Quattro grafici e una mappa per capire l’epidemia in Italia

Pagella Politica
Il continuo aumento dei nuovi contagi da coronavirus in Italia sembra rallentare. Nel suo ultimo monitoraggio settimanale – con i dati relativi al periodo tra il 2 e l’8 novembre – il Ministero della Salute ha rilevato che la trasmissibilità del virus, seppure ancora molto alta, sembra essere in «lieve riduzione».

A riguardo, non sono mancati di arrivare i commenti prudenti, ma ottimisti, del governo. «Vedremo nei prossimi giorni se l’impennata della curva epidemiologica si appiattirà», ha dichiarato l’11 novembre in un un’intervista con La Stampa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «E quindi, se si inizieranno a vedere gli effetti delle misure dei vari Dpcm».

Nel pieno della seconda ondata, il rischio però è di perdersi e fare confusione tra i numeri e le dichiarazioni su aree rosse, arancioni e gialle. Per questo motivo abbiamo raccolto in quattro semplici grafici e in una mappa tutte le informazioni essenziali per capire a prima vista come sta andando l’epidemia nel nostro Paese. E perché, nonostante i primi segni di affievolimento, continua a crescere l’enorme peso sul nostro sistema sanitario.

La crescita dei positivi

Mentre a settembre i casi di coronavirus crescevano in gran parte d’Europa, l’Italia sembrava essere stata risparmiata dalla seconda ondata. Ma in poco tempo è diventato evidente che non fosse così.

Il Grafico 1 mostra i nuovi casi giornalieri di coronavirus nel nostro Paese dall’inizio dell’epidemia e la media mobile a sette giorni, cioè la media di ogni giorno e dei sei precedenti. Questo particolare tipo di media permette di limare la variabilità dei singoli dati giornalieri. Ricordiamo però che confrontare i dati della prima e della seconda ondata è fuorviante, per esempio a causa delle diverse capacità di testing.

Concentriamoci solo sugli ultimi due mesi e mezzo. A inizio ottobre è iniziata una rapidissima crescita delle diagnosi: si è passati da avere il 15 settembre 1.400 nuovi casi al giorno, in media mobile, ad averne il 15 ottobre 6.200 e il 15 novembre 34.700.

L’andamento del contagio degli ultimi giorni indica che la crescita è però sensibilmente rallentata, e in media mobile è addirittura in calo. Da un lato, il rallentamento è probabilmente dovuto alle diverse misure adottate dal governo nelle ultime settimane e alla divisione del territorio italiano in tre aree, a seconda della criticità; dall’altro lato, è possibile che stia pesando anche il fatto che i tamponi giornalieri non riescono a stare dietro al numero dei nuovi casi reali.

Negli scorsi giorni, alcune autorità sanitarie locali – come l’Ats di Milano – hanno addirittura sospeso i tamponi ai “contatti stretti” di casi positivi, scelta che nella pratica era già stata presa dopo l’eccessivo sovraccarico al sistema di tracciamento. Non è da escludere che questa decisione possa contribuire a una sottodiagnosi dei nuovi casi reali.

Come è cambiata la distribuzione dei positivi

Quando la pandemia colpì l’Italia a marzo, lo fece inizialmente in solo alcune regioni settentrionali. La decisione del governo di porre l’intero Paese in lockdown aveva limitato enormemente il numero di casi al Centro e al Sud. Oggi la situazione è invece molto diversa.

Nei mesi di marzo e aprile le regioni settentrionali avevano rappresentato tra l’80 e il 90 per cento dei casi italiani. A giugno, quando i contagi erano pochi, il solo Nord-Ovest era arrivato ad avere 8 casi su 10. Con la riapertura dei confini regionali e con gli spostamenti delle vacanze estive, anche il Centro e il Sud Italia hanno iniziato a registrare molti nuovi contagi.

Nei mesi estivi il peso delle regioni settentrionali è infatti sceso per la prima volta sotto il 50 per cento, mentre i casi al Sud hanno continuato a salire. Solo a ottobre, quando si è passati a una crescita esponenziale dell’epidemia in tutta Italia, il peso delle regioni del Nord-Ovest è tornato a crescere.

Attualmente il Sud pesa per circa il 23 per cento sul totale dei nuovi contagi, il Centro per il 18 per cento, il Nord-Est per il 20 per cento e il Nord-Ovest per il 39 per cento. Va comunque considerato che la distribuzione della popolazione nelle quattro macroaree è diversa. Nelle regioni del Nord-Ovest vive il 27 per cento della popolazione italiana, nel Nord-Est il 19 per cento, nel Centro il 20 per cento e nel Sud il 34 per cento.

Testiamo di più, ma non abbastanza

Come abbiamo spiegato più volte, una delle maggiori differenze tra oggi e il periodo tra marzo e aprile riguarda il numero di tamponi effettuati. Nelle prime fasi dell’epidemia il numero di tamponi molecolari era infatti insufficiente a testare tutte le persone che ne avevano bisogno. Anche le linee guida su chi testare erano diverse rispetto a quelle attuali. Per esempio, a fine febbraio il consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi riteneva che fosse un errore testare le persone asintomatiche, pratica poi diventata fondamentale nei mesi successivi.

Per capire l’evoluzione dei test in relazione all’epidemia, è necessario guardare al tasso di positività, ossia al numero di casi di coronavirus trovati rispetto al numero di tamponi effettuati. Il Grafico 3 mostra che a marzo un tampone su quattro era positivo, mentre ai primi di aprile si era scesi a uno su 8 e a maggio a uno ogni 25.

Per gran parte del periodo estivo il tasso di positività è rimasto sotto l’un per cento, segno che si stava intercettando la maggior parte dei casi di Sars-CoV-2. Ma ad agosto il tasso di positività ha iniziato a salire, e ha continuato a farlo per tutto settembre. A ottobre è poi “esploso”, passando in un mese dal 2 per cento al 15 per cento.

L’elevata crescita del tasso di positività, osservata non solo in Italia, è dovuto al fatto che i test non riescono a stare al passo con i nuovi casi. Per evitare questo problema, si sarebbe dovuto incrementare ancora di più la capacità di analisi, ma vi sono dei limiti fisici, come il numero di macchinari per l’analisi, che impediscono di accrescere velocemente la capacità di testing.

Il tasso di positività secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dovrebbe rimanere sotto il 5 per cento: solo in questo modo si può considerare l’epidemia sotto controllo. Ma esistono anche stime inferiori. Per esempio, Tomas Pueyo – un analista dei dati diventato famoso negli ultimi mesi per alcuni suoi approfondimenti legati al coronavirus – ha fissato in un lungo articolo del 28 aprile la soglia “critica” intorno al 3 per cento.

Ad oggi il tasso di positività in Italia è intorno al 25 per cento, ma dopo una repentina crescita sembra essersi stabilizzato, comunque a un livello troppo elevato.

Quanti ospedalizzati ci sono

Il numero di persone ospedalizzate, che comprende sia le persone in terapia intensiva sia quelle ricoverate in reparto, si può osservare in due modi: in relazione al numero di persone attualmente positive e in rapporto alla popolazione.

Se si guardano agli ospedalizzati ogni 100.000 abitanti, si vede chiaramente come la Valle d’Aosta e il Piemonte abbiano un elevatissimo numero di persone in ospedale confrontato alle altre regioni, segno che il contagio è probabilmente molto esteso. Anche Liguria e Lombardia e le Province autonome di Trento e Bolzano ne hanno molti.

Se si guarda invece al numero di ospedalizzati sui casi attivi, spiccano in particolar modo la Provincia autonoma di Trento e la Liguria. La prima ha quasi il 14 per cento dei casi attivi ricoverati, mentre la seconda poco meno del 10 per cento. Un numero eccessivamente alto di ospedalizzati sugli “attualmente positivi” indica, molto probabilmente, che si è di fronte a un fenomeno di sottodiagnosi: qui si intercettano insomma solo le persone che stanno male.

Guardando a questi due criteri, le regioni messe “meglio” sono Molise, Calabria e Basilicata.

In ogni caso, al 15 novembre gli ospedalizzati in Italia erano più di 35 mila, un numero maggiore rispetto al picco registrato durante la prima ondata, nei primi giorni di aprile.

Le province più colpite

Infine, guardiamo come si sta diffondendo il contagio a livello provinciale. Spesso infatti ci si concentra troppo sul quadro nazionale o regionale, perdendo di vista elementi di criticità più localizzati.

La Protezione Civile fornisce il numero complessivo dei contagiati per provincia. Tra il 9 e il 15 novembre, guardando ai nuovi casi ogni 100.000 abitanti nella settimana passata, dalla Mappa 1 si vede come le cinque province più colpite siano tutte al Nord: Varese, Como, Monza e Brianza, Bolzano e Aosta. Tre su cinque si trovano in Lombardia, la regione ad oggi di gran lunga più colpita dall’inizio dell’epidemia.

Le cinque province con meno casi sono invece dall’altra parte della penisola: Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Lecce e il Sud Sardegna. Per fare un confronto a parità di popolazione, Varese ha 14 volte i casi di Cosenza.

La mappa provinciale permette di vedere come vi sia ancora una certa contiguità tra le province più colpite e come tra le peggiori ci siano quelle di confine con altri Paesi. Al Nord spicca però il caso di Bergamo, la zona più colpita nella prima ondata, che è la provincia con meno casi di tutto il Nord e Centro Italia.

Come abbiamo spiegato in un precedente fact-checking, a differenza di quanto sostengono alcuni, è difficile che questo dato si spieghi per l’intera provincia grazie a un’“immunità di gregge” sviluppata durante la scorsa primavera.

In conclusione

Durante gli ultimi giorni l’epidemia di coronavirus continua ad avanzare nel nostro Paese, ma con un ritmo che sembra essere più rallentato rispetto alle scorse settimane. È ancora presto per dire se si stanno già vedendo i risultati dei provvedimenti messi in campo dal governo, ma in quattro grafici e in una mappa abbiamo raccolto una serie di dati essenziali per capire come si sta evolvendo la situazione.

Il tasso di positività dei tamponi continua a essere alto, intorno al 16 per cento a livello nazionale, ma dopo settimane di crescita sembra essersi stabilizzato; un’osservazione analoga vale anche per il numero dei nuovi contagi giornalieri.

Rispetto alla prima ondata, oggi la distribuzione del contagio sul territorio è molto più omogenea, sia a livello di macroaree che di singole province, anche se ci sono degli esempi più in “negativo”, soprattutto nel Nord Italia e al confine con altri Paesi.

Il numero degli ospedalizzati, infine, ha superato quello del picco della scorsa primavera. E ci sono zone – come la Provincia autonoma di Trento e la Liguria – dove i pazienti ricoverati in rapporto ai casi attivi sono più alti delle altre regioni, segno che molto probabilmente lì ci stiamo perdendo ancora molti nuovi contagi.

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