Che poteri avrà un governo Draghi dimissionario?

Dal Pnrr alla diplomazia, passando per i decreti-legge, gli esperti si dividono su che cosa potrà ancora fare l’esecutivo se il presidente del Consiglio confermerà le proprie dimissioni
ANSA
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Aggiornamento 22 luglio, ore 12:30 – La Presidenza del Consiglio dei ministri ha pubblicato la circolare che chiarisce i limiti delle funzioni del governo Draghi durante il “disbrigo degli affari correnti”.

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Nel dibattito politico di quest’ore, concentrato sulla crisi di governo, una delle maggiori preoccupazioni riguarda i poteri che avrà l’esecutivo di Mario Draghi nel caso in cui il presidente del Consiglio mercoledì 20 luglio, dopo il discorso in Parlamento, confermasse le proprie dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Il 17 luglio, per esempio, il gruppo parlamentare Insieme per il futuro (Ipf), nato dalla scissione del Movimento 5 stelle per opera del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha pubblicato un elenco con 19 punti che un governo dimissionario non potrebbe gestire. Tra le altre cose, secondo Ipf, non si potrebbero raggiungere gli obiettivi previsti per la fine dell’anno dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e il governo non potrà contrastare gli aumenti dei prezzi e l’emergenza siccità.

Che cosa succederebbe dunque se le dimissioni del governo fossero confermate? Se le camere fossero sciolte subito e si decidesse di andare a elezioni anticipate, nel più veloce degli scenari possibili ci vorrebbero quasi due mesi per avere un nuovo esecutivo. Nel mentre, quanto sarebbero compromessi i poteri del governo Draghi, in attesa di un sostituto? Una risposta certa a questa domanda non c’è: sul punto, gli esperti sono divisi.

Che cos’è il “disbrigo degli affari correnti”

Partiamo dalle cose che si sanno. La gestione delle dimissioni di un governo è regolata soprattutto da prassi e consuetudini, piuttosto che da leggi e dalla Costituzione, che, tra le altre cose, si limita solo a dire che il governo deve avere la fiducia di entrambe le camere, ossia la maggioranza dei voti alla Camera e al Senato. Ricordiamo che l’attuale governo Draghi rispetta questo requisito: nonostante il 14 luglio Movimento 5 stelle non abbia partecipato al voto sulla questione di fiducia sul decreto “Aiuti” in Senato, il governo ha visto comunque confermarsi la fiducia in aula, cosa successa anche la settimana prima alla Camera.

Se, nonostante i tentativi di questi giorni per proseguire l’esperienza di governo, Draghi dovesse confermare le proprie dimissioni a Mattarella, che a questo punto si troverebbe costretto ad accettarle, il governo non perderebbe immediatamente tutti i propri poteri, ma rimarrebbe in carica per il cosiddetto “disbrigo degli affari correnti”, fino alla nomina di un nuovo governo. Quali poteri rientrano in questa espressione a prima vista poco chiara? È qui che si concentra il dibattito tra gli esperti.

Con il “disbrigo degli affari correnti”, deve essere infatti garantita la continuità dell’azione amministrativa del governo. Qui rientra la possibilità da parte del Consiglio dei ministri di adottare decreti-legge, che sono previsti dalla Costituzione «in casi straordinari di necessità e urgenza». «La situazione è complessa, ma a questo punto ritengo sia possibile, ragionando in termini di pura logica e buon senso, che così come il Parlamento anche se sciolto può convertire un decreto-legge in legge e cioè può convalidarlo, allo stesso modo il governo possa esercitare lo stesso potere», ha sottolineato il 17 luglio a Repubblica Giovanni Maria Flick, ex presidente della Corte costituzionale.

Dunque, nei prossimi giorni, l’attuale governo potrà approvare decreti-legge, per esempio per gestire le urgenze dovute agli scenari economici di questi mesi, mentre non potrà esaminare nuovi disegni di legge, salvo quelli imposti da obblighi internazionali e comunitari, se la prassi confermerà le disposizioni annunciate dalla Presidenza della Repubblica, per esempio, con la crisi di governo dell’estate 2019.

Il “disbrigo degli affari correnti”, ribadiamo, non è un istituto giuridicamente vincolante, ma viene infatti chiarito di norma da una direttiva della Presidenza della Repubblica, una volta accettate le dimissioni del presidente del Consiglio. In generale, tra gli esperti, è pacifico che in questa situazione un esecutivo non possa adottare provvedimenti, per così dire, “forti”, ossia in linea per esempio con un programma di governo. Che cosa ricade in questa casistica? Le opinioni degli esperti in questi giorni sono discordanti, come lo erano state anche nella scorsa crisi di governo, a febbraio 2021, quando ci si chiedeva quali poteri avrebbe conservato il secondo governo Conte per gestire la pandemia di Covid-19 prima di essere sostituito dal governo Draghi.

Dal Pnrr alla diplomazia

Prendiamo per esempio l’attuazione del Pnrr, che entro la fine del 2022 prevede il raggiungimento di 55 obiettivi concordati dall’Italia con l’Unione europea. 

Il 17 luglio, Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia, ha scritto su Il Sole 24 Ore che il governo dimissionario avrà di fatto le mani legate sul prosieguo dell’attuazione del Pnrr. Tra i 55 obiettivi da raggiungere entro la fine di dicembre, ci sono infatti diversi decreti attuativi, ossia provvedimenti che il governo deve adottare per rendere effettive le misure contenute, per esempio, nelle riforme della giustizia penale e civile e nella legge annuale sulla concorrenza, testo ancora all’esame della Camera. 

Di opinione diversa è invece Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale. Il 18 luglio, in un’intervista con Il Messaggero, Mirabelli ha spiegato che il governo, vista la fiducia che gode in Parlamento, potrà comunque adottare i vari provvedimenti necessari per rispettare i vincoli previsti dal Pnrr. «Gli atti legati al Pnrr non solo possono, ma devono proseguire comunque, soprattutto perché il piano, nella sua architettura, è fatto di un rapporto con l’Unione europea che è vincolante ed è stato approvato dal Parlamento», ha sottolineato Mirabelli. Una posizione simile è stata espressa il 17 luglio su Il Fatto Quotidiano anche da Giuseppe Verde, professore di Diritto costituzionale all’Università di Palermo.

Pnrr a parte, gli esperti sembrano comunque concordare su un punto: un governo dimissionario sarebbe politicamente indebolito non solo sul piano nazionale, ma anche quello internazionale. Su quest’ultimo fronte, le conseguenze maggiori potrebbero esserci nelle trattative con gli altri Paesi europei, per esempio per introdurre un tetto al prezzo del gas, o con quei Paesi con cui l’Italia sta trattando per aumentare le proprie forniture di gas.

Secondo Mirabelli, un governo Draghi dimissionario «non può occuparsi di atti che eccedano l’ordinaria gestione, o che modifichino l’indirizzo di politica internazionale finora adottati, o varare atti di politica economica che vincolino il nuovo governo».

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