Il governo di Giorgia Meloni ai raggi X

Tra le altre cose, il nuovo esecutivo è il primo nella storia repubblicana con un ministro parente del presidente del Consiglio, è il terzo più anziano e ha il 60 per cento dei ministri che viene dal Nord 
Pagella Politica
Sabato 22 ottobre il nuovo governo di Giorgia Meloni ha prestato giuramento nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il giorno successivo, con la tradizionale “cerimonia della campanella”, si è compiuto il passaggio di consegne con l’esecutivo di Mario Draghi, che per durata è stato l’undicesimo della storia repubblicana.

Il governo Meloni è composto da 24 ministeri, di cui 18 guidati da uomini e sei da donne, ossia il 25 per cento sul totale dei ministeri (una percentuale più bassa rispetto a quella dei tre governi precedenti). Nove ministeri sono andati a Fratelli d’Italia, mentre Lega e Forza Italia ne hanno avuto cinque a testa. Cinque sono anche i ministri tecnici.

Numeri alla mano, quali sono i primati del governo Meloni? Da dove provengono i ministri e qual è il loro profilo professionale? Abbiamo analizzato che cosa dicono i dati, confrontandoli con quelli dei precedenti governi. La fonte delle statistiche è il progetto “I governi italiani ai raggi X”, sviluppato da Pagella Politica insieme a Il Sole 24 Ore, un database gratuitamente accessibile con moltissime informazioni sugli oltre 1.500 ministri e sottosegretari che si sono avvicendati alla guida dell’Italia, dal dopoguerra ad oggi.

I primati del governo Meloni

Giorgia Meloni è la prima donna nella storia repubblicana a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio dei ministri. Nel 1976 Tina Anselmi fu invece la prima donna a guidare un ministero, quello del Lavoro. Tra i dicasteri principali, l’unico a non avere mai avuto come capo una donna è quello dell’Economia e delle Finanze, sempre riservato – così come i suoi predecessori (Ministeri del Bilancio, Tesoro e Finanze) – a soli uomini.

È anche la prima volta nella storia repubblicana che un presidente del Consiglio nomina un proprio parente nel proprio governo. Il neoministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida è infatti il cognato di Meloni, ossia il marito di sua sorella Arianna. A essere ancora più precisi, è la prima volta, dal 1946 a oggi, che due parenti fanno parte dello stesso governo. In passato, ci sono stati comunque casi di parenti che hanno fatto parte di governi diversi, non in contemporanea. È questo il caso di eredi di primi ministri destinati a posti di governo (si pensi per esempio a Mariotto Segni, Giuseppe Cossiga, Bobo e Stefania Craxi) o di altre “dinastie” familiari (dai coniugi Jervolino fino ai più recenti casi di Enrico e Gianni Letta o di Nunzia De Girolamo e Francesco Boccia)

Mai nella storia repubblicana avevano invece espresso un ministro i comuni di Veglio (Biella), con Gilberto Pichetto Fratin; Militello in Val di Catania (Catania), con Nello Musumeci; Bonorva (Sassari), con Marina Calderone; Tivoli (Roma), con Francesco Lollobrigida; e Pordenone (Friuli-Venezia Giulia), con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. L’unico precedente di un ministro proveniente dalla provincia di Pordenone fu infatti il primo ministro della Difesa in età repubblicana, Luigi Gasparotto, originario di Sacile, che ricoprì l’incarico tra febbraio e giugno 1947. Curiosità: erano oltre trent’anni che un friulano non ricopriva l’incarico di ministro. L’ultimo era stato il democristiano Giorgio Santuz, a capo del ministero dei Trasporti nel governo De Mita.

Un’età media molto alta

A dispetto della relativa giovane età della presidente del Consiglio – a 45 anni e 9 mesi, Meloni è la terza più giovane dopo Matteo Renzi e Giovanni Goria – il governo Meloni è uno dei più anziani della storia repubblicana. L’età media dei ministri del nuovo esecutivo (60,6 anni, che scende poco sotto i 60 includendo nel conteggio Meloni) è più bassa solo dei governi tecnici guidati da Mario Monti e Lamberto Dini. 

Si inverte dunque una tendenza degli ultimi anni che aveva visto succedersi alcuni tra gli esecutivi con l’età media più bassa della storia repubblicana, come il governo Renzi, il primo governo guidato da Giuseppe Conte e il secondo governo Conte.

I lavori dei ministri

Il profilo socio professionale dei ministri segue il solco dei precedenti governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi. Il governo Meloni può infatti contare tra i propri ministri cinque tra imprenditori e manager (il 20 per cento sul totale dei membri, includendo la presidente del Consiglio). Si tratta di una percentuale inferiore solo a quelle registrate con i governi Berlusconi, il governo Renzi e il sesto governo De Gasperi. 

Cinque sono anche i giornalisti, tra cui c’è l’attuale ministro della Cultura ed ex direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano. Il governo Meloni conta poi una delle percentuali più basse di docenti universitari tra i propri ministri, ancora in linea con l’ultimo governo Berlusconi e il governo Renzi.

Prefetti e giuristi

La scelta del prefetto Matteo Piantedosi alla guida del ministero dell’Interno si colloca invece in continuità con l’esperienza di Luciana Lamorgese, anche lei prefetto e ministra dell’Interno nei precedenti due esecutivi. Prima di loro, c’erano stati solo altri due casi simili tra i ministri a capo del Viminale, Giovanni Rinaldo Coronas e Anna Maria Cancellieri rispettivamente nei governi guidati da Dini e Monti. Se allarghiamo il quadro anche ai sottosegretari, nella storia repubblicana i prefetti e i questori ad aver ricoperto incarichi di governo salgono a nove, tutti a partire dal 1995 in poi.

Infine, ci sono poche sorprese tra i titoli di studio del governo Meloni. I laureati in giurisprudenza (40 per cento) sono infatti i più comuni tra i ministri del governo Meloni. A diminuire sono invece i laureati in economia (il 16 per cento, contro il 33 per cento del governo Draghi), mentre sono scomparsi i laureati in discipline tecnico-scientifiche ad eccezione di medicina, grazie alla presenza del ministro della Salute Orazio Schillaci.

Molto Nord, poco Sud

La rappresentanza territoriale nel governo Meloni vede una prevalenza delle regioni del Nord. Il 60 per cento degli attuali ministri proviene da regioni settentrionali, la quarta percentuale più alta della storia repubblicana dopo i governi Draghi, De Gasperi II e Monti. Lombardia e Lazio sono le regioni più rappresentate, con cinque ministri ciascuna, seguite da Piemonte e Veneto, con tre. Il governo Meloni è inoltre il quarto governo consecutivo senza ministri provenienti dalla Toscana.

I ministri di Lega e Forza Italia provengono tutti dalle regioni del Centro-Nord, con l’unica eccezione del ministro degli Esteri, il romano Antonio Tajani. La delegazione ministeriale della Lega è tutta lombarda: i milanesi Matteo Salvini e Giuseppe Valditara, la comasca Alessandra Locatelli, il varesotto Giancarlo Giorgetti e il bergamasco Roberto Calderoli. Pur non trattandosi di una prima volta (erano interamente lombarde anche le delegazioni leghiste nei governi Berlusconi II e III), questo dato sembra indicare un’inversione di tendenza rispetto al tentativo di Salvini di trasformare la Lega in un partito nazionale.

Con l’eccezione del pugliese Raffaele Fitto e Sebastiano Musumeci (entrambi di Fratelli d’Italia), la rappresentanza delle regioni meridionali e delle isole è stata lasciata ai ministri tecnici, seppur “di area”, ossia vicini ai partiti della maggioranza. La sarda Marina Calderone e i napoletani Piantedosi e Sangiuliano costituiscono infatti la maggioranza dei ministri provenienti dal Centro-Sud.

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