Negli ultimi giorni il dibattito politico ha toccato il tema della vendita di cannabis legale in Italia. Diversi esponenti delle istituzioni sono intervenuti sulla questione, riportando dati e informazioni.

Davvero, grazie ai canapa shop, il fatturato illecito è stato ridotto? Giorgia Meloni è sempre stata contraria alla distribuzione della cannabis legale? Esistono droghe depotenziate? Chi ha ragione tra Matteo Salvini e Giulia Grillo? I terreni in cui la cannabis viene coltivata sono aumentati di dieci volte negli ultimi cinque anni?

Abbiamo selezionato alcune dichiarazioni sul tema e le abbiamo sottoposte al nostro fact-checking.

Carlo Calenda
«La Lega ha votato per la legalizzazione dei negozi che vendono cannabis leggera e quindi si sta facendo una pura sceneggiata»

Il 10 maggio, l’ex ministro dello Sviluppo economico ha dichiarato che la Lega «sta facendo una pura sceneggiata» dal momento che in passato «ha votato per la legalizzazione» dei canapa shop e che oggi si dice invece contraria.

Come abbiamo visto, la legge 242/2016 ha introdotto in Italia la coltivazione e vendita legale della cannabis (nel rispetto di un dato valore di Thc). Ma davvero la Lega ha dato la propria approvazione a questa norma? La questione è complessa.

La legge 242/2016 ha avuto un iter piuttosto lungo, comprendendo al suo interno diversi disegni di legge. Una volta redatto, il 18 novembre 2015 il testo unificato è stato approvato alla Camera e sottoposto all’esame del Senato, dove sono stati proposti tre emendamenti.

La XIII Commissione agricoltura, allora presieduta da Luca Sani (Pd), era incaricata dell’esame del testo. Nel resoconto della seduta si legge che «deliberando la Commissione su un testo già approvato in prima lettura dalla Camera e successivamente modificato dal Senato, a norma del comma 2 dell’articolo 70 del Regolamento, la Commissione delibererà soltanto sulle parti modificate dal Senato. […] Con distinte votazioni, approva quindi gli articoli 2, 7 e 74, come modificati dal Senato».

Dunque, che cosa è successo? Secondo il Regolamento della Camera, il presidente «può proporre all’Assemblea il trasferimento di un progetto di legge, già assegnato in sede referente, alla medesima Commissione in sede legislativa». Così facendo, la Commissione ha, se riunita in sede deliberante, la possibilità di discutere un progetto di legge senza dover passare dall’Aula. Così è successo e il testo unificato è stato approvato con voto unanime.

La Lega è stata sicuramente coinvolta in occasione della votazione in aula. Non siamo riusciti a trovare alcun documento pubblico che ne riporti l’esito. Abbiamo contattato la Camera dei Deputati e siamo in attesa di un loro riscontro.

In qualsiasi caso, abbiamo la certezza che, una volta arrivato in Commissione agricoltura, il testo sia stato approvato all’unanimità. Dei 26 presenti e votanti, tutti hanno accolto favorevolmente la misure. Nessun esponente della Lega rientra però tra i votanti: la commissione era infatti composta, oltre che dal presidente Luca Sani (Pd), da 19 esponenti del Pd, 2 del M5s e 4 di altri partiti.

Dunque, visto l’iter piuttosto complesso della legge 242/2016, non è del tutto corretto rivendicare una totale responsabilità e consenso della Lega all’approvazione della norma. Calenda merita un .

Matteo Salvini
«Non esistono droghe depotenziate, esiste la droga, che fa male»

L’8 maggio, ospite di Otto e mezzo su La7, il ministro dell’Interno ha dichiarato (min. 37’ 00’’) che «non esistono droghe depotenziate, esiste la droga, che fa male». Ma le cose non stanno così.

In Italia la coltivazione, la vendita e il consumo di cannabis sono in generale vietati (come stabilito dal d.p.r. 309/1990). La legge 242/2016 ha però introdotto la possibilità di coltivare e vendere la canapa utile (o cannabis sativa L) in alcuni settori come l’edilizia, l’industria, l’agricoltura, il settore alimentare e della produzione di cosmetici.

Pur non essendo prevista per legge la vendita a scopo ricreativo, è possibile farlo sostenendo che si tratti di un deodorante per l’ambiente o di un articolo da collezione (per questo motivo, per l’Italia, si è parlato di liberalizzazione non voluta o “accidentale”). La cannabis venduta deve però rispettare degli specifici parametri (stabiliti dall’art. 4 della legge 242/2016): il contenuto di Thc deve essere compreso tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento.

Dunque il ministro dell’Interno sbaglia. La cannabis venduta legalmente in Italia è in effetti “depotenziata”. Come dimostrato da una ricerca accademica condotta negli Stati Uniti, questo valore di Thc è di circa 30-40 volte inferiore rispetto alla cannabis venduta, ad esempio, in Olanda a scopo ricreativo. Le autorità sanitarie italiane, comunque, non hanno testato o certificato la cannabis legale per il consumo, fatto che potrebbe esporre il consumatore a dei rischi.

Salvini si merita comunque un Panzana pazzesca.

Nicola Zingaretti
«Questa rete di canapa shop, secondo alcuni risultati, ha ridotto il fatturato illecito»

Il 10 maggio, il segretario del Pd ha dichiarato che grazie ai rivenditori di cannabis legale il fatturato illecito è stato ridotto.

Lo scorso anno è stato pubblicato sulla rivista scientifica European Economic Review lo studio Light cannabis and organized crime: Evidence from (unintended) liberalization in Italy realizzato da Vincenzo Carrieri dell’Università degli Studi di Catanzaro, da Leonardo Madio della University of York e da Francesco Principe della Erasmus University of Rotterdam.

La ricerca – che si concentra sull’Italia ed è stata ripresa anche da alcune testate nazionali (qui e qui) – ha confrontato mensilmente l’attività di prevenzione e controllo delle forze dell’ordine nelle aree in cui sono stati aperti i cannabis shop.

Tra i risultati emerge una riduzione del fatturato illecito. Si legge infatti che «una forma lieve di liberalizzazione […] può raggiungere lo scopo di ridurre la quantità di marijuana venduta nel mercato illegale e le relative entrate della criminalità organizzata».

Secondo lo studio, la legalizzazione della cannabis ha portato a una diminuzione (di un massimo del 12 per cento) della confisca illegale. Inoltre, dall’esame dei risultati ottenuti in 106 province italiane è emerso che la liberalizzazione della canapa ha prodotto, in media, un calo del fatturato illecito stimabile tra i 159 milioni di euro e i 237 milioni di euro all’anno [1].

Zingaretti si merita un Vero.

Giorgia Meloni
«Sui negozi [di cannabis] mi batto da anni, mi sono battuta al tempo per impedirne l’apertura»

Il 10 maggio, la leader di Fratelli d’Italia ha espresso (min. 0’ 55’’) la propria opinione sulla vendita di cannabis legale, ospite di Radio anch’io su Rai Radio1.

Meloni ha sostenuto che il suo partito si è sempre espresso in senso contrario all’apertura dei cannabis shop in Italia.

Il sito di FdI raccoglie tutte le diverse dichiarazioni che gli esponenti, a partire dal 2015, hanno rilasciato per impedire la circolazione legale della cannabis. Oltre a Meloni, nel corso degli ultimi quattro anni si sono dichiarati contrari anche Fabio Rampelli (deputato di FdI e vicepresidente della Camera), Achille Totaro (deputato di FdI), Maria Teresa Bellucci (deputato di FdI), e Luca Ciriani (senatore di FdI).

Anche Meloni merita quindi un Vero.

Marco Grimaldi
«Legalizzare […] porterebbe nelle casse dello Stato circa 8 miliardi di euro»

L’11 maggio Marco Grimaldi ha dichiarato che la legalizzazione della cannabis porterebbe allo Stato un guadagno di «circa 8 miliardi di euro».

L’esponente di Liberi e Uguali fa probabilmente riferimento a una ricerca realizzata nel 2015. Lo studio, condotto da due ricercatori dell’Università di Messina, Ferdinando Ofria e Piero David, e condiviso da lavoce.info, riportava dati in linea con quelli citati da Grimaldi. Si legge infatti che, secondo dei calcoli fatti nel 2011 (ultimi dati disponibili) «i benefici fiscali della commercializzazione legale della marijuana vanno da 5,9 a 8,5 miliardi di euro». Di questi, 574 mila euro di risparmi sono stimati per la repressione del fenomeno e i restanti come possibile gettito fiscale.

Viene inoltre evidenziato che «il calcolo può variare per eccesso se si considera la possibilità di coltivare in proprio la cannabis o per difetto se ti tiene in considerazione il possibile indotto di questo nuovo mercato (produzioni agricole, dolciarie, tessili, medicali)».

È vero dunque che gli studi ufficiali parlano di un possibile risparmio in Italia di 8 miliardi di euro ma è bene fare due specifiche. In primo luogo, si tratta del tetto massimo della stima di risparmio (che, come abbiamo visto, parte da circa 6 miliardi); inoltre possiamo considerare le stime almeno in parte datate, essendo state realizzato circa quattro anni fa, basandosi su dati del 2011.

Al netto di queste due precisazioni, Grimaldi riporta una cifra comunque plausibile e per questo merita un C’eri quasi.

Antonio Pignataro
«Si legalizza di fatto la cannabis, come avviene in Paesi dove su questo è stata fatta una legge. Invece in Italia questi prodotti vengono venduti e di fatto legalizzati, senza che ci sia una legge»

Il questore di Macerata Antonio Pignataro ha dichiarato che in Italia, con i canapa shop, viene legalizzata la cannabis e che i prodotti sono liberamente venduti («e di fatto legalizzati») senza che ci sia una specifica legge. Questa dichiarazione è però fuorviante.

La legge 242/2016 stabilisce quali sono, in Italia, le modalità di coltivazione e vendita della cannabis. I prodotti che vengono messi in vendita e «legalizzati» non prevedono, per legge, un utilizzo della marijuana a scopo ricreativo. Le principali destinazioni d’uso del prodotto sono il settore alimentare, cosmetico, industriale e della bioedilizia.

Esiste però un’escamotage: è infatti possibile vendere la cannabis light come deodorante per ambienti o a scopo di collezione. In questo modo, nulla impedisce che il cliente, una volta acquistata, ne faccia l’uso che vuole (compreso fumarsela).

Bisogna poi tenere conto anche di un altro aspetto. Come ha spiegato a Pagella Politica Marco Bertolotto (direttore del Centro Terapia del dolore e cure palliative dell’ospedale Santa Corona di Albenga e Pietra Ligure), le autorità sanitarie non hanno testato e certificato i prodotti in vendita all’interno dei cannabis shop. Se per quanto riguarda la canapa utilizzata per la terapia del dolore ci sono degli specifici controlli circa la sua composizione, non è lo stesso per la canapa venduta nei negozi.

Ricordiamo infine che il livello di Thc contenuto nella cannabis venduta legamente in Italia deve essere, per legge, nettamente inferiore rispetto a quello illegale e a quanto messo in commercio in altri Paesi dove l’utilizzo della cannabis a scopo ricreativo è concesso.

Pignataro fa quindi un paragone improprio: si merita un Pinocchio andante.

Giulia Grillo
«In Italia […] ci sono negozi che vendono prodotti di canapa con concentrazioni Thc che non hanno effetti stupefacenti»

L’8 maggio il ministro della Salute Giulia Grillo, in risposta a quanto dichiarato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha precisato che in Italia esistono dei rivenditori che commerciano cannabis con «concentrazioni Thc che non hanno effetti stupefacenti».

Come visto sopra, la legge 242/2016 ha introdotto la possibilità di coltivare e vendere la cannabis sativa. Il contenuto di Thc (come stabilito dall’art. 4) deve essere compreso tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento.

Stiamo parlando di una sostanza con effetti stupefacenti? L’esperto e il confronto internazionale ci dicono di no.

Il 10 ottobre 2018 Giovanni Serpelloni, direttore dell’Uoc Dipendenze di Verona, ha presentato alla comunità di San Patrignano una ricerca sulla cannabis venduta legalmente in Italia. Secondo Serpelloni – contrario alla diffusione dei cannabis shop – sarebbe possibile «con 20-30 grammi di prodotto grezzo […] arrivare ad estrarre un concentrato resinoso di circa 25 milligrammi di principio attivo».

Per raggiungere il 2,5 per cento di Thc (un sesto scarso di quanto ci sia normalmente nella cannabis illegale fumata a scopo ricreativo in Italia) si devono quindi acquistare 20-30 grammi di cannabis legale, spendendo probabilmente centinaia di euro.

In alcuni Paesi, come per esempio nello Stato di Washington (Usa), è invece concessa la vendita di cannabis destinata all’uso ricreativo, considerabile a tutti gli effetti una droga leggera. Il quantitativo di Thc, in quel caso, varia tra il 17,7 per cento e il 23,2 per cento, un livello tra le 30 e le 40 volte superiore al massimo consentito in Italia.

La ministra Grillo merita un Vero.

Erasmo Palazzotto
«In Italia nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte i terreni coltivati a Cannabis sativa, passando dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4.000 circa per il 2018, come ci ricorda la Coldiretti. Un mercato in forte espansione che sta creando migliaia di nuovi posti di lavoro»

Il 9 maggio, l’esponente di Sinistra italiana Erasmo Palazzotto ha dichiarato – riportando esplicitamente come fonte la Coldiretti – che nel giro di cinque anni in Italia gli ettari coltivati a cannabis sativa sono aumentati di dieci volte (da 400 del 2013 a circa 4.000 del 2018). Inoltre, il mercato della cannabis legale avrebbe creato «migliaia di nuovi posti di lavoro».

Palazzotto ha ragione.

Il rapporto stilato a maggio 2018 dalla Coldiretti riporta, in effetti, gli stessi dati cui fa riferimento l’esponente di Sinistra italiana: in Italia i terreni in cui si coltiva la cannabis sono aumentati di circa dieci volte tra il 2013 e il 2018, passando da 400 a 4.000.

A luglio 2018, ancora la Coldiretti aveva evidenziato che grazie alla coltivazione, alla trasformazione e al commercio della cannabis a scopo terapeutico, in Italia si sarebbero creati «almeno 10 mila posti di lavoro dai campi ai flaconi».

Palazzotto merita un Vero.

In conclusione

Matteo Salvini e Antonio Pignataro riportano delle informazioni sbagliate.

Non è infatti vero che «non esistono droghe depotenziate» ed è fuorviante affermare che la vendita di cannabis in Italia sia stata legalizzata «senza che ci sia una legge». Una legge è infatti stata approvata senza prevedere la vendita al dettaglio di prodotti per fumatori, ma esistono poi degli escamotage per aggirare questo limite. E soprattutto i prodotti commercializzati non hanno effetti stupefacenti, dati i bassissimi livelli di Thc.

Carlo Calenda merita un Nì: nell’approvazione definitiva della legge che regola i cannabis shop (242/2016) la Lega non ha avuto un ruolo di primo piano. La norma, ottenuto il consenso alla Camera, è stata poi approvata definitivamente con un voto unanime della Commissione agricoltura in cui non era presente alcun esponente leghista al momento della votazione.

Le dichiarazioni degli altri politici (Nicola Zingaretti, Giorgia Meloni, Giulia Grillo, Marco Grimaldi ed Erasmo Palazzotto) posso essere considerate corrette. In linea generale, infatti, i dati e le informazioni riportate corrispondono a quelle ufficiali o contenute negli studi.

È infatti vero che i canapa shop aperti in Italia hanno contribuito a ridurre il ricavato del fatturato illecito, così come è vero che i prodotti venduti non hanno effetti stupefacenti (il coefficente di Thc è infatti di 30-40 volte inferiore a quello presente nella cannabis venduta a scopo ricreativo). È poi anche corretto affermare che tra il 2013 e il 2018 le coltivazioni di canapa legale sono aumentate di dieci volte, creando «migliaia» (diecimila, secondo Coldiretti) posti di lavoro.

Infine, Marco Grimaldi è leggermente impreciso. Se è vero che si può stimare per lo Stato un incasso di circa «circa 8 miliardi» per la vendita di cannabis legale, bisogna però riconoscere come si tratta del valore massimo stimato e basato su dati relativi al 2011 e, quindi, almeno in parte, datati.



[1] Gli autori dello studio specificano come sia possibile solo stimare l’ammontare della perdita del fatturato illecito. I dati relativi alla confisca delle droghe illegali sono, infatti, solo una parte dello stock di cannabis disponibile illegalmente. Inoltre, non si sta parlando di un vero e proprio sostituto della marijuana ma di un prodotto che presenta un basso livello di Thc e che non ha lo stesso effetto ricreativo. Infine, in Italia la liberalizzazione ha ricevuto, secondo gli autori, poca attenzione da parte dei media e la poca pubblicità può aver influito sull’acquisto e utilizzo.