Il 12 febbraio il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere in giudizio del senatore e leader della Lega Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per i fatti relativi al caso della nave Gregoretti del luglio 2019.

Prima del voto, in Aula l’ex ministro dell’Interno ha tenuto un discorso (qui il resoconto stenografico completo) dove ha difeso il suo operato quando era a capo del Viminale.

Dai morti in mare ai “decreti Sicurezza”, passando per il confronto con la nuova ministra Luciana Lamorgese, abbiamo verificato tre dichiarazioni di Salvini per vedere se corrispondono al vero o meno. Su diverse questioni, il leader della Lega ha commesso degli errori.

Un quinto dei “decreti Sicurezza” è dedicato all’immigrazione?

«Ho fatto approvare da questo Parlamento con orgoglio i decreti-legge sicurezza che adesso qualcuno vuole cancellare non avendoli letti, perché il tema immigrazione in quei provvedimenti è un quinto del testo».

Il 4 ottobre 2018 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il cosiddetto primo “decreto Sicurezza” che, tra le altre cose, ha abolito l’istituto della protezione umanitaria (sostituita da permessi di soggiorno per casi specifici ed eccezionali) e introdotto alcune norme per la revoca della cittadinanza italiana ai migranti che si macchiano di gravi reati.

Su 38 articoli (escludendo il numero 39, sulle coperture finanziarie, e il 40, sull’entrata in vigore del testo), 14 sono dedicati all’immigrazione. Oltre alle modifiche alla protezione umanitaria, ci sono anche i provvedimenti per il prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio e l’aumento dei fondi destinati, appunto, ai rimpatri stessi.

Nel testo approvato dal Consiglio dei ministri, dunque, più di un articolo su tre (non un quinto) era dedicato all’immigrazione.

Il 28 novembre 2018, il primo “decreto Sicurezza” è stato poi convertito in legge dalla Camera, con alcune modifiche che hanno portato il numero complessivo degli articoli a 72 (tenendo conto degli articoli bis e successivi e sempre escludendo gli ultimi due su coperture finanziarie ed entrata in vigore). Qui il numero degli articoli dedicati all’immigrazione è salito a 19: oltre uno su quattro.

Il cosiddetto “decreto Sicurezza bis” è stato invece pubblicato in Gazzetta ufficiale il 14 giugno 2019, per poi essere definitivamente convertito in legge dal Parlamento il 5 agosto 2019, pochi giorni prima dello scoppio della crisi di governo.

Il testo approvato a giugno dal Consiglio dei ministri conteneva in totale 17 articoli (escludendo il numero 18 sull’entrata in vigore del decreto) e, tra questi, cinque erano interamente dedicati al tema immigrazione (per esempio, con l’introduzione di multe per le Ong e il potenziamento delle operazioni delle Forze dell’ordine per il contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). Quasi un terzo.

Con le modifiche introdotte dal Parlamento, il numero degli articoli è salito a 27, con otto dedicati all’immigrazione: di nuovo poco meno di uno su tre.

Dunque Salvini è impreciso quando dice che «un quinto» dei “decreti Sicurezza” è dedicato all’immigrazione. In realtà la proporzione è più alta, ma bisogna fare due osservazioni ulteriori.

Da un lato, è fuorviante equiparare tutti gli articoli presenti nei decreti: alcune norme, come l’abolizione della protezione umanitaria, hanno conseguenze complessive maggiori rispetto a interventi mirati, come lo stanziamento di risorse per le Universiadi di Napoli del 2019 (previsto dall’art. 10 del primo “decreto Sicurezza”).

Dall’altro lato, Salvini è impreciso quando dice che l’attuale governo vuole «cancellare» i suoi provvedimenti. Il Programma di governo siglato da Pd, M5s e LeU ha promesso una revisione dei due “decreti Sicurezza” (impegno ad oggi non mantenuto) sulla base delle osservazioni fatte, rispettivamente a ottobre 2018 e agosto 2019, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che riguardano principalmente le novità introdotte dal leader della Lega in tema immigrazione.

Il confronto tra Salvini e Lamorgese

«Il ministro Lamorgese in più di un’occasione ha protratto per tre, quattro, cinque, dieci giorni lo sbarco in attesa dei ricollocamenti. La differenza che c’è tra noi e voi è che io non denuncio il ministro Lamorgese perché sta facendo il suo mestiere».

Facciamo subito alcune considerazioni preliminari. Per il reato di sequestro di persona, di cui è stato accusato Salvini in relazione ai casi Diciotti, Gregoretti e Open Arms, non è necessaria la denuncia ma la magistratura può procedere d’ufficio (in base all’art. 50 co.2 del codice di procedura penale), cioè autonomamente.

Non sappiamo poi se Salvini abbia denunciato o meno la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Se così fosse la cosa sarebbe infatti coperta dal segreto istruttorio, ma di sicuro il 28 gennaio Salvini aveva dichiarato il contrario, affermando: «Denuncio per sequestra di persona il premier Conte e il ministro dell’Interno Lamorgese (…) ora li denuncio io perché hanno tenuto a bordo per 4 giorni non 131 ma circa 400 migranti».

Premesso questo, analizziamo la questione relativa al numero dei giorni trascorsi in mare dalle navi Ong.

Come risulta dai dati raccolti dal ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) Matteo Villa, esperto di migrazione, è vero che anche durante i mesi in cui Lamorgese è stata ministra dell’Interno le navi con a bordo migranti abbiano aspettato alcuni giorni prima di sbarcare. Le attese più lunghe hanno riguardato le navi Ocean Viking e Alan Kurdi, a ottobre 2019, e furono pari rispettivamente a 10 e 9 giorni. A parte questi due casi, l’attesa con Lamorgese è sempre stata compresa tra i 2 e i 6 giorni.

Durante i mesi in cui al Viminale c’era Salvini l’attesa massima è arrivata invece a 21 giorni e attese di 20 giorni o quasi sono accadute più volte. Sono state poi frequenti le attese superiori ai 10 giorni.

In base agli atti della magistratura che sono consultabili al momento, possiamo comunque spiegare perché, ad oggi, Salvini sia stato coinvolto in diverse inchieste e Lamorgese no.

Per i casi Diciotti e Gregoretti, in cui Salvini è stato accusato di sequestro di persona, la differenza con Lamorgese è immediata: l’attuale ministra dell’Interno non ha mai bloccato lo sbarco di migranti che si trovavano a bordo di navi militari italiane. Il leader della Lega sì. La differenza è significativa, tanto che anche nel “decreto Sicurezza bis” voluto da Salvini è previsto (art. 1) che «il Ministro dell’interno (…) può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale».

Per il caso Open Arms, per cui Salvini rischia un altro processo per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, vista la richiesta di autorizzazione a procedere in giudizio avanzata dal Tribunale dei ministri di Palermo, la questione è più complessa.

In quel caso a Salvini viene contestato il reato di sequestro di persona, pur trattandosi di una nave Ong e non di una nave militare italiana, a cui quindi in base al “decreto Sicurezza bis” il ministro dell’Interno poteva impedire lo sbarco.

Il motivo è che, secondo i giudici, in base al diritto e alle circostanze di fatto, l’Italia dal 14 agosto 2019 – due settimane dopo che era iniziato lo stallo sul destino della Open Arms – aveva l’obbligo di indicare alla nave un porto sicuro (place of safety, o Pos) e, impedendolo, il ministro dell’Interno avrebbe commesso un reato.

Il 14 agosto, come riportano i giudici, il Tar del Lazio aveva infatti sospeso l’efficacia del decreto interministeriale del 1° agosto con cui era stato vietato alla Open Arms l’ingresso nelle acque territoriali italiane. Da quella data, inoltre, il peggioramento delle condizioni meteo aveva impedito alla nave di trovare «un idoneo riparo» e proprio per questo la Guardia Costiera italiana l’aveva autorizzata a ormeggiare a ridosso dell’isola di Lampedusa.

Insomma, dal 14 al 20 agosto non c’era più una base giuridica valida in base alla quale trattenere i migranti a bordo e, anzi, in base alle norme internazionali recepite dall’Italia – in particolare la convenzione Unclos del 1982 – e alle circostanze concrete, c’era l’obbligo di farli sbarcare. Non facendolo, sarebbe stato commesso il reato di privarli della libertà personale, di qui il possibile sequestro di persona.

Queste, è bene precisarlo, sono le possibili accuse. Spetterà alla magistratura verificare, nei tre gradi di giudizio se necessario, la loro fondatezza. Al momento Salvini è da considerarsi innocente e lo sarà, in base all’art. 27 co. 2 della Costituzione, fino a sentenza definitiva.

Sui due casi in cui, quando era già ministra Lamorgese, i migranti sono rimasti maggiormente a bordo delle navi Ong – i citati casi Ocean Viking e Alan Kurdi dell’ottobre 2019 – non abbiamo tutte le informazioni di dettaglio, non essendo ancora stata comunicata al Parlamento alcuna richiesta di autorizzazione da parte della magistratura. In base alle fonti di stampa sembra che le circostanze concrete siano diverse – in particolare non risulta che le navi siano rimaste ormeggiate per giorni di fronte a porti italiani in attesa dello sbarco, dopo che era diventata inequivocabile la responsabilità dell’Italia nell’indicare un porto sicuro – ma appunto mancano gli elementi precisi per affermare con assoluta certezza che i casi siano del tutto non confrontabili.

In conclusione possiamo quindi dire che esistono sicuramente delle caratteristiche comuni alle condotte dei ministri Salvini e Lamorgese, ma il primo le esagera fortemente.

Con Salvini i morti sono diminuiti?

«Infatti, i numeri dicono che durante i Governi dei presunti buoni (porti aperti e porte aperte), il Mediterraneo si è trasformato in una fossa comune a cielo aperto con 15.000 cadaveri in tre anni. […] Noi siamo passati da 15.000 a 2.000».

In questa dichiarazione, il leader della Lega non specifica a quale intervallo di tempo facciano riferimento i «15.000 cadaveri in tre anni».

In base ai dati dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim), se si prendono in considerazione gli ultimi tre anni consecutivi in cui è stato al governo il centro-sinistra, si scopre che tra il 2015 e il 2017 i morti in mare nella rotta del Mediterraneo centrale sono stati 10.584 (numeri in linea con quelli riportati dall’Unhcr).

Se si aggiunge al conteggio anche un quarto anno, il 2014, il numero sale a 13.749, che cresce fino a un massimo di 14.139 se si considerano anche le statistiche sui morti e i dispersi in mare negli ultimi cinque mesi del governo Gentiloni (gennaio-maggio 2018).

Come sono cambiati questi dati con il governo Conte I, di cui Salvini era ministro dell’Interno? Da giugno 2018 all’inizio di settembre 2019, i morti nel Mediterraneo centrale sono stati 1.750.

Sia per «i governi dei presunti buoni» che per il suo, Salvini sembra dunque aver arrotondato i dati per eccesso. Come abbiamo fatto notare anche in passato, però, quando si parla di morti in mare questi numeri “fotografano” solo un lato della questione.

Da un lato, è vero che con il governo Conte I (e Salvini ministro) è diminuito il numero totale di chi è morto in mare, ma è aumentato il numero dei morti in relazione al numero degli arrivi. In sostanza, attraversare il Mediterraneo è diventato più pericoloso rispetto a prima.

Tra giugno 2018 e inizio settembre 2019, sono sbarcati in Italia oltre 15 mila migranti, con 1.750 – come abbiamo visto – tra morti e dispersi. Questo significa che è morto un migrante ogni nove circa arrivati vivi. Nello stesso periodo, a cavallo tra giugno 2017 e inizio settembre 2018, gli arrivi erano stati oltre 79.200, con 2.341 morti: un rapporto di un morto ogni 34 circa arrivati vivi.

Il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa ha inoltre rilevato che con il governo Conte I sui morti in mare c’è stata un’altra inversione di tendenza rispetto al passato.

«I dati mostrano che nel corso del primo calo degli sbarchi, quello avvenuto da luglio 2017 quando al Viminale c’era Marco Minniti, il calo del numero dei morti e dispersi in mare ha ricalcato fedelmente quello delle partenze dalla Libia», ha scritto Villa il 21 gennaio 2020. «Tuttavia, nel periodo Salvini, a un’ulteriore riduzione delle partenze del 60 per cento ha corrisposto un aumento delle morti in mare del 19 per cento. Mentre nel periodo Lamorgese (i primi cinque mesi del suo mandato) il calo delle morti in mare è stato drastico (-80 per cento), malgrado un numero di partenze in aumento del 18 per cento».

Ricapitolando: anche se con numeri leggermente imprecisi, Salvini ha ragione quando dice che con il suo governo il numero totale dei morti in mare è calato, ma a questa diminuzione – cosa che il leader della Lega non dice – è corrisposto un aumento del rischio di attraversamento del Mediterraneo e un aumento delle morti in mare rispetto a quando ci si sarebbe aspettato rispetto al calo notevole degli arrivi.

In conclusione

Nel suo discorso al Senato, prima di essere mandato a processo dall’Aula, il leader delle Lega Matteo Salvini ha fatto una serie di dichiarazioni sul tema immigrazione. Ne abbiamo analizzate tre nel dettaglio, riscontrando alcuni errori.

Per quanto riguarda i “decreti Sicurezza”, non è vero che «un quinto» di questi testi parli di immigrazione: la proporzione è più alta, tra un quarto e un terzo, e in ogni caso le osservazioni avanzate da Mattarella e fatte proprie dall’attuale maggioranza riguardano soprattutto queste parti, e solo limitatamente quelle sulla sicurezza in generale.

Sul confronto con Lamorgese, è vero poi che esistono delle caratteristiche comuni alle condotte dei due ministri (per esempio, il fatto che le navi Ong restino ancora per giorni in mare prima di far sbarcare i migranti), ma Salvini le esagera fortemente, omettendo di dire, tra le altre cose, che Lamorgese non ha mai bloccato per giorni lo sbarco di una nave militare italiana, cosa fatta invece dal leader della Lega, due volte.

Infine, è vero che con Salvini ministro il numero dei morti totali nel Mediterraneo centrale è diminuito (anche se il leader della Lega cita numeri arrotondati per eccesso). Salvini però non dice che c’è stato un aumento del numero dei morti rispetto a quello degli arrivi e che c’è stata una battuta d’arresto sulla diminuzione delle vittime in proporzione al continuo calo degli sbarchi, iniziato nei mesi precedenti all’insediamento del suo governo.