Il 9 luglio il leader di Italia viva Matteo Renzi ha annunciato di voler organizzare nel 2022, «dopo le elezioni del presidente della Repubblica», una raccolta firme per un referendum abrogativo con cui eliminare il reddito di cittadinanza. La stessa proposta è stata ribadita da Renzi anche in Controcorrente, il suo nuovo libro uscito il 13 luglio. «Nel 2022 Italia viva raccoglierà le firme in tutto il territorio nazionale per chiedere un referendum che abolisca il reddito di cittadinanza», si legge nel volume.

L’idea di Renzi ha subito raccolto diverse critiche, anche all’interno della stessa maggioranza di governo. Il 13 luglio, ospite alla Festa dell’Unità di Roma, il ministro del Lavoro Andrea Orlando (Partito democratico) ha criticato (min. 0:26) il leader di Italia viva, dicendo che «bisognerebbe conoscere la Costituzione: non mi pare che si possano raccogliere le firme per un referendum alla fine della legislatura».

Chi ha ragione? Il prossimo anno Renzi potrà raccogliere le firme per organizzare un referendum contro il reddito di cittadinanza oppure no? Abbiamo verificato e, leggi e date alla mano, al momento sembra molto improbabile – se non quasi certamente impossibile – che questa proposta possa andare a buon fine. La questione è abbastanza complessa: vediamo di sciogliere, passo per passo, tutti i dubbi.

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Come si svolge un referendum

Innanzitutto facciamo un breve riassunto su come si organizza un referendum nel nostro Paese.

L’articolo 75 della Costituzione italiana stabilisce che un referendum popolare può essere indetto «per deliberare l’abrogazione, totale o parziale» di una legge. La richiesta deve essere sottoscritta da almeno 500 mila elettori o, in alternativa, da almeno cinque Consigli regionali. Il funzionamento specifico dei referendum è poi definito dalla legge n. 352 del 25 maggio 1970.

In breve, l’iter si svolge in questo modo. I promotori, dopo aver comunicato formalmente il quesito alla Corte di Cassazione, iniziano a raccogliere le 500 mila firme utili alla presentazione della richiesta referendaria. Tutte le firme devono essere raccolte entro 90 giorni dalla comunicazione alla cancelleria della Corte di Cassazione e quindi non è possibile, come sostenuto da Renzi, continuare la raccolta delle firme «per tutto l’anno». Una volta raggiunta la soglia minima, le firme validate vengono consegnate alla Corte di Cassazione in un periodo compreso tra il 1° gennaio e il 30 settembre.

Scaduto il termine del 30 settembre, la Corte di Cassazione passa in rassegna le richieste di referendum ricevute per assicurarsi che siano conformi alla legge (ad esempio, se la raccolta delle sottoscrizioni popolari, o l’approvazione delle deliberazioni regionali, è avvenuta in modo legittimo, o se il loro numero è sufficiente). In seguito il testo passa alla Corte Costituzionale, che dovrà decidere circa l’ammissibilità dei quesiti ricevuti entro il 10 febbraio successivo.

A quel punto il presidente della Repubblica, «ricevuta comunicazione della sentenza della Corte costituzionale» e «su deliberazione del Consiglio dei Ministri», indice il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori «in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno».

Ricapitolando: un referendum non si può mai svolgere nello stesso anno in cui vengono raccolte le firme per legittimarlo. La raccolta si svolge in un periodo di tre mesi compreso tra il 1° gennaio e il 30 settembre di un determinato anno, e i cittadini saranno convocati tra il 15 aprile e il 15 giugno dell’anno successivo.

Fissiamo quindi un primo punto fermo: se si intende organizzare una raccolta firme contro il reddito di cittadinanza nel 2022 (la proposta di cui parla Renzi), sappiamo per certo che il referendum non potrà essere organizzato nello stesso anno. Ma c’è un problema anche per la sola raccolta delle firme nel 2022 e la questione sta ancora una volta nelle tempistiche stabilite dalla legge. Vediamo il perché.

«Anno anteriore», ma in che senso?

Secondo l’articolo 31 della legge n. 352 del 25 maggio 1970, citata in precedenza, non è possibile depositare una richiesta di referendum «nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime».

La legislatura attuale scadrà naturalmente il 23 marzo 2023, ossia cinque anni dopo il suo inizio ufficiale. Da quella data, salvo uno scioglimento anticipato del Parlamento, si procederà a regolari elezioni politiche. Testo di legge alla mano, sembra quindi che nel 2022 non sarà possibile presentare proposte di referendum, e dunque nemmeno l’annessa raccolta firme, come invece sostenuto da Renzi.

Qui il nodo da sciogliere sta però nell’interpretazione dei termini «anno anteriore»: questa espressione fa riferimento all’intero 2022 o ai 365 giorni precedenti alla scadenza delle camere?

Una possibile risposta sta in una ordinanza del 23 ottobre 1992 dell’Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione. Questa chiarisce che l’espressione «anno anteriore» citata nell’articolo 31 della legge n. 352 del 1970 è da intendersi come l’intero anno solare antecedente allo scioglimento di una o di entrambe le Camere e quindi, in questo caso, l’intero 2022. Detta altrimenti, secondo questa interpretazione Renzi non potrebbe depositare alcuna richiesta di referendum il prossimo anno.

Niente referendum se si vota

Inoltre, anche se si interpretasse «anno anteriore» come i 365 giorni precedenti alla fine della legislatura, non sarebbe comunque possibile depositare la richiesta di referendum nel 2022. Se anche tutte le 500 mila firme necessarie venissero raccolte nei primi mesi del 2022 e la richiesta fosse depositata entro il 22 marzo – quindi entro il limite dei 365 giorni precedenti allo scioglimento delle Camere – il referendum si dovrebbe svolgere necessariamente tra il 15 aprile e il 15 giugno 2023: nel pieno delle elezioni politiche per la nuova legislatura.

L’ordinanza della Cassazione spiega però che questo non è possibile. La volontà di evitare sovrapposizioni tra consultazioni referendarie ed elezioni politiche è il motivo principale per il quale sono stati decisi i limiti di tempo sia prima che dopo lo scioglimento delle Camere, come chiarisce anche un dossier del Parlamento. Questa interpretazione è stata confermato a Pagella Politica anche da Edoardo Caterina, professore di Diritto elettorale e parlamentare presso l’Università di Firenze, che il 10 luglio su Twitter aveva già sottolineato i problemi della proposta di Renzi.

I tempi sarebbero davvero stretti

Inoltre, lo scenario della raccolta firme prima del 22 marzo 2022 sembra essere piuttosto improbabile, ma in ogni caso non sembra essere quello che Renzi ha in mente. Nel video in cui ha avanzato la proposta di raccogliere le firme per il referendum, il leader di Italia viva ha detto che la raccolta inizierà «dopo l’elezione del presidente della Repubblica». Questa elezione è prevista indicativamente verso gennaio del prossimo anno: Mattarella infatti è entrato in carica il 15 gennaio 2015, il suo mandato dura sette anni (articolo 85 della Costituzione) e il voto per il prossimo presidente della Repubblica si deve tenere nei 30 giorni che precedono la fine del mandato.

La finestra temporale che rimarrebbe a disposizione per organizzare la raccolta di almeno 500 mila firme, tra l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e il successivo 22 marzo, sarebbe quindi estremamente ridotta.

Come anticipato, l’articolo 31 della legge che regola il funzionamento dei referendum chiarisce inoltre che lo stop alla raccolta delle firme continua anche per i sei mesi successivi alle elezioni politiche. Federico Pizzetti, docente di Diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Milano, ha spiegato a Pagella Politica che sarà quindi possibile tornare a depositare richieste referendarie a partire dal 1° gennaio 2024.

Le elezioni per il prossimo Parlamento infatti si devono svolgere entro 70 giorni dalla fine della legislatura (articolo 61 della Costituzione), dunque – se la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale – entro fine maggio. Sei mesi dopo, a novembre, sarà scaduto il termine del 30 settembre entro il quale depositare le richieste, e il ciclo ricomincerà quindi nel gennaio 2024.

Uno stop effettivo di due anni – il 2022 e il 2023 – risulta comunque particolarmente lungo, ma al momento non ci sono soluzioni certe a questo problema: «La soluzione potrebbe essere o in una diversa interpretazione dell’Ufficio centrale per il referendum che rovesci il precedente del 1992, oppure nel sollevamento, da parte dello stesso Ufficio, davanti alla Corte costituzionale, di una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 31 della legge n. 352 del 1970», ha spiegato Pizzetti a Pagella Politica.

In conclusione

Renzi ha sostenuto più volte, sia sui suoi profili social che nel suo ultimo libro Controcorrente, che intende organizzare nel 2022 una raccolta firme per un referendum con cui eliminare il reddito di cittadinanza.

Questo però non è possibile: la legge, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Cassazione nel 1992, prevede infatti un periodo di stop alle richieste referendarie nell’anno solare precedente alla scadenza delle Camere, prevista per il 22 marzo 2023.

Se anche poi, con una diversa interpretazione della norma, il leader di Italia viva dovesse depositare la richiesta entro fine marzo, quindi nel termine dei 365 giorni antecedenti la fine della legislatura, il referendum cadrebbe necessariamente tra aprile e giugno 2023, in concomitanza con le elezioni politiche: una situazione che l’attuale ordinamento vuole evitare.

Le richieste di referendum potranno ricominciare a essere depositate a partire dal 1 gennaio 2024, e le convocazioni saranno poi indette tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. Per anticipare i tempi sarebbe necessaria non solo una nuova interpretazione delle norme esistenti, ma anche una loro modifica o disapplicazione per intervento della Corte Costituzionale.