La maggioranza di governo è divisa su un problema causato dal taglio dei parlamentari

La Camera sta esaminando la proposta di riforma costituzionale sulla base elettorale del Senato, a cui si oppongono Lega e Forza Italia, con Fratelli d’Italia
ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI
ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI
Il 28 marzo la Camera ha iniziato l’esame della proposta di riforma costituzionale, presentata dal capogruppo di Liberi e uguali Federico Fornaro e da altri sette deputati del centrosinistra, che chiede di modificare l’articolo 57 della Costituzione, quello sulle regole base per l’elezione dei senatori. In sostanza, la proposta di riforma mira a far sì che il Senato venga eletto su base nazionale e non più regionale, come invece succede oggi. Questa riforma, insieme con la modifica dei regolamenti di Camera e Senato, era uno dei cosiddetti “correttivi” pattuiti dal Partito democratico e Leu con il Movimento 5 stelle nel formare il secondo governo Conte, a settembre 2019, e dare il via libera al taglio dei parlamentari, poi confermato a settembre 2020 con un referendum. 

La proposta di riforma cerca di risolvere un potenziale problema creato proprio dalla riduzione del numero dei parlamentari, che dalla prossima legislatura passeranno da 945 a 600. Se l’elezione dei senatori restasse su base regionale, infatti, c’è il rischio che nelle regioni più piccole i seggi a disposizione diminuiscano e vengano assegnati alle forze politiche con più voti, escludendo le minoranze. Il percorso della riforma si preannuncia però complicato, viste le divisioni all’interno della maggioranza che sostiene il governo Draghi. 

Che cosa prevede il testo della proposta

Il testo base della proposta di riforma costituzionale è composto da un solo articolo, che vuole sostituire il primo comma dell’articolo 57 della Costituzione con la frase: «Il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale». Nella versione attualmente in vigore l’articolo 57 prevede invece che il Senato sia eletto su base regionale. In sostanza, ad oggi, ogni regione corrisponde a una circoscrizione elettorale ed elegge un numero di senatori in base alla propria popolazione. Al contrario, secondo l’articolo 56 della Costituzione, i deputati sono eletti su base nazionale: l’ampiezza delle circoscrizioni è stabilita dividendo il totale della popolazione italiana per il numero di deputati da eleggere. 

La proposta di uniformare la base elettorale del Senato a quella della Camera punta a bilanciare uno squilibrio generato dalla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, approvata l’8 ottobre 2019 e confermata con il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020.

In occasione del referendum, i sostenitori del “No” avevano messo in evidenza che la riduzione del numero dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200) avrebbe penalizzato le regioni più piccole, che avrebbero perso una parte della propria rappresentanza. Infatti, tra le altre cose, la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari ha ridotto (articolo 2) anche il numero minimo dei senatori eleggibili in una regione, che è passato da sette a tre (il Molise ne elegge due e la Valle d’Aosta uno).

Gli effetti della riforma

Secondo alcuni costituzionalisti, il taglio del numero dei senatori comporta anche uno squilibrio per quanto riguarda l’assegnazione dei seggi ai vari partiti. «Se si tornasse a votare con un Senato eletto a base regionale, in una regione dove si eleggono pochi senatori, penso all’Umbria dove se ne eleggono tre, questi sarebbero eletti in gran parte dai due partiti che ottengono più voti, mentre gli altri non riuscirebbero ad essere rappresentati, nonostante abbiano raccolto anche percentuali elevate», ha spiegato a Pagella Politica Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia. 

Secondo Volpi, se approvata, la riforma non sarebbe comunque la soluzione per evitare un problema frequente negli ultimi anni, ossia il formarsi di maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Nel 2013, per esempio, la coalizione di centrosinistra guidata dall’allora segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani (composta da Pd e da Sinistra ecologia e libertà) aveva ottenuto la maggioranza assoluta alla Camera eleggendo 340 deputati (la soglia era 315), mentre al Senato non riuscì a raggiungerla, eleggendo 113 senatori (la soglia era 158). «Uniformare la base elettorale delle due camere potrebbe aiutare a prevenire questo fenomeno nelle prossime elezioni, ma molto dipenderà dai cambiamenti delle intenzioni di voto degli italiani e dalla legge elettorale che verrà adottata», ha spiegato Volpi a Pagella Politica.

Il percorso in Parlamento

L’iter per l’approvazione definitiva della riforma della base elettorale del Senato si preannuncia però complicato: il 22 marzo il testo della proposta ha ottenuto il via libera in Commissione Affari costituzionali a Montecitorio, ma la maggioranza che sostiene il governo Draghi si è divisa. Forza Italia e Lega, che appoggiano l’esecutivo, hanno espresso parere contrario insieme a Fratelli d’Italia, all’opposizione. Secondo alcune fonti stampa, il centrodestra teme infatti che la proposta di riforma rappresenti un primo passo verso una riforma della legge elettorale di tipo proporzionale. Dal canto suo, il centrosinistra allargato, composto da Partito democratico, Movimento 5 stelle, Italia viva e Leu, ha invece votato a favore. 

Come tutte le proposte di riforma costituzionale, anche questa proposta dovrà essere comunque approvata due volte da entrambe le Camere per ottenere il via libera definitivo. 

Il ruolo dei delegati regionali

Prima di concludere, sottolineiamo anche che in origine il testo della proposta presentato da Fornaro prevedeva anche la modifica dell’articolo 83 della Costituzione, per ridurre da tre a due il numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione del presidente della Repubblica. Questa proposta di modifica aveva l’obiettivo di riequilibrare il peso dei rappresentanti delle regioni nell’elezione del Capo dello Stato. Ad oggi infatti, i delegati regionali sono in totale 58 (la Valle d’Aosta ne elegge uno), e con il taglio dei parlamentari il loro peso nell’elezione del capo dello Stato è aumentato dal 6 per cento circa al 10 per cento dei “grandi elettori”. 

Questa parte della proposta è stata però eliminata prima dell’arrivo del testo in assemblea. Il 22 marzo, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato tre emendamenti, il primo presentato dallo stesso Fornaro e gli altri due da alcuni deputati del centrodestra, che hanno soppresso gli articoli che prevedevano la riduzione del numero dei delegati regionali. Come ha ammesso lo stesso Fornaro, la riduzione del numero dei delegati «avrebbe impedito di fatto il rispetto del principio della rappresentanza delle minoranze nell’elezione dei delegati regionali». Di solito, infatti, i consigli regionali eleggono due delegati per la maggioranza e un delegato per l’opposizione.

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