Il cosiddetto “reddito di cittadinanza” è tra i cavalli di battaglia elettorali del Movimento 5 Stelle. Una parte importante del dibattito sulla misura si è concentrata su una domanda molto semplice: quanto costerebbe metterla in pratica?



Sono state fatte molte stime. Alcuni parlano di circa quindici miliardi, altri hanno alzato la cifra fino a ottanta e più miliardi di euro. A che cosa si deve questa diversità? E c’è modo di capire quali sarebbero i costi effettivi? Proviamo a guardare la questione più da vicino.



La versione di Boeri



La polemica più recente sul tema risale a pochi giorni fa. Il 15 aprile 2018, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha stimato il costo della misura in oltre trenta miliardi, mentre era ospite della trasmissione Mezz’ora in più (a 48’ 50’’): “La proposta del Cinque Stelle, così come l’abbiamo rivalutata di recente, arriva a costare fino a 35-38 miliardi”.



Boeri ha ribadito quanto aveva già detto il 28 marzo, e cioè appunto che il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle costerebbe allo Stato tra i 35 e i 38 miliardi di euro l’anno. La dichiarazione era stata fatta durante la presentazione dell’Osservatorio statistico sul reddito di inclusione, una misura di contrasto alla povertà introdotta nella scorsa legislatura.



Quella di Boeri è solo la stima più recente, ma ce ne sono state altre negli ultimi mesi – e anche molto più alte. Ad esempio Matteo Renzi, a dicembre 2017, aveva dato un’altra cifra ancora, parlando di “84 miliardi di euro”, mentre a giugno il deputato del PD Michele Anzaldi aveva parlato di “almeno 62 miliardi l’anno”.



Diciamo subito che le ultime due cifre sono numeri di sicuro esagerati, perché non considerano con precisione il meccanismo della misura come annunciato dal M5S e contenuto in una proposta di legge. Si limitano a fare una semplice moltiplicazione. L’allora segretario del PD Renzi, ad esempio, aveva ricavato il numero moltiplicando i 780 euro previsti per i 9 milioni di beneficiari indicati dal M5S. Ma, come avevamo già dimostrato, un calcolo del genere è errato, perché nella proposta del M5S non tutti i beneficiari ricevono quella somma.



La versione del M5S



Già a fine marzo i capigruppo del M5S di Camera e Senato, Giulia Grillo e Danilo Toninelli, avevano smentito i calcoli di Boeri, dicendo: “Basta bugie sul reddito di cittadinanza. L’Istat ha calcolato in 14,9 miliardi di euro la spesa annua, più 2 miliardi d’investimento il primo anno per riformare i Centri per l’Impiego”. Come abbiamo già scritto in un nostro articolo per Agi, i parlamentari del M5S hanno citato correttamente una stima dell’Istat, riferita però al 2015.



Perché esiste una differenza così grande tra le stime? Proviamo a capire meglio il quadro della situazione. Come si vedrà, una stima precisa dei costi è al momento impossibile.



Che cosa (non) è il reddito di cittadinanza



Prima di tutto, è necessario capire cosa si intende quando si parla di “reddito di cittadinanza”. Secondo la definizione del filosofo ed economista belga Philippe Van Parijs, tra i maggiori proponenti della misura, il reddito di cittadinanza (o reddito di base universale, in inglese universal basic income) è “un reddito pagato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale, indipendentemente dalla situazione patrimoniale o lavorativa”. In sostanza, non importa se si è disoccupati o ricchi: basta essere cittadini di uno Stato per ricevere un sussidio economico.



Il reddito di base non è una proposta nuova, come mostra questo approfondimento curato da Valigia Blu: da secoli è oggetto di studio come possibile soluzione per sconfiggere la povertà e – in linea teorica – liberarsi dalla necessità di lavorare per vivere. Ma la proposta del M5S non prevede l’erogazione di un sussidio incondizionato e uguale per tutti i cittadini, né sarebbe realistico prevederlo.



Immaginiamo, per semplicità di ragionamento, che il reddito di cittadinanza sia di 1.000 euro mensili dati a tutti gli italiani, senza distinzione tra ricchi e poveri, giovani e anziani. Il suo costo sarebbe di oltre 720 miliardi di euro l’anno, più del 40 per cento del Pil (12.000 euro annui moltiplicati per oltre 60 milioni di abitanti). È insomma ragionevole introdurre qualche limitazione e precisazione.



Qual è la proposta del M5S



Se leggiamo il disegno di legge N. 1148/13 presentato dal M5S nell’ottobre 2013 e il suo programma per la campagna elettorale, si capisce subito che il “reddito di cittadinanza” del M5S non è un “reddito di cittadinanza” in senso stretto, quanto uno strumento di sostegno al reddito per i cittadini che versano in condizione di bisogno. Sarebbe più corretto chiamarlo “reddito minimo garantito”.



Per ottenere il sussidio (780 euro mensili massimo, ma come vedremo è una cifra indicativa), non basta essere soltanto cittadini: bisogna avere più di 18 anni di età; essere disoccupati o inoccupati; avere un reddito da lavoro o una pensione più bassi della soglia di povertà.



In più, si devono rispettare alcune condizioni: bisogna iscriversi ai centri per l’impiego; partecipare a corsi di formazione e riqualificazione, e a progetti utili per la comunità; accettare uno dei primi tre lavori che sono offerti.



Il reddito di cittadinanza del M5S, quindi, è una sorta di reddito minimo garantito o un’indennità di disoccupazione. Anche se il suo utilizzo è impreciso, ormai l’espressione “reddito di cittadinanza” si è imposta nel dibattito attuale ed è così che è presente sia nel programma del M5S sia nella sua prima proposta in Parlamento, del 2013.



Le critiche alla proposta del M5S



Le questioni terminologiche non sono superfluee: aiutano a chiarire anche le critiche contro il reddito di cittadinanza del M5S, che nel dibattito degli ultimi mesi sono principalmente due.



La prima è una critica di principio: un reddito di cittadinanza è sbagliato, argomentano alcuni, perché incentiva a non lavorare. Questa obiezione colpisce solo in parte la proposta del M5S che, come abbiamo visto, introduce il rispetto di alcune regole, come l’iscrizione ai centri d’impiego, per accedere al sussidio.



La seconda è una critica di fattibilità: è sostenibile economicamente una misura del genere? Per rispondere a questa domanda, bisogna stimare il costo di un intervento di questo tipo. E qui si registrano notevoli difficoltà, come dimostrano le posizioni contrastanti di Boeri e dell’Inps con quelle del M5S e dell’Istat.



Quanto costa il reddito di cittadinanza: una cronologia



La prima stima sul costo del reddito di cittadinanza del M5S è stata fatta nel 2014 dall’Istat, nel suo Rapporto annuale. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, un sussidio mensile di questo tipo sarebbe costato allo Stato, nel 2012, circa 15,5 miliardi di euro.



A giugno 2015, il presidente dell’Istat Giorgio Alleva presentò una nuova stima durante un’audizione davanti alla Commissione lavoro e previdenza sociale del Senato. In quell’occasione, il costo totale stimato del sussidio per l’anno 2015 era stato rivisto a 14,9 miliardi di euro.



La riduzione di circa 600 milioni di euro rispetto all’anno precedente era dovuta soprattutto al fatto che nel 2015 era presente il bonus di 80 euro mensili – introdotto l’anno prima – che, aumentando il reddito disponibile di una parte delle famiglie interessate dal provvedimento, riduceva la quota complessiva del sussidio da erogare.



Nello stesso mese, e sempre in un’audizione davanti alla stessa Commissione, il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva riportato però cifre diverse. Secondo l’Istituto nazionale di previdenza sociale, il reddito di cittadinanza costerebbe allo Stato circa 30 miliardi di euro, “senza considerare i costi di gestione e di raccolta delle informazioni richieste per valutare i requisiti d’accesso”. Questi numeri sono stati rivisti al rialzo a marzo 2018, come evidenziato da Boeri nella dichiarazione analizzata in questo articolo.



Il 12 gennaio 2018, gli economisti Massimo Baldini e Francesco Daveri hanno inoltre pubblicato un articolo su Lavoce.info in cui argomentano che il reddito di cittadinanza del M5S costa 29 miliardi: una cifra simile a quella individuata da Boeri e che equivale al doppio delle stime fatte dall’Istat.



Per capire l’origine di questa differenza, bisogna entrare più nel dettaglio in cosa prevede la proposta del M5S.



Due concetti importanti: reddito familiare e livello di povertà relativa



L’obiettivo del reddito di cittadinanza del M5S è che ogni famiglia riceva un sussidio per integrare il suo reddito e portarlo al livello di povertà relativa, secondo l’indicatore ufficiale dell’Unione europea. I due elementi fondamentali sono quindi il concetto di “reddito” e “livello di povertà relativa”. Partiamo dal primo.



Reddito



Innanzitutto, all’interno di un nucleo familiare, per il reddito di cittadinanza ogni componente non ha lo stesso valore. Il primo adulto vale 1, il secondo e i figli sopra ai 14 anni valgono 0,5, e i figli sotto i 14 anni valgono 0,3. Questa differenza è spiegata dal fatto che in una famiglia, l’utilità di un sussidio si distribuisce sui membri del nucleo.



Una volta calcolata, si divide per questa cifra il reddito familiare. Per esempio, se una famiglia è composta da due adulti e un bambino di 9 anni, il numero di adulti equivalenti di un nucleo familiare è 1,8 (1 + 0,5 + 0,3). Se il reddito netto mensile di un genitore è 1.200 euro e quello dell’altro è zero, il reddito familiare equivalente è 1.200 diviso 1,8, ossia circa 670 euro.



Povertà relativa



Passiamo al concetto di povertà relativa. Il livello di quest’ultima ammonta al 60 per cento del reddito mediano equivalente familiare di tutta la popolazione italiana. Il reddito mediano equivalente familiare è quel valore di reddito rispetto al quale metà della popolazione italiana ha un reddito equivalente più basso, e l’altra metà più alto.



Come dice l’art.3 co. 1 del disegno di legge del M5S, nel 2014 il 60 per cento di questo reddito ammontava a 9.360 euro annui, o 780 euro mensili (da qui la cifra promossa in campagna elettorale dal M5S). Questa cifra vale per un adulto che vive da solo. Se prendiamo l’esempio precedente – due adulti e un bambino di 9 anni – i 780 euro mensili vanno moltiplicati per il numero di adulti equivalenti (1,8): il livello di povertà di quel nucleo familiare risulta così di 1.404 euro.



Se la proposta del M5S fosse approvata così come descritta, quella famiglia riceverebbe 734 euro di “reddito di cittadinanza”: la differenza tra il reddito familiare equivalente attuale (670 euro) e la soglia di povertà relativa (1.404 euro).



La differenza tra le stime di Istat, Inps ed alcuni economisti sui costi del reddito di cittadinanza nasce da come sono intesi proprio i due concetti di “reddito” e “livello di povertà relativa”. Gran parte della questione ruota intorno agli affitti e alle case di proprietà.



Cosa c’entrano gli affitti e le case di proprietà



Come spiegano Daveri e Baldini nel loro articolo, la differenza di valutazione con l’Istat ha varie cause, la più importante delle quali riguarda gli affitti cosiddetti imputati. Una considerazione simile si trova nell’audizione di Boeri del 2015, dove si legge che la “poca precisione” della proposta di legge del M5S è dovuta anche alla mancanza di riferimento ai servizi abitativi e agli affitti.



Questo è il punto cruciale nella distinzione tra le due stime. Alcune famiglie, infatti, vivono in affitto, mentre altre posseggono una casa. Quando si parla di “reddito”, questa non è una differenza da poco.



In sostanza, nelle sue microsimulazioni l’Istat assegna alle famiglie che sono proprietarie di una casa un reddito imputato. Questo reddito ha il valore che i proprietari pagherebbero se la loro casa fosse in affitto. In questo modo, il reddito di queste famiglie aumenta, e così diminuisce il valore del sussidio economico che gli sarebbe assegnato. Di conseguenza, il costo complessivo stimato della misura è più basso (circa 15 miliardi di euro).



Secondo i critici, il punto è che questo assegnamento di reddito è arbitrario: né l’Unione europea ne fa menzione nello stabilire il livello di povertà relativa, né si fa riferimento agli affitti imputati nel programma del M5S. Se si modificasse il disegno di legge tenendo conto di questo reddito imputato, ovviamente cambierebbe la platea di chi può beneficiare del sussidio economico, perché si modificherebbe come è inteso il reddito e il livello di povertà relativa.



Come spiega l’economista Roberto Perotti nel suo libro Falso! Quanto costano davvero le promesse dei politici, ci sono però pro e contro nell’assegnare un reddito imputato alle famiglie proprietarie di casa. Da un parte, chi ha una casa ma un reddito molto basso o nullo, non può vendere la propria abitazione; ha bisogno del reddito di cittadinanza, ma gli viene imputato un reddito che non ha. Dall’altra parte, è sensato distinguere la condizione di chi possiede e chi non possiede una casa di proprietà. Pagare un affitto cambia molto le cose nell’economia di una famiglia.



Da parte sua, il testo della proposta di legge presentato dal M5S non chiarisce l’equivoco. Ci sarebbe bisogno di un chiarimento sul punto da parte del Movimento, oppure – naturalmente – che la legge venisse approvata e venissero poi fornite le necessarie precisazioni tecniche.



In conclusione



Anche se non abbiamo ancora a disposizione un documento ufficiale dell’Inps per le ultime stime, Boeri le ha citate diverse volte: la cifra di 35-38 miliardi di euro è comunque vicina a quella precedentemente ipotizzata nel 2015. Dall’altro lato, però, gli esponenti del Movimento 5 Stelle riportano correttamente le valutazioni fatte dall’Istat.



Il punto centrale del dibattito sui costi del reddito di cittadinanza verte intorno alla metodologia che si usa nei calcoli e nelle simulazioni, in particolare riguardo l’abitazione di proprietà o meno del potenziale beneficiario. Per alcuni economisti è opportuno utilizzare una specifica formula, per altri un’altra. La questione è insomma al momento irrisolvibile: questo fa capire come su temi così complessi anche la verifica dei fatti debba permettere al lettore di avere chiare le ragioni di entrambi gli schieramenti, senza necessariamente arrivare a un verdetto.