La saga dei “franchi tiratori”, dalla rivoluzione francese a Prodi

Ansa
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Nelle ultime settimane si sente sempre di più discutere dei cosiddetti “franchi tiratori” come una delle principali incognite sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Stiamo parlando dei parlamentari che, grazie al voto segreto, potrebbero decidere di votare contro il candidato indicato dal proprio partito, compromettendone la corsa al Quirinale.

Qual è la storia di questa curiosa espressione, che nel corso della storia repubblicana ha condizionato il destino di parecchi candidati illustri? Per scoprire la risposta, bisogna fare un viaggio indietro nel tempo, fino ad arrivare all’Ottocento. All’epoca i “franchi tiratori” avevano un ruolo del tutto diverso rispetto a quello attuale.

Dalla rivoluzione francese alla seconda guerra mondiale

In origine il termine “franchi tiratori” aveva un significato militare. «La formula deriva dal francese “franc tireur”, ossia “libero tiratore”, ed è stata utilizzata per la prima volta durante la Rivoluzione francese, per poi diventare più comune durante la guerra franco-prussiana del 1870», ha spiegato a Pagella Politica Riccardo Brizzi, professore di Storia contemporanea all’Università di Bologna. «All’epoca questi “francs tireurs” erano combattenti volontari che, da soli o in piccoli gruppi, sparavano contro i soldati tedeschi nei centri abitati o nelle campagne, pur non essendo inquadrati nelle truppe dell’esercito francese».

Dopo la guerra franco-prussiana, il termine fu utilizzato sia durante la prima che la seconda guerra mondiale. «In quest’ultimo caso, nella Francia del 1940 esisteva un vero e proprio movimento, chiamato “Franc-Tireurs”, che partecipò alla resistenza e si oppose al maresciallo Philippe Pétain, collaborazionista dei nazisti», ha spiegato Brizzi a Pagella Politica.

I “franchi tiratori” nell’Italia repubblicana

A partire dagli anni Cinquanta il termine “franchi tiratori” è entrato nel linguaggio politico italiano, con un significato diverso. «Si iniziò a utilizzare questa espressione per definire quei parlamentari che durante l’elezione del presidente della Repubblica sfruttavano lo scrutinio segreto per votare un candidato diverso da quello sostenuto dal proprio partito», ha sottolineato Brizzi.

Secondo il sito di sondaggi politici YouTrend, dal 1948 a oggi i voti dei “franchi tiratori” hanno affossato almeno otto candidati al Quirinale, tra i quali ci sono anche diversi nomi illustri.

La prima vittima

Il primo candidato al Quirinale che si trovò a fare i conti con i “franchi tiratori” fu Carlo Sforza, membro del Partito repubblicano e ministro degli Esteri tra il 1947 e il 1951.

«Nel 1948 la Democrazia cristiana aveva vinto ampiamente le elezioni politiche e, anche per dare una prova di fedeltà agli Stati Uniti, l’allora presidente del Consiglio De Gasperi propose Sforza come presidente della Repubblica, il quale era una figura di spicco della diplomazia italiana», ha raccontato Brizzi a Pagella Politica.

Alle elezioni del 10 maggio 1948, il risultato del candidato di De Gasperi fu però al di sotto di ogni aspettativa. Nel primo scrutinio ottenne 353 voti [1], mentre nel secondo 405, rispettivamente 183 e 195 in meno della maggioranza dei due terzi dei “grandi elettori”, fissata a 600 voti. All’epoca i “grandi elettori” erano infatti 900 [1] e tra questi non c’era nessun delegato regionale. Solo dal 1971, dopo la costituzione effettiva delle regioni a statuto ordinario, si arrivò ad avere l’attuale numero dei 58 delegati regionali (tre per regione, più uno per la Valle d’Aosta).

Ma chi tra i “grandi elettori” del capo dello Stato non aveva votato per il candidato indicato da De Gasperi? «Molto probabilmente una parte della stessa Dc, soprattutto la corrente guidata da Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, che considerava Sforza come un anticlericale e un libertino», ha spiegato Brizzi a Pagella Politica.

“Sforza rinuncia alla candidatura”, titolava così il quotidiano La Stampa l’11 maggio 1948. Venuta meno la candidatura dell’allora ministro degli Esteri, il Parlamento elesse come presidente della Repubblica, al quarto scrutinio, l’esponente del Partito liberale Luigi Einaudi (Figura 1).
Figura 1. La prima pagine de La Stampa dell’11 maggio 1948 annuncia il ritiro di Carlo Sforza – Fonte: Archivio storico La Stampa
Figura 1. La prima pagine de La Stampa dell’11 maggio 1948 annuncia il ritiro di Carlo Sforza – Fonte: Archivio storico La Stampa
Lo stallo del 1992

I franchi tiratori hanno avuto un ruolo decisivo anche nella scelta del presidente della Repubblica del 1992. «Il 13 maggio di quell’anno, giorno in cui iniziò la votazione per scegliere il successore di Francesco Cossiga, il clima politico era rovente, i partiti, tra i quali anche la Dc, stavano vivendo un periodo di crisi e la cosiddetta “prima repubblica” sarebbe crollata di lì a poco sotto i colpi dell’inchiesta di “Mani pulite”», ha raccontato Brizzi. «In questo contesto, dopo i primi quattro scrutini senza un vincitore, i vertici della Dc stabilirono che, a partire dal quinto, si sarebbe votato per il segretario Arnaldo Forlani».

Tuttavia, Forlani aveva contro di sé un ampio fronte parlamentare. «Da un lato c’era l’opposizione interna alla Dc e, dall’altro, diversi membri del Partito socialista, tra i quali anche anche l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, che volevano fare uno sgambetto a Forlani per andare contro il loro leader Bettino Craxi, all’epoca alleato del segretario democristiano», ha aggiunto Brizzi.

Questo intreccio di veti e strategie politiche portò al venir meno della candidatura di Forlani. Il 16 maggio, al quinto scrutinio, il leader della Dc ottenne 469 voti [2], mentre nel sesto ne ottenne 479, rispettivamente 39 e 29 in meno della maggioranza assoluta, fissata all’epoca a 508 voti. Il giorno dopo, La Stampa stimava che i “franchi tiratori” di Forlani fossero tra i 60 e gli 80, «in maggioranza democristiani» (Figura 2).
Figura 2. La prima pagina de La Stampa del 17 maggio 1992 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Figura 2. La prima pagina de La Stampa del 17 maggio 1992 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Dopo il settimo scrutinio, nel quale il segretario della Dc prese sei voti, Forlani abbandonò la candidatura. L’incapacità di trovare un compromesso generò lo stallo tra i partiti e solo un evento drammatico come la strage di Capaci del 23 maggio spinse gli schieramenti a trovare una soluzione condivisa. Infatti, il 25 maggio, due giorni dopo l’attentato in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta, venne eletto il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca presidente della Camera, con 672 voti dopo sedici scrutini.

I “franchi tiratori” contro Prodi e Marini

Tra i candidati affossati dai “franchi tiratori” troviamo anche due casi recenti, entrambi nelle file del centrosinistra. Stiamo parlando dell’ex presidente del Senato Franco Marini e dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che nel 2013 erano tra i papabili sostituti di Giorgio Napolitano al Quirinale.

Nel primo caso Marini aveva ottenuto 521 voti al primo scrutinio, 151 in meno della maggioranza dei due terzi dell’assemblea necessaria alla prima votazione per eleggere il capo dello Stato. Nel secondo caso, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi aveva ottenuto 395 voti al quarto scrutinio, 109 in meno della maggioranza assoluta richiesta dopo la terza votazione.

«Per quanto riguarda il caso di Prodi, è chiaro che, contrariamente a quanto promesso, una parte del Partito democratico non votò per lui, chi per andare contro l’allora segretario Pier Luigi Bersani, chi per rancori personali, ma nulla sappiamo sull’identità di quei “franchi tiratori”», ha commentato Brizzi a Pagella Politica.

Un fenomeno tipicamente nostrano?

Come abbiamo visto, i “franchi tiratori” hanno condizionato varie volte l’elezione del capo dello Stato: questo però non deve stupire.

«L’Italia è tra i Paesi europei quello in cui il fenomeno dei “franchi tiratori” è più frequente nell’elezione del presidente della Repubblica ed è reso possibile dallo stesso sistema di elezione del nostro capo dello Stato, che prevede appunto il voto segreto», ha spiegato Brizzi a Pagella Politica. «Se penso alla Francia, i “franchi tiratori” furono presenti fino al 1958, ossia durante la Quarta repubblica, quando il capo dello Stato veniva eletto con voto segreto dal Parlamento riunito a Versailles, ma oggi con l’elezione diretta del presidente della Repubblica “i franchi tiratori” non esistono più».

Tra le cause di questo fenomeno, oltre al sistema di elezione del presidente, c’è anche il quadro politico. «I “franchi tiratori” sono tanto più frequenti quanto più i partiti sono divisi da correnti interne», ha concluso Brizzi. «Per questo non stupisce che nella “prima repubblica” molti dei “franchi tiratori” provenissero dalla Dc, che aveva tantissime anime, spesso in lotta tra loro».



[1] I dati precisi sull’elezione del 1948 sono riportati a pagina 22 del rapporto dell’Osservatorio elettorale della regione Piemonte.

[2] I dati precisi sull’elezione del 1992 sono riportati a pagine 69 e 70 del rapporto dell’Osservatorio elettorale della regione Piemonte.

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