che stavano per esempio già vaccinando il personale amministrativo degli ospedali, e non solo medici e infermieri.

In ogni caso, già tra dicembre e gennaio scorsi si poteva presumere che gli psicologi facessero parte a pieno titolo delle categorie prioritarie della Fase 1. A fine 2017 il cosiddetto “decreto Lorenzin” ha infatti stabilito che gli psicologi rientrano tra le professioni sanitarie, una novità all’epoca celebrata dal Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop), che riunisce gli ordini territoriali degli psicologi in Italia.

Le raccomandazioni del governo Conte II parlavano anche della necessità di dare precedenza nelle vaccinazioni agli operatori sanitari e sociosanitari in «prima linea» (un’espressione usata da Draghi anche in conferenza stampa per chiarire il suo esempio dello «psicologo di 35 anni»), ma non era specificato a chi si facesse riferimento. Si potrebbe obiettare che gli psicologi non sono un personale in «prima linea» – come può esserlo un anestesista o un infermiere in terapia intensiva – ma l’8 aprile il presidente del Cnop David Lazzari ha criticato l’uscita del presidente del Consiglio dicendo che anche gli psicologi lavorano in presenza negli ospedali, nelle scuole e nelle Rsa.

Sulla questione ci sono poi responsabilità anche del nuovo governo, e non solo delle regioni.

Il 12 marzo 2021 – quando l’esecutivo Draghi era insediato da circa un mese – il Ministero della Salute ha approvato delle nuove raccomandazioni, secondo cui bisognava dare precedenza nelle vaccinazioni ad alcune categorie prioritarie, definite in base all’età e alla presenza di condizioni patologiche. Queste raccomandazioni specificavano però che in parallelo bisognasse completare le vaccinazioni della Fase 1, ossia quelle che riguardano il «personale sanitario e sociosanitario» e «tutti i soggetti che operano in presenza presso strutture sanitarie e sociosanitarie».

Inoltre, il decreto-legge del 31 marzo 2021 ha introdotto (art. 4) l’obbligo vaccinale contro la Covid-19 per tutti «gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali». Per di più il vaccino «costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati».

L’esempio dell’introduzione dell’obbligo vaccinale suggerisce che, volendo, il governo possa intervenire, obbligando le regioni a vaccinare soltanto determinate categorie specifiche (ad esempio, lasciando fuori gli psicologi, anche se sul punto rischierebbero di nascere controversie legali). Come abbiamo scritto in passato e come ha ribadito una recente sentenza della Corte costituzionale, lo Stato ha la precedenza nel determinare le misure per contrastare un’epidemia (art. 120 della Costituzione).

Alcuni articoli della legge di Bilancio per il 2021 – approvata con il governo Conte – ribadiscono (art. 457 e seguenti) questa interpretazione, dicendo che l’attuazione del piano vaccinale è demandato alle regioni e che, in caso di mancata attuazione, le regioni possono essere di fatto “commissariate” dalla struttura commissariale per l’emergenza coronavirus, oggi presieduta dal generale Francesco Paolo Figliuolo.

Il 9 aprile, in un colloquio con Il Foglio, il ministro della Salute Roberto Speranza ha sottolineato che in caso di inadempimento delle regioni «è giusto che lo Stato faccia tutto ciò che è nei suoi poteri fare per raddrizzare la rotta». Non è però dato sapere con precisione che cosa succederebbe da un punto di vista giuridico se si dovesse consumare uno scontro vero e proprio tra il governo centrale e le regioni sulla vaccinazione prioritaria di determinate categorie.

I dati sulle vaccinazioni

«I numeri sono tornati più o meno ai livelli precedenti Pasqua. Oggi abbiamo chiuso con 293 mila vaccinazioni» (min. 7:37)

Draghi ha ripetuto (min. 48:12) il dato delle «293 mila vaccinazioni» effettuate l’8 aprile anche un’altra volta durante la conferenza stampa, per rimarcare che la campagna vaccinale procede senza rallentamenti, nonostante i problemi con AstraZeneca.

Al momento della pubblicazione di questo articolo non è possibile sapere con certezza quante vaccinazioni contro la Covid-19 sono state fatte l’8 aprile, giorno della conferenza stampa di Draghi. Il sito del governo non fornisce infatti i dati delle somministrazioni giornaliere, ma l’andamento complessivo.

Queste statistiche sono consultabili dagli open data messi a disposizione dalla struttura commissariale per l’emergenza coronavirus, ma vengono aggiornati a scaglioni e con un po’ di ritardo. Alle ore 14:00 del 9 aprile, le somministrazioni complessive fatte l’8 aprile risultavano essere quasi 278 mila (giovedì 1° aprile erano state circa 275.500), 15 mila in meno di quelle indicate da Draghi.

Nei due giorni subito dopo Pasquetta, mercoledì 7 aprile le somministrazioni sono state oltre 274.600 e martedì 6 aprile oltre 271.600. Negli stessi giorni della scorsa settimana erano state quasi 295.700, mercoledì 31 marzo, e circa 255 mila martedì 30 marzo.

Dunque la situazione sembra essere più o meno simile a prima di Pasqua, ma comunque non c’è stato un aumento, nonostante lo stesso Draghi abbia confermato l’obiettivo in conferenza stampa di vaccinare 500 mila persone al giorno entro aprile.

La ripresa del turismo

«La stagione turistica non va data per abbandonata. Come si legge dai giornali gran parte dei siti turistici sono già tutti prenotati» (min. 16:44)

In questo caso il presidente Draghi sembra riporre un po’ troppo ottimismo sulla ripresa del turismo in Italia quest’estate, basandosi sulle dichiarazioni lette sui giornali negli ultimi giorni.

È vero che diversi articoli parlano di possibili «sold-out» o di «boom di prenotazioni di case e ville», ma queste uscite vanno prese con molta cautela. Le fonti infatti sono per lo più associazioni di categoria, come quelle dei balneari o dei consumatori, o portali che si occupano di prenotazioni turistiche.

In alcuni casi sono poi presentate delle statistiche in aumento rispetto all’estate dello scorso anno, che però arrivava dopo due mesi di lockdown e senza la campagna vaccinale in corso. In altri non è per nulla chiaro quale sia stata la metodologia per la raccolta dei dati.

Già a luglio 2020, verificando una dichiarazione del governatore della Liguria Giovanni Toti, avevamo spiegato come spesso gli articoli dedicati alle prenotazioni turistiche possano contenere statistiche fuorvianti.

I corridoi umanitari in Libia

«L’Italia è l’unico Paese che ha dei corridoi umanitari in Libia» (min. 1:18:31)

Qui Draghi sbaglia. Abbiamo contattato Carlotta Sami, portavoce in Italia dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), che ci ha aiutato a fare un po’ di chiarezza sulla questione dei corridoi umanitari. Generalmente con questo termine si fa riferimento alla possibilità di far arrivare i profughi in Italia via aereo, in modo sicuro e legale.

Innanzitutto, va sottolineato che al momento non sono attivi corridoi umanitari tra l’Italia e la Libia. Quando si parla del Paese nordafricano, il nome più corretto da utilizzare è quello di “evacuazioni umanitarie”, che in passato sono state effettuate dall’Unhcr insieme al Ministero dell’Interno italiano (una differenza sottolineata anche a ottobre 2020 dall’allora viceministra degli Esteri Emanuela Del Re in una conferenza sul tema).

Nessuna evacuazione verso l’Italia è comunque avvenuta nel 2020 e nel 2021, mentre tra il 2017 e il 2019 dalla Libia (ma anche dal Niger) sono stati trasferiti in Italia in totale 913 persone. È un numero molto basso se paragonato alle migliaia di migranti presenti nei centri di detenzione libici o a quelli che arrivano in Italia via mare.

Sul sito del Ministero dell’Interno l’ultimo riferimento a un “corridoio umanitario” dalla Libia risale aprile 2019, quando dalla Libia arrivarono in Italia, all’aeroporto di Pratica di mare, 147 richiedenti asilo. Anche all’epoca la stessa Unhcr sottolineò che non si trattava di un corridoio umanitario, bensì di un’evacuazione di emergenza.

Come abbiamo spiegato in passato, i corridoi umanitari sono un progetto della Comunità di Sant’Egidio, realizzato con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas. Secondo i dati più aggiornati, fino al 2019 con questo progetto sono arrivati nel nostro Paese quasi 2.500 rifugiati, dal Libano, dall’Etiopia e dall’isola greca di Lesbo. Il numero sale a circa 3 mila se si considerano i rifugiati mandati in Francia e Belgio.

Al di là delle differenze terminologiche, non è vero che siamo gli unici ad avere programmi di evacuazione dalla Libia. «Altri Paesi ricevono rifugiati dalla Libia attraverso programmi di reinsediamento o evacuazioni, soprattutto attraverso il Niger e il Rwanda», ha spiegato Sami a Pagella Politica. «Sono Paesi verso i quali evacuiamo rifugiati fragili dalla Libia in attesa del loro trasferimento in Paesi sicuri»,

In conclusione

Abbiamo analizzato quattro dichiarazioni fatte da Mario Draghi durante la conferenza stampa dell’8 aprile. Il presidente del Consiglio ha commesso una serie di errori.

Innanzitutto, Draghi ha criticato le regioni per i ritardi nelle vaccinazioni negli anziani, equiparando la vaccinazione di uno «psicologo di 35 anni» a quella di uno che «salta la lista» delle priorità. Questo esempio ha una serie di limiti: gli psicologi rientrano infatti tra il personale sanitario, che ha la priorità nelle varie raccomandazioni fatte dai governi alle regioni. Lo stesso governo Draghi ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli psicologi e potrebbe intervenire per “commissariare” le regioni, facendo attuare le disposizioni del piano vaccini (anche se non sono chiare quali conseguenze potrebbero esserci a livello giuridico).

Il presidente del Consiglio poi sbaglia quando dice che l’Italia è «l’unico Paese che ha dei corridoi umanitari in Libia». Sarebbe più corretto parlare di evacuazioni umanitarie, o di emergenza e nel 2020 e 2021 non ne sono state fatte. Tra il 2017 e il 2019 sono stati evacuati dalla Libia all’Italia meno di mille rifugiati, e anche altri Paesi sono coinvolti in progetti di questo tipo.

Secondo Draghi, l’8 aprile sono state fatte 293 mila vaccinazioni, ma in base ai dati più aggiornati al momento della pubblicazione di questo articolo erano circa 278 mila. Infine il presidente del Consiglio pecca un po’ di ottimismo, quando dice che «come si legge dai giornali gran parte dei siti turistici sono già tutti prenotati». Gli articoli degli ultimi giorni riportano infatti statistiche da categorie di settore e spesso non è chiara la metodologia con cui sono stati raccolti i dati.