Chi perderà il reddito di cittadinanza?

La nuova legge di Bilancio per il 2023 vuole limitare il sussidio per chi è considerato “occupabile”: numeri alla mano, ecco chi potrebbe essere interessato dalle nuove misure
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Aggiornamento 23 novembre, ore 10 – Secondo l’agenzia stampa parlamentare Public Policy, la relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di Bilancio per il 2023 stima che circa 404 mila nuclei familiari rischiano di perdere il reddito di cittadinanza dopo il mese di agosto 2023. Il “taglio” porterà a risparmi pari a circa 776 milioni di euro nel 2023.

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Nella notte tra il 21 e il 22 novembre, il Consiglio dei ministri guidato da Giorgia Meloni ha approvato il disegno di legge di Bilancio per il 2023, che contiene alcune novità per restringere il numero dei percettori del reddito di cittadinanza. Il programma elettorale della coalizione di centrodestra aveva infatti promesso la «sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro».

Il disegno di legge di Bilancio approvato dal governo Meloni, che ora dovrà essere esaminato dal Parlamento, ha iniziato questo percorso di revisione del sussidio. Al momento il testo ufficiale del provvedimento non è ancora disponibile, ma alcuni dettagli sono stati anticipati dal governo in un comunicato stampa e in una conferenza stampa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dalla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Elvira Calderone. «Avremmo avuto bisogno di più tempo per fare una riforma complessiva di questa materia», ha sottolineato Meloni, aggiungendo che «per chi è in condizione di lavorare il reddito di cittadinanza viene abolito alla fine del 2023». «Non avendo messo in campo tutti gli strumenti con i quali vogliamo trasformare l’assistenza in lavoro, ci siamo dati un periodo transitorio per accompagnare le nostre scelte», ha dichiarato la presidente del Consiglio. Calderone ha anche aggiunto che durante il prossimo anno verrà disegnato un «percorso diverso» per riformare gli interventi di contrasto alla povertà. 

Più nel dettaglio, dal 1° gennaio 2023 i percettori del reddito di cittadinanza che sono «abili al lavoro», spiega il comunicato del governo, e hanno tra i 18 e i 59 anni potranno ricevere al massimo 8 assegni mensili del sussidio. Sono esclusi i percettori che hanno a carico nel loro nucleo familiare persone disabili, minori, persone con almeno 60 anni di età e, come specificato da Calderone in conferenza stampa, donne in gravidanza. Per i percettori “occupabili” sarà inoltre prevista la partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale della durata di almeno sei mesi. Chi non vi partecipa, perderà il sussidio (non è chiaro però che cosa succederà a chi parteciperà a questi corsi di formazione senza poi trovare occupazione). Discorso analogo vale anche nel caso in cui venga rifiutata la prima offerta di lavoro «congrua», una definizione che prende in considerazione diversi fattori, dal livello della paga ai tempi di trasporto necessari per raggiungere il luogo di lavoro.

Numeri alla mano, quante persone rischiano di essere interessate dalle novità introdotte dal governo?

Un po’ di numeri

Secondo i dati più aggiornati dell’Inps, a settembre 2022 i nuclei familiari che percepivano il reddito di cittadinanza erano circa un milione e 40 mila, con oltre due milioni e 315 mila persone coinvolte. L’importo medio del sussidio mensile era di quasi 582 euro. I nuclei con minori erano quasi 360 mila e quelli con disabili quasi 200 mila (i due insiemi possono essere parzialmente sovrapponibili): nel 2023 non rischiano di perdere il sussidio. Da questi dati non è però possibile quantificare con precisione quanti siano i percettori considerati “occupabili” dal governo, interessati dalle novità contenute nella legge di Bilancio. Molto probabilmente, numeri più precisi saranno contenuti nella relazione tecnica, che accompagna il disegno di legge presentato in Parlamento.

In assenza di una definizione di “occupabili”, possiamo guardare ai dati forniti lo scorso ottobre dall’Agenzia nazionale politiche attive lavoro (Anpal). Secondo Anpal, al 30 giugno 2022 erano oltre 660 mila i percettori del reddito di cittadinanza tenuti a sottoscrivere il cosiddetto “Patto per il lavoro”, un percorso di accompagnamento al lavoro che di fatto obbliga i percettori del sussidio a seguire corsi di formazione, orientamento e riqualificazione professionale nei centri per l’impiego presenti su tutto il territorio italiano, pena la decadenza o l’annullamento del sostegno. La sottoscrizione del patto può essere esclusa per chi vive in famiglie con disabili o minori di tre anni di età. Al 30 giugno scorso, circa 172 mila percettori erano invece occupati: avevano un contratto di lavoro, ma anche requisiti reddituali e patrimoniali che permettevano loro di prendere il sussidio.

Di questi 660 mila percettori “occupabili”, alla fine della prima metà di quest’anno il 42,5 per cento (oltre 280 mila persone) aveva sottoscritto il Patto per il lavoro. Il restante 57,5 per cento rappresenta un campione di individui variegato e, in molti casi, il motivo per cui non avevano ancora sottoscritto il patto è indipendente dalla loro volontà o meno di iniziare un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro. Per firmare il patto, i beneficiari occupabili del reddito di cittadinanza devono essere infatti convocati dai centri per l’impiego, ma spesso questo non è possibile per una serie di ragioni, che vanno dalla difficile reperibilità dei soggetti interessati all’eccessivo carico di pratiche che gli stessi centri sono chiamati a gestire. In ogni caso, i percettori di reddito che dopo essere stati convocati rifiutano di presentarsi e sottoscrivere il patto perdono l’accesso alla misura.

Inoltre, dei 660 mila percettori “occupabili”, circa 481 mila (il 72,8 per cento) non aveva avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei tre anni precedenti il 30 giugno 2022. Una minoranza (quasi 86 mila percettori, il 13 per cento) aveva avuto un contratto cessato nell’anno precedente. In generale, «si tratta di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro», sottolineava la nota Anpal, presentando i dati sui titoli di studio. Alla fine della seconda metà di quest’anno, il 70,8 per cento dei 660 mila percettori “occupabili” aveva «conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore», ossia quello di terza media. Solo il 2,8 per cento era laureato, mentre il 26,4 per cento aveva un diploma di scuola superiore.

Oltre 53 mila percettori del reddito soggetti alla stipula del Patto per il lavoro avevano più di 60 anni di età: questi, in base alle dichiarazioni del governo, non rientreranno nella platea dei beneficiari che rischieranno di perdere il sussidio. Altre 135 mila percettori si trovavano nella fascia tra 50 e 59 anni. Quelli fino a 29 anni erano invece oltre 224 mila.

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