Il 19 aprile il garante del Movimento 5 stelle Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un video nel quale con toni accesi difendeva il figlio Ciro, da due anni indagato per un presunto stupro.

Alcuni passaggi sulla presunta vittima (e altri contro i giornali e la magistratura) hanno portato la vicenda nel dibattito politico.

Lo stesso giorno, la senatrice del Movimento 5 stelle Alessandro Maiorino ha replicato alla deputata di Italia viva Maria Elena Boschi, intervenuta per stigmatizzare il video di Grillo.

Maiorino ha detto che «il Movimento ha votato la legge sul Codice rosso» sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere mentre il Partito democratico, di cui Boschi faceva parte, «all’epoca si è astenuto».

È vero, nel 2019 il Pd non ha votato la legge citata dalla senatrice M5s. Per quali ragioni? E che cosa prevede il Codice rosso?

Vediamo i dettagli

La legge sul Codice rosso

La legge n.69 del 2019 sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, meglio conosciuta come “Codice rosso”, è stata approvata definitivamente dal Senato il 17 luglio 2019 con 197 sì e 47 astenuti, ovvero il Partito democratico e Liberi e uguali.

I due partiti non avevano votato il testo nemmeno in occasione del primo via libera alla Camera, dove i favorevoli erano stati 380 e gli astenuti 92. Ricordiamo che all’epoca la maggioranza era composta da Lega e Movimento 5 stelle, che sostenevano il primo governo di Giuseppe Conte.

Il testo, molto denso, contiene diverse novità sulla disciplina penale relativa alla violenza contro le donne, introducendo nuovi reati e in parte modificando le procedure.

In particolare, con il provvedimento è stato accelerato l’avvio del procedimento penale per una serie di reati che vanno dallo stalking alla violenza sessuale, imponendo che la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al pubblico ministero e che questi, entro tre giorni, assuma informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato il reato (articolo 2).

Il provvedimento ha portato anche da sei mesi a dodici il tempo entro il quale una vittima di violenza sessuale può presentare la denuncia. Da ultimo, pur sempre in sintesi, il “Codice rosso” ha introdotto nel Codice quattro nuovi reati: la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona rappresentata (revenge porn), la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti, la costrizione o induzione al matrimonio e la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare.

Perché quindi il centrosinistra non ha votato il testo? Per alcune questioni politiche e altre di merito. Vediamo insieme.

L’astensione del Pd

Per capire le motivazioni alla base della scelta del Partito democratico, riprendiamo le dichiarazioni di voto nel corso della seduta in cui il “Codice rosso” è stato approvato alla Camera, il 3 aprile 2019.

A nome del Partito democratico ha parlato, in quell’occasione, la deputata Lucia Annibali (oggi Italia viva), avvocatessa entrata in politica dopo essere stata sfregiata con l’acido da due uomini mandati dal suo ex fidanzato.

La motivazione principale per cui il Pd non ha votato il testo è di natura politica. Il provvedimento era espressione della maggioranza Lega e Movimento 5 stelle, nonché uno dei punti del Contratto di governo su cui era nato il primo governo Conte.

Secondo quanto ha detto Annibali nel corso della dichiarazione di voto, l’iter di modifica è stato blindato dalla maggioranza e non aperto alla collaborazione degli altri partiti.

«L’atteggiamento – ha denunciato la deputata quel giorno – è stato di chiusura nei confronti di buona parte delle nostre proposte, e in particolare quelle volte a modificare i primi articoli del provvedimento, su cui ha pesato il veto della vera regista del codice rosso, la Ministra Bongiorno che ha di fatto esautorato il Ministro della Giustizia e, insieme a lui, la relatrice e l’intero Movimento 5 Stelle». In altri termini, il centrosinistra, sentendosi escluso dall’elaborazione del testo, alla fine non ha voluto votare una legge su cui avevano messo la bandiera Movimento 5 stelle e Lega.

Altre ragioni riguardano il contenuto del testo. Secondo Annibali il provvedimento è stato «un’occasione mancata» per colpa della maggioranza che avrebbe deciso, «per ragioni tutte interne all’alleanza, di rinunciare a un prodotto normativo di più ampio respiro» e che affrontasse le criticità del testo, fra le quali, nel giudizio del Pd, l’articolo 2 «che prevede l’obbligo per il pubblico ministero di sentire entro tre giorni le vittime di presunti maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti persecutori e reati collegati».

La deputata ha spiegato perché il suo partito ritiene poco funzionale questa norma in un’intervista successiva all’HuffingtonPost. Secondo Annibali, «è impensabile che, a parità di organico, gli uffici dei pm possano soddisfare l’obbligo fissato nel testo». Anche perché, ed è questo il secondo punto criticato dal Pd, si tratta di un «testo a invarianza finanziaria». Ovvero, il provvedimento non prevede risorse aggiuntive per potenziare davvero l’azione giudiziaria di contrasto alla violenza sulle donne (articolo 21).

Su questo punto, in particolare, Annibali ha insistito nella dichiarazione di voto: «Quale lotta alla violenza sulle donne si può mai fare a costo zero?», sono state le parole della deputata nell’aula della Camera.

In conclusione

La senatrice del Movimento 5 stelle Alessandra Maiorino ha detto che «il Movimento ha votato la legge sul Codice rosso» sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere mentre il Partito democratico «all’epoca si è astenuto», chiedendo a Maria Elena Boschi, che al tempo nel faceva parte (oggi Italia viva) di spiegare le motivazioni di quella scelta.

È vero, nel 2019 il Pd non ha votato la legge citata dalla senatrice M5s, ma non come segno di contrarietà ai principi della legge o, per esempio, all’inasprimento delle pene per chi commette reati relativi alla violenza contro le donne.

Le ragioni dell’astensione del Pd (e del centrosinistra) in sintesi sono state da un parte politiche, principalmente, e dall’altra di merito. Per quanto riguarda le prime, il “Codice rosso” era espressione dell’allora maggioranza Lega-Movimento 5 stelle e il centrosinistra non si era sentito sufficientemente incluso nella lavorazione del testo.

Guardando al merito, invece, il Pd non apprezzava almeno due punti del provvedimento: l’articolo 2 che prevede l’obbligo per il pubblico ministero di sentire entro tre giorni le presunte vittime – termine temporale giudicato irrealistico – e soprattutto la mancanza di risorse aggiuntive per potenziare davvero l’azione di contrasto alla violenza sulle donne.