Il 27 gennaio i rappresentanti dei 19 Stati membri dell’area euro hanno ufficialmente approvato la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, conosciuto anche come “Fondo Salva-Stati”.

Attenzione: stiamo parlando del Mes nel suo complesso e non del nuovo strumento, il Pandemic crisis support, creato apposta per rispondere alla pandemia di Covid-19. Questa nuova linea di credito, di cui molto si è parlato negli ultimi mesi, garantisce prestiti agli Stati che ne facciano richiesta senza condizioni, a parte che i soldi vengano usati per le spese sanitarie collegate all’emergenza pandemica e il loro ammontare non superi il limite del 2 per cento del Pil del 2019 degli Stati in questione.

La decisione del 27 gennaio fa seguito a quella dell’Eurogruppo (la riunione dei ministri dell’Economia dei Paesi dell’area euro) di novembre 2020, accolta positivamente dall’Euro Summit (la riunione dei capi di Stato e di governo dei Paesi dell’area euro) di dicembre 2020, e mette fine al percorso di ratifica da parte delle istituzioni comunitarie.

Ora la palla passa ai singoli Stati che, secondo le rispettive procedure costituzionali, dovranno far ratificare ai propri parlamenti il trattato internazionale che contiene la riforma del Mes. La riforma entrerà in vigore quando tutti avranno ratificato. Non ci sono tempistiche certe, anche se il presidente dell’Eurogruppo – l’irlandese Paschal Donohoe – ha auspicato che avvengano entro la fine dell’anno di modo da avere la riforma in vigore nel 2022. E, come dimostrano alcuni precedenti (ad esempio la ratifica del Trattato di Lisbona da parte dell’Irlanda), sono possibili intoppi e ritardi. Anche considerando che diversi Stati europei, per esempio Germania e Paesi Bassi, andranno a elezioni nel 2021.

Vediamo quindi, in sintesi, che cosa prevede la riforma.

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I contenuti della riforma

Come abbiamo scritto in passato, la riforma del Mes comporta cinque principali novità.

La prima è la possibilità che il Mes faccia da “backstop” rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona che ha l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. Se il Fsr finisce i soldi, può subentrare il Mes. In questo modo si scoraggiano eventuali attacchi alle banche europee da parte di speculatori.

La seconda novità è che in futuro il Mes avrà un ruolo maggiore quando si tratterà di fornire prestiti agli Stati in difficoltà. Terza, cambiano gli strumenti che ha a disposizione il Mes per intervenire in soccorso di un Paese in difficoltà e, in particolare, viene agevolato l’accesso alle linee di credito precauzionali da parte degli Stati che hanno i conti in ordine.

Quarta, il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico. Quinta, i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Questo comporta che se uno Stato va in default e bisogna ristrutturare il suo debito pubblico – ad esempio offrendo ai detentori del debito stesso una percentuale del valore dei titoli per estinguerlo – non sarà più necessario il via libera da parte della maggioranza degli azionisti in ogni singola sottocategoria dei titoli stessi (ad esempio titoli triennali, quinquennali, decennali e via dicendo), ma sarà sufficiente una votazione a maggioranza di tutti i detentori dei titoli del debito pubblico.

La “strana” posizione di Forza Italia

La riforma del Mes non è ancora arrivata in Parlamento in Italia per la ratifica, ma il 9 dicembre 2020 deputati e senatori si sono espressi – favorevolmente, a maggioranza – sull’autorizzazione al presidente del Consiglio a dare l’assenso dell’Italia alla riforma in occasione dell’Euro Summit dell’11 dicembre.

Allora Forza Italia si schierò per il no, insieme a Fratelli d’Italia e alla Lega. Il partito venne schierato su una posizione contraria direttamente dal suo leader, Silvio Berlusconi, che addusse due ragioni: la prima era che con la riforma «le decisioni sull’utilizzo del fondo verranno prese a maggioranza dagli Stati. Il che vuol dire che i soldi versati dall’Italia potranno essere utilizzati altrove anche contro la volontà italiana». La seconda era che col nuovo Mes «il Parlamento europeo non avrà alcun potere di controllo e la Commissione europea sarà chiamata a svolgere un ruolo puramente notarile».

Come avevamo verificato allora, queste due ragioni erano però infondate.

La riforma del Mes non va a modificare i meccanismi di voto per l’erogazione dei prestiti agli Stati. Le decisioni vengono prese normalmente “per consenso”, cioè senza che nessuno Stato si esprima in senso contrario (il che dà a tutti i 19 Paesi dell’area euro un diritto di veto). In caso di emergenza poi le decisioni vengono prese con una maggioranza dell’85 per cento, ma visto che l’Italia ha il 17 per cento abbondante dei voti anche in questo caso avrebbe un diritto di veto. Insomma non c’è pericolo che i soldi del Mes – versati dall’Italia o meno – vengano usati contro la volontà italiana.

In secondo luogo è vero che il Parlamento europeo non ha poteri di controllo, ma questa non è una novità della riforma, era così anche in precedenza. È poi vero che il Mes aumenti il proprio peso decisionale, ma la Commissione mantiene vasti poteri sostanziali. Dunque è fortemente esagerato attribuirle «un ruolo puramente notarile».

In conclusione

Il 27 gennaio si è concluso il percorso di riforma del Mes all’interno delle istituzioni dell’Unione europea, con l’approvazione da parte dei rappresentanti dei 19 Stati membri dell’area euro. Ora la parola passa ai Parlamenti nazionali che dovranno ratificare l’accordo, che quindi entrerà in vigore quando sarà ratificato da tutti gli organi legislativi dei 19 Stati.

Le principali novità della riforma sono cinque e riguardano la funzione di “backstop” che il Mes avrà nei confronti del Fondo di risoluzione unico (Fsr), il maggior ruolo del Mes nella concessione e gestione dei prestiti, la revisione di alcuni strumenti del Mes, il ruolo del Mes di mediatore tra Stati e investitori privati in caso di ristrutturazione del debito e, infine, la modifica delle clausole di azione collettiva (Cac) dei titoli del debito degli Stati dell’area euro, da maggioranza doppia a singola.

Non è vero, come abbiamo visto, che con la riforma l’Italia corra il rischio di non avere un potere di veto sulla concessione dei prestiti ed è fortemente esagerato sostenere che la Commissione venga ridotta a «un ruolo puramente notarile». Ragioni, queste, addotte da Berlusconi per motivare la contrarietà di Forza Italia alla riforma a fine 2020.