Perché le liste dei candidati del Pd stanno facendo discutere

Le scelte di Letta, dovute a dinamiche interne e al taglio dei parlamentari, hanno creato malcontento nel partito
ANSA
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Nella notte tra il 15 e il 16 agosto la direzione del Partito democratico, guidata dal segretario Enrico Letta, ha approvato le liste dei candidati ai collegi uninominali e plurinominali di Camera e Senato per le prossime elezioni politiche del 25 settembre.

Come riportato da diverse fonti stampa, la votazione è arrivata dopo una lunga giornata per il Pd: la riunione del direttivo era infatti inizialmente convocata alla sede del Nazareno per le ore 11 di mattina del 15 agosto, ma è slittata prima alle 15, poi alle 20, alle 21:30 e non è iniziata se non dopo le 23.

Quando è stata approvata, la delibera con le liste registrava ancora tre voti contrari e cinque astenuti all’interno della direzione del partito, segno che il suo contenuto non è stato condiviso all’unanimità. Ma perché la stesura delle liste è stata un processo così divisivo?

In breve: i malumori all’interno del Pd sono nati a causa dell’esclusione di diversi esponenti di primo piano dalle candidature di Camera e Senato, dovuta in parte alla riduzione del numero dei parlamentari, che passeranno da 945 a 600 nella prossima legislatura. Molti parlamentari uscenti non potranno quindi competere per un seggio in Parlamento nella prossima legislatura. Inoltre, alcuni parlamentari di lungo corso sono stati candidati in collegi considerati “perdenti” dai sondaggi e difficilmente risulteranno eletti.

I grandi esclusi

Le liste con le candidature del Pd non sono ancora disponibili ufficialmente e non saranno presentate prima del 21 agosto, come stabilito dal regolamento elettorale. Il sito di sondaggi e analisi politica YouTrend ha però pubblicato uno «screening ufficioso» dei seggi, dal quale si apprendono in maniera preliminare i nomi dei candidati del Pd. In realtà già nella giornata del 16 agosto molti dei “grandi esclusi” hanno commentato a vario titolo la decisione della direzione del partito.

Uno dei nomi di primo piano tra gli esclusi è quello di Luca Lotti, deputato del Pd, ex ministro dello Sport nel governo Gentiloni e amico personale di Matteo Renzi, di cui fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. «Alcune scelte sembrano più dettate dal rancore che dalla coerenza politica», ha scritto Lotti su Facebook, secondo cui la sua esclusione dipenderebbe dalla sua vicinanza al leader di Italia viva, piuttosto che per ragioni di competenza.

Al di là della valutazione sulla singola vicenda, è vero che Base riformista, la corrente del Pd guidata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini e considerata la più vicina all’ex segretario Renzi, non ha partecipato alla votazione delle liste proposte da Letta in polemica con l’esclusione di Lotti.

Tra gli esclusi ci sono altri parlamentari Pd di lungo corso come il senatore Dario Stefano, che ha lasciato il partito in polemica con il segretario, e il deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti.

Gli “sconfitti annunciati”

Oltre agli esclusi, si sono lamentati delle decisioni del segretario anche alcuni parlamentari candidati nei seggi considerati “blindati” per il centrodestra, ossia quelli in cui i sondaggi danno in ampio vantaggio gli sfidanti del Pd.

Nella notte tra il 15 e il 16 agosto la prima a sollevare la questione è stata la senatrice Monica Cirinnà, autrice della legge sulle unioni civili, che aveva inizialmente rifiutato la candidatura nel collegio uninominale Roma 4. «La mia avventura parlamentare finisce qui, domani comunicherò la mia non accettazione della candidatura», ha dichiarato in un primo momento la senatrice, uscendo dalla sede del Pd. «Mi hanno proposto un collegio elettorale perdente in due sondaggi, sono territori inidonei ai miei temi e con un forte radicamento della destra». Il collegio in questione, secondo l’analisi dell’istituto Cattaneo del 9 agosto, sarebbe infatti “blindato” per il centrodestra, nonostante nella circoscrizione sia presente anche il comune da 80 mila abitanti di Fiumicino, di cui è sindaco da 10 anni Esterino Montino, membro del Pd e marito della stessa Cirinnà.

Poche ore dopo il rifiuto però la senatrice ci ha ripensato, accettando la candidatura. «Accetto collegio difficile, come gladiatore», ha scritto su Twitter. «Non è ripensamento per interesse, è amore per la comunità. Tiro fuori gli occhi di tigre, ma lo faccio solo per loro. Combattere come l’ultimo dei gladiatori è l’unico modo per non sottrarmi alla battaglia».

Anche la deputata Alessia Morani, che in prima battuta aveva rifiutato la sua candidatura, ha poi cambiato idea, scrivendo su Facebook: «Ho ricevuto nelle ultime 24 ore una marea di telefonate e messaggi di persone che mi hanno manifestato un enorme affetto e stima. Sono francamente molto colpita da questa mobilitazione e non posso rimanere indifferente all’appello che mi viene rivolto. Sono, perciò, a disposizione della nostra comunità politica».

Secondo fonti stampa, sembrano invece aver accettato subito la candidatura, seppure con poche possibilità di rielezione, altri esponenti di primo piano come Emanuele Fiano, Tommaso Nannicini ed Enzo Amendola.

I motivi dell’esclusione

Nella scelta delle candidature rientrano una serie di questioni politiche interne al partito, ma la compilazione delle liste per le prossime elezioni politiche è condizionata – per tutti i partiti, non solo per il Pd – dalla riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, che ridurrà il numero di deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200.

Con 345 parlamentari in meno, i sondaggi rilevano che tutti i partiti, a eccezione di Fratelli d’Italia, vedrebbero ridotta la loro rappresentanza in Parlamento. Gli stessi collegi elettorali sono stati ridisegnati e accorpati secondo la riforma costituzionale, quindi era prevedibile che un certo numero di parlamentari sarebbe stato escluso dalle liste.

A questo va aggiunto il fatto che il Pd nei suoi accordi elettorali con Impegno civico, Sinistra italiana-Verdi Europei e Più Europa aveva accettato di candidare alcuni esponenti di questi partiti nei seggi uninominali della coalizione, riducendo ulteriormente i posti a disposizione dei parlamentari del Pd.

«Volevo ricandidare tutti gli uscenti ma era impossibile», ha detto il segretario Letta fuori dalla sede del partito, dopo l’approvazione delle liste.

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