Il 15 marzo il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ha scritto sui social che l’attenzione del governo sul cibo italiano «non è una mera battaglia ideologica». «Proprio in questo senso, la sovranità alimentare passa anche dall’impegno a introdurre prodotti Dop e Igp, come il pomodoro Pachino, nei menù di grandi catene commerciali», ha sottolineato Lollobrigida, commentando la scelta di McDonald’s, una delle principali catene di fast food nel mondo, di introdurre il pomodoro di Pachino tra i suoi ingredienti. 

Quello che il ministro non sembra sapere, però, è che il pomodoro di Pachino ha origini tutt’altro che italiane. Questo prodotto è infatti nato in Israele alla fine degli anni Novanta e ha poi fatto la sua fortuna in Sicilia.

Il pomodoro di Pachino è un prodotto di indicazione geografica protetta (Igp), il cui commercio e produzione sono controllati dal Consorzio di tutela del pomodoro di Pachino Igp, un ente senza scopo di lucro riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura. «Che sia ciliegino, tondoliscio o costoluto, il pomodoro di Pachino Igp si riconosce al palato per il suo sapore dolce e intenso, per la consistenza fragrante e per la sua capacità di arricchire ogni piatto con note di sapore inconfondibili», si legge sul sito del consorzio, che sorvola sulle origini del pomodoro.

Ma come spiega Alberto Grandi, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Parma, nel libro Denominazione di origine inventata (Mondadori, 2020), il pomodoro di Pachino Igp è «uno dei pochi prodotti tipici del quale possiamo stabilire con precisione la data di nascita». Questo pomodoro, nella sua variante a ciliegino o a grappolo, è stato infatti creato nel 1989 in Israele dalla Hazera Genetics, una società attiva nel settore delle ricerche genetiche in campo agricolo. 

Il pomodoro di Pachino, chiarisce Grandi nel suo libro, è una pianta creata «attraverso incroci e ibridazioni», utilizzati per ottenere «nuove varietà con determinate caratteristiche fisiche, di gusto, resistenza o capacità di crescita». I frutti coltivati con questa pianta, ha spiegato nel 2010 sul Corriere della Sera il divulgatore e docente universitario Dario Bressanini, danno però semi che non permettono di riprodurre le caratteristiche originarie del pomodoro. Per questo all’inizio i produttori dovevano comprare direttamente le piantine da Israele, la cui coltivazione è stata poi spostata nei vivai in Sicilia. 

«Fino alla fine degli anni Ottanta i pomodori ciliegini e in generale le varietà a grappolo erano del tutto sconosciute sul mercato italiano. Infatti, quando la Hazera Genetics, attraverso alcune sue società controllate, cercò di introdurre i suoi ciliegini in Sicilia, la prima reazione degli agricoltori locali, compresi quelli di Pachino, fu di forte ostilità», ha scritto Grandi nel libro Denominazione di origine inventata. «Ma le resistenze dei produttori siciliani erano destinate a durare poco di fronte alla potenza commerciale degli israeliani. Dopo due anni di sostanziale rifiuto, una fortissima opera di promozione da parte della stessa Hazera Genetics, ma soprattutto gli indubbi vantaggi generati da un ulteriore miglioramento genetico, in grado di prolungare la vita del pomodoro ciliegino di due o tre settimane dopo il raccolto, convinsero sempre più agricoltori a utilizzare le sementi in arrivo da Tel Aviv. Da quel momento il successo dei nuovi pomodori è stato praticamente inarrestabile».