Il nuovo governo di Mario Draghi ha spaccato definitivamente il Movimento 5 stelle. Il 17 e il 18 febbraio, più di trenta parlamentari M5s (cinquanta se si contano, oltre ai contrari, gli assenti e gli astenuti) non hanno votato la fiducia al nuovo esecutivo, contravvenendo così all’indicazione degli iscritti su Rousseau. L’11 febbraio, infatti, il 60 per cento dei votanti sulla piattaforma ha dato il via libera alla partecipazione del Movimento al governo Draghi – pur con un quesito molto discusso.

Il reggente Vito Crimi ha immediatamente annunciato – dopo entrambi i voti – l’espulsione dei 15 senatori e dei 16 deputati che hanno apertamente espresso il loro no. Non è chiaro quale sarà la sorte degli astenuti. Numerosi sono stati anche gli assenti, su cui il reggente ha intenzione di distinguere fra “giustificati” e ribelli.

Gli espulsi non faranno più parte dei gruppi parlamentari del Movimento 5 stelle. Questa volta, però, i numeri dei fuoriusciti sono significativi. Tanto che potrebbero anche strutturarsi in un gruppo organizzato.

Vediamo meglio.

Dissidenti, diversità e simboli

Di certo, il segno di questa nuova frattura è dato dal dissenso di volti storici come il senatore e presidente della commissione Antimafia Nicola Morra e dalla senatrice Barbara Lezzi, vicina ad Alessandro Di Battista. Proprio a Di Battista, ex deputato, è stata attribuita in questi giorni l’intenzione di guidare un nuovo “contro-movimento”. L’ipotesi è stata categoricamente smentita dall’interessato: «Sono uscito dal Movimento, vivo la mia vita, non mi occupo di correnti, scissioni, nuove forze politiche», ha scritto su Facebook il 19 febbraio. Né Morra né Lezzi sembrano avere intenzione di accettare l’espulsione senza dare battaglia.

Da sempre composto da anime fra loro anche molto diverse, anche i “ribelli” del Movimento 5 stelle non sono assimilabili allo stesso gruppo, ovvero hanno ragioni diverse alla base delle proprie scelte.

Alcuni non hanno votato il governo Draghi da una prospettiva politica vicina alla sinistra tradizionale. È il caso dei deputati Matteo Mantero, Doriana Sarli e Virginia La Mura.

Una frangia più numerosa – di cui fanno parte per esempio i senatori Mattia Crucioli, Elio Lannutti e i deputati Pino Cabras, Raphael Raduzzi e Alvise Maniero – si riconosce più nettamente nei temi anti-sovranisti e anti-sistema (molti erano fra i firmatari della lettera contro il Mes a dicembre).

Proprio Lannutti e Cabras sarebbero i tramiti con il segretario dell’Italia dei valori Ignazio Messina che potrebbe cedere il simbolo del partito per permettere ai fuoriusciti M5s di formare un nuovo gruppo al Senato.

Che cosa cambierebbe in questo caso?

La formazione di un gruppo parlamentare

A Palazzo Madama il regolamento prevede due criteri per la formazione di un gruppo parlamentare: «dev’essere composto da almeno dieci Senatori e deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di senatori».

Il simbolo dell’Italia dei valori nel 2018 ha partecipato alle Politiche con il raggruppamento di Civica popolare di Beatrice Lorenzin e potrebbe quindi accogliere i “ribelli” M5s. Alla Camera invece basterebbe insieme mettere insieme 20 deputati.

Perché può essere conveniente la formazione di un gruppo? Intanto c’è un aspetto politico: al momento l’unica opposizione organizzata al governo Draghi è rappresentata da Fratelli d’Italia a destra a da Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) sul fronte opposto. Ci potrebbe quindi essere spazio perché una nuova forza politica possa far sentire la propria voce.

Da un punto di vista concreto, invece, un gruppo parlamentare conviene in termini di incarichi e ruoli all’interno delle camere. Per prassi, la presidenza di alcune commissione viene assegnata all’opposizione. E nel caso del Copasir – il Comitato che controlla i servizi segreti – la presidenza a un esponente dell’opposizione è obbligatoria.

Non ultimo, i gruppi parlamentari registrati ricevono rimborsi per lo svolgimento delle loro attività.

In conclusione

Con la nascita del governo Draghi, il Movimento 5 stelle è sull’orlo di una scissione. Il 17 e il 18 febbraio, oltre trenta parlamentari M5s (cinquanta se si contano i contrari, gli assenti e gli astenuti) non hanno votato la fiducia al nuovo esecutivo, contravvenendo così all’indicazione degli iscritti su Rousseau.

I “ribelli” sono stati espulsi. Questa volta, però, si tratta di numeri così significativi che potrebbero portare alla formazione di nuovi gruppi parlamentari. Una nuova scissione per l’appunto.

Alessandro Di Battista, voce di riferimento dei “contrari” in queste settimane, ha invece ribadito che non diventerà il punto di riferimento di un “contro-movimento” organizzato.