Il governo M5s-Pd si è davvero “dimenticato il Nord”? La nascita del governo “giallo-rosso” guidato da Giuseppe Conte ha suscitato molte reazioni da parte del mondo politico e dell’opinione pubblica. Commentando la composizione dell’esecutivo, i più positivi ne hanno sottolineato l’alto tasso di rinnovamento e la giovane età media, mentre i più critici hanno evidenziato la mancanza di esperienza di alcuni ministri e una rappresentanza regionale sbilanciata a favore delle regioni del centro-sud.

La presenza di un alto numero di ministri provenienti dal Mezzogiorno – 12 su 22, incluso il presidente del Consiglio – sarebbe il segno di un governo ostile alla parte più produttiva del Paese.

Al di là delle valutazioni politiche, stiamo ai numeri. Proviamo quindi a vedere quanto c’è di vero e di falso in queste affermazioni, grazie a un database sugli esponenti dei governi italiani che Pagella Politica pubblicherà a breve.

Tutte le osservazioni che seguono sono basate naturalmente solo sui ministri, dato che i sottosegretari non sono ancora stati nominati.

«Milano è fuori dal governo»

L’assenza di ministri milanesi dal governo Conte II è stata evidenziata da alcuni esponenti politici, tra cui il deputato del Partito Democratico Mattia Mor e il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Pur vantando un’esperienza come prefetto di Milano tra il 2017 e il 2018, la neoministra dell’interno Luciana Lamorgese è infatti originaria di Potenza.

Ma l’assenza di milanesi dall’esecutivo non è un fatto nuovo, nella vita repubblicana italiana. Ben 12 governi su 66 non hanno mai avuto un ministro originario del capoluogo lombardo: da ultimo il governo Gentiloni (2016-2018).

In anni recenti, sono stati soprattutto i governi di centrosinistra a seguire questa tendenza: sia il primo governo D’Alema (1998-1999) che il secondo governo Prodi (2006-2008), e appunto il governo Gentiloni, non hanno avuto alcun milanese tra i propri ministri. Nel governo Renzi (2014-2016) )la quota milanese era invece garantita da Maurizio Lupi, allora esponente del Nuovo Centrodestra, che però si dimise nel marzo 2015.

Milano resta comunque la seconda provincia in assoluto per numero di ministri della Repubblica: 39, contro i 68 di Roma.

«Il Nord produttivo è fuori dal governo»

Altri commentatori hanno invece accusato il governo di escludere le regioni più produttive del Paese. Dunque non solo Milano, ma la Lombardia, il Veneto e il centro-nord più in generale.

Nel governo attuale, 8 ministri su 22 provengono dal centro-nord, e tre di questi da Lombardia e Veneto (il lodigiano Lorenzo Guerini, la mantovana Elena Bonetti e il bellunese Federico D’Incà). Anche in questo caso, non si tratta di un evento eccezionale.

In ben dieci esecutivi italiani non ha figurato alcun ministro veneto. E quasi tutti negli ultimi venticinque anni: l’unica eccezione è rappresentata dal settimo governo De Gasperi (1951-1953) agli albori della Repubblica, anche quello “senza veneti”.

Tra quelli senza esponenti veneti ci sono anche i primi tre governi Berlusconi, che pur potevano una nutrita delegazione leghista. Nella Prima Repubblica, invece, era soprattutto la Dc a garantire al Veneto una costante rappresentanza di governo, forte del suo bacino di consensi a livello locale.

Con 89 ministri, la Lombardia è in assoluto la prima regione italiana per rappresentanza a livello di esecutivo, nella storia della Repubblica. Anche in questo caso, però, i due ministri provenienti dalla Lombardia nominati nel secondo governo Conte non costituiscono un’eccezione in negativo: questo è successo in altri 17 governi della repubblica, mentre altri 9 hanno contato un solo lombardo tra le propria fila.

Semmai, era il precedente governo Conte a vantare un numero eccezionale di ministri originari della Lombardia, anche per effetto della presenza della Lega la cui classe dirigente è ancora prevalentemente composta da lombardi. I sette ministri lombardi del Conte I erano infatti superati solo dai governi Berlusconi II, III e IV (2001-2006 e 2008-2011), dove ne sedevano ben otto e, nell’ultimo caso, addirittura nove.

«Sono tutti del Sud»

Ci sono poi quelli che accusano il governo di essere ad eccessiva trazione meridionale.

I numeri ci dicono che quello attuale è effettivamente il governo con la più alta percentuale di ministri provenienti dal centro-sud: 12 ministri su 22, equivalenti al 55 per cento dell’esecutivo, contro il 54 per cento del governo Colombo (1970-1972) e il 51 per cento del sesto governo Andreotti (1989-1991), quando i ministri provenienti da regioni del centro-sud erano rispettivamente 15 su 28 e 20 su 39. La percentuale si riduce al 50 per cento considerando solo i ministri con portafoglio, in linea con il secondo governo Amato (2000-2001) e inferiore al già menzionato governo Colombo e al Rumor III (marzo-agosto 1970).

È vero insomma che l’attuale governo ha una corposa rappresentanza dal centro-sud. E allo stesso tempo è vero che gli ultimi governi di centrosinistra Renzi e Gentiloni, e prima ancora il governo Monti, avevano i più bassi tassi di ministri provenienti dal Meridione della storia repubblicana: nel governo Renzi addirittura meno di un ministro su dieci proveniva da una delle regioni del centro-sud.

L’aumento di ministri del Sud coincide con una diminuzione di quelli provenienti dal Centro. Il governo giallo-rosso si caratterizza per una delle più basse percentuali di ministri provenienti da Marche, Toscana, Umbria, Lazio e, in quest’ultima, da Roma: due ministri (Fioramonti all’Istruzione e Gualtieri all’Economia) che corrispondono al 9 per cento sul totale dell’esecutivo, superiore solo all’8 per cento registrato con il primo governo Andreotti.

Tra l’altro, con la notevole eccezione del primo governo Rumor (1968-1969), tutti gli esecutivi hanno avuto almeno un ministro romano. Il record, in questo caso, spetta ai governi Berlusconi II, Renzi e Gentiloni.

In conclusione

Se è vero che il neonato secondo governo Conte comprende una significativa presenza di ministri del centro-sud – un record, in percentuale – è però sbagliato dire che la composizione geografica dell’esecutivo sia necessariamente sfavorevole al centro-nord. Semmai potrebbe esserlo per il centro Italia, secondo questa tesi.

D’altra parte, negli ultimi decenni il numero di ministri nell’esecutivo si è progressivamente ridotto: è passato dal record storico di 31 ministri nei governi De Mita e Andreotti VI tra il 1988 e il 1990 ed è arrivato ai 17 del governo Renzi e ai 22 di quello attuale. Garantire la rappresentanza regionale, professionale, partitica e di genere si è rivelata una sfida sempre più difficile.