Il 2 settembre, durante un’intervista con il Tg4, il leader di Italia viva Matteo Renzi ha presentato il testo del quesito referendario per chiedere la cancellazione del reddito di cittadinanza, poi pubblicato sui canali social del partito.

Come si legge dal testo del quesito, la proposta di Italia viva è quella di abrogare il decreto-legge – approvato a gennaio 2019 dall’allora governo Lega-Movimento 5 stelle, poi convertito in legge a marzo 2019 – con cui è stata istituita la misura di contrasto alla povertà e di politica attiva per il lavoro.

Come abbiamo spiegato a luglio scorso, però, il referendum di Renzi contro il reddito di cittadinanza non sembra essere fattibile in tempi brevi, rispettando le leggi in vigore. Vediamo nel dettaglio il perché.

La scadenza del 30 settembre

Innanzitutto, non è per nulla chiaro quando Italia viva voglia iniziare la raccolta delle firme per poter supportare la sua richiesta di referendum abrogativo. In base alla legge, servono almeno 500 mila firme da consegnare alla Corte di Cassazione non oltre il 30 settembre (in alternativa, basta la richiesta di almeno cinque Consigli regionali, ipotesi mai menzionata da Renzi). Nel caso in cui l’obiettivo venisse raggiunto, il referendum si terrebbe poi tra il 15 aprile e il 15 giugno dell’anno successivo.

Su Twitter Italia viva ha scritto che «raccoglieremo presto le firme in tutta Italia», mentre il 2 settembre, in un’intervista con La Stampa, Renzi ha dichiarato che «con la raccolta di firme digitale, ci mettiamo poco a raccoglierne 500 mila» di firme, senza però dire quando intende avviare la raccolta. Abbiamo contattato l’ufficio stampa di Italia viva per avere chiarimenti in merito, ma al momento della pubblicazione di questo articolo siamo ancora in attesa di una risposta.

Inoltre, prima della raccolta delle firme, il quesito deve essere comunicato formalmente alla Corte di Cassazione, cosa che non sembra essere ancora avvenuta per il quesito contro il reddito di cittadinanza.

Anche nello scenario ipotetico in cui Italia viva dovesse iniziare nel più breve tempo possibile la raccolta delle firme – in base alla procedura definita dalla legge ci vogliono circa tre giorni dal deposito del referendum prima di poter iniziare concretamente a raccogliere le firme – le tempistiche sembrano essere molto strette, come dimostra il caso dell’organizzazione del referendum sulla giustizia. Il 3 giugno 2021 Lega e Partito radicale hanno presentato alla Corte di Cassazione i sei quesiti referendari sulla giustizia e hanno poi iniziato la raccolta delle firme in tutta Italia un mese dopo, raggiungendo il traguardo delle 500 mila firme – a detta dei promotori – dopo la metà di agosto.

Dunque possiamo dire che è altamente improbabile, per quanto non teoricamente impossibile, che un referendum depositato a inizio settembre possa raccogliere tutte le firme necessarie nelle quattro settimane successive.

Al di là dei tempi molto stretti per il 2021, le leggi in vigore sembrano impedire a Renzi la possibilità di organizzare la raccolta firme nel 2022, proposta inizialmente avanzata a luglio scorso dallo stesso leader di Italia viva.

Perché il 2025 sarebbe la data più probabile per il referendum

In base alla legge n. 352 del 25 maggio 1970, che regola il funzionamento dei referendum, non è possibile depositare (art. 31) una richiesta di referendum «nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle camere medesime».

L’attuale legislatura scade a marzo 2023, quando si svolgeranno le nuove elezioni politiche. Testo di legge alla mano, sembra quindi che nel 2022 non sarà possibile presentare proposte di referendum, e dunque nemmeno l’annessa raccolta firme.

Si potrebbe obiettare che l’espressione «anno anteriore», contenuta nell’articolo citato poco sopra, è ambigua: magari non fa riferimento a tutto il 2022, ma soltanto ai 365 giorni precedenti alla scadenza dell’attuale legislatura.

Come abbiamo spiegato in passato, la prima interpretazione è quella utilizzata fino ad oggi, ma anche se fosse valida la seconda, non sarebbe comunque possibile depositare la richiesta di referendum nel 2022. Se anche tutte le 500 mila firme fossero raccolte nei primi mesi del 2022 e la richiesta fosse depositata entro marzo 2022 – il limite dei 365 giorni precedenti allo scioglimento delle camere – il referendum si dovrebbe svolgere necessariamente tra il 15 aprile e il 15 giugno 2023: nel pieno delle elezioni politiche per la nuova legislatura.

Un’ordinanza della Cassazione del 1992 spiega però che questo non è possibile. La volontà di evitare sovrapposizioni tra consultazioni referendarie ed elezioni politiche è il motivo principale per il quale sono stati decisi i limiti di tempo sia prima che dopo lo scioglimento delle camere, come chiarisce anche un dossier del Parlamento.

Rimane comunque possibile raccogliere le firme nel 2023 e votare nel 2024? Anche questo scenario è molto improbabile.

Come abbiamo anticipato, l’articolo 31 della legge che regola il funzionamento dei referendum stabilisce che lo stop alla raccolta delle firme per un referendum continua anche per i sei mesi successivi alle elezioni politiche. Le elezioni per rinnovare il Parlamento vanno svolte entro 70 giorni dalla fine della legislatura, dunque entro due mesi abbondanti da fine marzo 2023. Visto che devono poi passare sei mesi dal voto per iniziare a raccogliere le firme, si finirebbe di fatto a ridosso della fine di settembre 2023, limite entro il quale vanno raccolte le firme per un referendum.

Per questo motivo, l’ipotesi più plausibile è che una richiesta di referendum contro il reddito di cittadinanza – o su altri temi – potrà cominciare a essere depositata entro il 30 settembre 2024 e il voto potrà poi essere indetto tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. Per anticipare i tempi, sarebbe necessaria non solo una nuova interpretazione delle norme esistenti, ma anche una loro modifica o disapplicazione per intervento della Corte Costituzionale.

In conclusione

Ricapitolando: sembra molto improbabile che Italia viva riesca a organizzare un referendum abrogativo contro il reddito di cittadinanza nel breve futuro. Il testo del quesito è stato presentato, soltanto in via informale in tv e sui social, il 2 settembre: ci sarebbe dunque meno di un mese di tempo a disposizione per raccogliere 500 mila firme e votare tra il 15 aprile e il 15 giugno del prossimo anno. Un traguardo quasi certamente proibitivo.

La raccolta delle firme nel 2022, leggi alla mano, non sembra poi possibile: le norme impediscono infatti di depositare una richiesta di referendum nell’«anno anteriore» – inteso come anno solare – alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, che si terranno nel 2023. Se anche si interpretasse diversamente «anno anteriore», come i 12 mesi precedenti, e si riuscisse a raccogliere le firme entro marzo 2022, il voto poi cadrebbe a ridosso delle elezioni politiche del 2023, scenario non consentito dalla legge.

Pure la raccolta delle firme tra due anni sarebbe improbabile: la legge dispone che non si possano raccogliere le firme nei sei mesi successivi alle elezioni politiche, dunque il rischio sarebbe quello di arrivare a ridosso della scadenza di fine settembre 2023, rendendo di fatto impossibile raggiungere l’obiettivo.

Salvo cambiamenti, lo scenario più probabile è che le firme possano essere raccolte nel 2024, per poi andare a votare nel 2025.