Riscrivere il Pnrr è possibile, ma non semplice

La richiesta, arrivata da più parti per i rincari delle materie prime, è percorribile. Ma servono nuove trattative con l’Ue, dall’esito incerto
EPA/FILIPPO ATTILI
EPA/FILIPPO ATTILI
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha spinto alcuni politici italiani a chiedere una revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato con risorse europee per far fronte alla crisi causata dalla pandemia. Il conflitto sta infatti causando un ulteriore aumento dei prezzi di molte materie prime, già in atto da alcuni mesi, mettendo a rischio la regolare realizzazione del piano.

Per esempio, il 12 marzo il leader della Lega Matteo Salvini, ospite a un evento dedicato al tema dell’energia, ha dichiarato (min 5:18) che «il Pnrr va rivisto da cima a fondo», visto che «ormai è un documento archeologico». Anche l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), una delle più rappresentative del settore, ha denunciato che i rincari energetici rischiano di far fallire il piano.

Ma davvero, se il governo volesse, potrebbe riscrivere il Pnrr, con cui riceveremo dall’Unione europea oltre 191 miliardi di euro entro il 2026? In breve la risposta è sì, ma come ha ricordato il presidente del Consiglio Mario Draghi, durante un’interrogazione parlamentare del 10 marzo, si tratta di un percorso non semplice.

Come si può riscrivere il Pnrr

In base all’articolo 21 del regolamento che ha creato il fondo comune europeo con cui è finanziato il Pnrr, l’Italia può presentare all’Ue una modifica del proprio piano, o addirittura un nuovo piano, a una determinata condizione. L’articolo in questione stabilisce infatti che una revisione è possibile se il piano «non può più essere realizzato, in tutto o in parte» a causa di «circostanze oggettive».

L’espressione chiave qui è «circostanze oggettive», tra cui potrebbero rientrare gli aumenti delle materie prime e le conseguenze del conflitto in Ucraina. Già lo scorso 26 gennaio il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile Enrico Giovannini aveva aperto alla possibilità di modificare il Pnrr facendo riferimento proprio all’articolo 21. 

Per cambiare il Pnrr, come prima cosa l’Italia dovrebbe avanzare una «richiesta motivata» alla Commissione europea, a cui può anche chiedere un supporto tecnico per elaborare una proposta alternativa agli impegni presi finora. In base al decreto-legge n. 152 del 6 novembre 2021, così come convertito a fine dicembre dal Parlamento, prima di inviare il nuovo piano all’Ue, deve presentarlo alla Camera e al Senato, in tempo utile per il suo esame parlamentare. 

Successivamente la Commissione Ue, se ritiene che i motivi addotti dall’Italia giustifichino una modifica del piano, valuta il nuovo Pnrr ed entro due mesi presenta al Consiglio dell’Ue la proposta di approvare il nuovo piano. Questa scadenza temporale non è però rigida: lo stesso articolo 21 chiarisce che l’Italia e la Commissione Ue possono «prorogare tale termine di un periodo di tempo ragionevole». Il Consiglio dell’Ue adotta poi la decisione di accettare o meno le modifiche al piano «entro quattro settimane dall’adozione della proposta della Commissione». 

Se però la Commissione ritiene che i motivi addotti dall’Italia per cambiare il Pnrr non giustifichino una sua modifica, può respingere la richiesta fatta dal nostro Paese, dopo aver dato la possibilità all’Italia di presentare entro un mese le proprie osservazioni.

Ricapitolando: modificare il Pnrr sarebbe possibile, ma non semplice. Il 12 marzo, alla Camera, Draghi ha parlato di questa possibilità come di «un’evenienza eccezionale, che richiede un nuovo processo negoziale con le autorità europee, che è ancora prematuro prospettare in questa fase». Per il momento, dunque, il governo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea non sembra prendere in considerazione l’ipotesi di mettere mano al Pnrr, la cui attuazione è iniziata solo da pochi mesi.

Ricordiamo che entro la fine del 2022 l’Italia dovrà rispettare 100 obiettivi fissati con l’Ue per ricevere la seconda e la terza delle dieci rate di finanziamento del piano, per un valore di quasi 46 miliardi di euro.

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