Domenica 26 gennaio 2020, i cittadini dell’Emilia-Romagna sono chiamati alle urne per eleggere presidente e consiglieri della nuova Giunta regionale. I due contendenti principali sono il presidente uscente del centro-sinistra Stefano Bonaccini e la candidata leghista del centro-destra Lucia Borgonzoni.

Nelle ultime settimane, Bonaccini e Borgonzoni si sono confrontati faccia a faccia in alcune occasioni, come il 21 gennaio scorso nella redazione del quotidiano bolognese Il Resto del Carlino. Durante il dibattito, i due candidati hanno parlato di dieci argomenti diversi (più un appello finale al voto), dal “Lavoro” alle “Tasse”, passando per la “Sanità”. Pagella Politica ha analizzato gli stili comunicativi dei contendenti, con Bonaccini che ha fatto 76 dichiarazioni verificabili, mentre Borgonzoni 30, senza verificare – come facciamo normalmente – la veridicità di queste 106 dichiarazioni.

In questo articolo, vediamo insieme quali verdetti ha dato Pagella Politica agli esponenti del centro-sinistra e del centro-destra nei diversi fact-checking dedicati alle elezioni in Emilia-Romagna. Una regione che, ricordiamo, è la sesta più popolosa d’Italia e quarta per Pil (con numeri simili a uno Stato come la Nuova Zelanda), con il secondo più alto tasso di occupazione e il terzo più basso tasso di disoccupazione.

Il fact-checking del centro-sinistra

Il 28 novembre 2019, in un post su Facebook, il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (che non è esplicitamente sostenuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come riporta invece una notizia falsa circolata sui social) ha rivendicato cinque risultati della sua presidenza, commettendo però alcuni errori.

Bonaccini ha infatti esagerato nel dire che «da cinque anni siamo prima regione per crescita tra tutte le regioni italiane», mentre ha citato dati corretti sull’export pro-capite («siamo la prima regione nell’export per quota pro-capite»).

Secondo il candidato del centro-sinistra poi, «la disoccupazione in Emilia-Romagna negli ultimi quattro anni è scesa dal 9 per cento al 5 per cento». Abbiamo verificato e i numeri sono diversi: tra il 2014 e il 2018 il tasso di disoccupazione regionale è sceso del 2,4 per cento, non del 4 per cento.

Sull’aumento delle presenze turistiche, cresciute secondo Bonaccini negli ultimi quattro anni da 45 a 60 milioni, è vero che dal 2015 c’è stata una crescita, ma secondo i dati Istat non così grande come quella rivendicata dal presidente uscente.

Infine Bonaccini ha ragione quando dice che sotto lo scorso governo Lega-M5s la Regione Emilia-Romagna è stata indicata come regione benchmark – insieme a Veneto e Piemonte, due regioni governate dal centro-destra – per calcolare la suddivisione delle risorse del Fondo sanitario nazionale per il 2019.

In un altro post su Facebook, questa volta del 1° gennaio 2020, il candidato del centro-sinistra ha elogiato il sistema formativo dell’Emilia-Romagna, che in tema di abbandono scolastico avrebbe permesso alla regione «di raggiungere risultati migliori rispetto al resto del Paese, in linea con gli obiettivi fissati dalla Ue».

Per questa dichiarazione, Bonaccini si è meritato un “C’eri quasi”. Nel 2018 la quota di giovani di età compresa fra i 18 e 24 anni che hanno abbandonato prematuramente la scuola in Emilia-Romagna è stata dell’11 per cento. Questo dato è migliore rispetto alla media nazionale italiana (14,5 per cento) ed è vicino all’obiettivo europeo per il 2020, fissato nel 2010 al 10 per cento della popolazione.

Bisogna però aggiungere che la regione guidata dal governatore del Pd non è comunque tra le migliori in Italia (è settima in questa classifica, alla pari con altre tre regioni), che la riduzione della dispersione scolastica negli ultimi anni è stata leggermente meno marcata in Emilia-Romagna rispetto alla media nazionale, e che nel 2018 il dato di questa regione è peggiorato di un punto percentuale rispetto al 2017.

Il fact-checking del centro-destra

Il programma elettorale della candidata del centro-destra Lucia Borgonzoni è introdotto da una «lettera aperta» agli elettori, dove viene promessa «zero Irpef, come in Veneto». Abbiamo verificato e Borgonzoni si è meritata un “Nì”.

Da un lato, promettere di azzerare l’Irpef – nel senso dell’addizionale regionale Irpef – significa promettere una cosa impossibile, e infatti non lo fa nemmeno il Veneto. Dall’altro, fare «come il Veneto» non significa azzerare l’Irpef, ma più semplicemente mantenere l’aliquota di base imposta dallo Stato (1,23 per cento).

In Veneto è infatti in vigore un’unica aliquota per questa imposta, come avviene anche in altre tre regioni a statuto ordinario. In Veneto però l’aliquota equivale al limite minimo imposto dallo Stato, mentre nelle altre tre regioni a statuto ordinario che hanno un’aliquota unica la percentuale dell’addizionale è più alta.

In Emilia-Romagna, a differenza che in Veneto e come in diverse altre regioni, l’addizionale regionale all’Irpef si paga sulla base di cinque scaglioni, a seconda della fascia di reddito d’appartenenza (anche nello scaglione più basso l’aliquota, pari all’1,33 per cento, è comunque più alta che in Veneto).

Insomma, è sbagliato dire che in Veneto l’Irpef è a «zero», anche se è vero che la regione guidata da Zaia non ha aumentato l’aliquota di base, il minimo imposto dallo Stato, come invece potrebbe in base alla legge.

Borgonzoni, nel dibattito al Resto del Carlino del 21 gennaio 2020, ha invece correttamente fatto notare che il suo avversario Bonaccini fosse stato fuorviante nel dire che le entrate della plastic tax sono state abbattute – con il passaggio da disegno di legge di Bilancio a legge di Bilancio approvata definitivamente – da 1,1 miliardi di euro a 100 milioni. Queste cifre sono sostanzialmente corrette, ma solo per il 2020: il gettito fiscale previsto per il 2021 dalla tassa sulla plastica supera i 500 milioni di euro.

Negli ultimi mesi, anche il leader della Lega Matteo Salvini si è impegnato in prima linea nella campagna elettorale in Emilia-Romagna. A fine novembre 2019, l’ex ministro dell’Interno aveva detto che sono più gli emiliano-romagnoli che vanno a curarsi fuori regione rispetto a quelli che arrivano.

Abbiamo verificato e Salvini si è meritato una “Panzana pazzesca”. In base ai dati forniti dal Ministero della Salute sulla mobilità sanitaria, sono di più i residenti in altre regioni che vanno a farsi curare in Emilia-Romagna, rispetto agli emiliano-romagnoli che decidono di uscire dalla propria regione.

A ulteriore riprova di questo, nel 2017 – ultimi dati disponibili – l’Emilia-Romagna è stata la seconda Regione con il saldo tra crediti e debiti per mobilità sanitaria più alto d’Italia.