Il fact-checking degli “appunti di Giorgia” tra Superbonus, migranti e bollette

Abbiamo verificato cinque dichiarazioni della presidente del Consiglio Meloni, che ha commesso almeno un paio di errori
Pagella Politica
Domenica 19 febbraio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sui social una nuova puntata della sua videorubrica “Gli appunti di Giorgia”, dove ha raccontato quanto fatto negli ultimi giorni dal suo governo.

Dal Superbonus ai migranti, passando per il Pnrr, abbiamo verificato cinque dichiarazioni di Meloni, che ha commesso almeno un paio di errori.

I risultati “gonfiati” sui migranti al Consiglio europeo

«Le conclusioni del Consiglio europeo segnano nella vicenda dell’Unione europea un totale cambio di paradigma, un totale cambio di approccio rispetto alle questioni migratorie» (min. 2:53)

Qui Meloni ha fatto riferimento al Consiglio europeo tenutosi il 9 e il 10 febbraio a Bruxelles, esagerando però i risultati ottenuti dal suo governo. Ricordiamo che il Consiglio europeo è un organismo dell’Unione europea dove siedono i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri per orientare l’agenda politica dell’Ue. 

Alla fine di ogni Consiglio europeo vengono pubblicate le cosiddette “conclusioni”, un testo in cui gli Stati membri individuano le questioni di maggiore interesse e gli obiettivi da raggiungere. Secondo Meloni, le conclusioni del vertice del 9 e del 10 febbraio fissano «una serie di concetti che non era stato possibile fissare prima». Tra questi concetti la presidente del Consiglio cita l’immigrazione come «un problema europeo che necessita di risposte europee». In realtà una posizione simile è stata espressa in altre conclusioni di Consigli europei, per esempio nel 2018, nel 2016 e nel 2009. Discorso analogo vale per altri concetti elencati da Meloni, come il controllo delle frontiere marittime e della rotta del mar Mediterraneo centrale, il rafforzamento dei rimpatri e degli investimenti in Africa. 

Qui, in un fact-checking specifico dedicato al tema, abbiamo spiegato più nel dettaglio perché Meloni esagera i meriti del suo governo sul fronte dell’immigrazione.

Quanto è stato speso finora per il Pnrr

«Fino a oggi per il Pnrr sono stati spesi meno di 20 miliardi di euro. Inizialmente per il 2022 era stata prevista una spesa di 43 miliardi alla fine dell’anno, poi sono diventati 34, poi sono diventati 21. In realtà ne sono stati spesi meno di 20» (min. 7:14)

Qui Meloni ha ragione. Ricordiamo che fino a oggi l’Italia ha ricevuto dall’Ue circa 67 miliardi di euro per finanziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che in totale entro il 2026 potrà contare su oltre 190 miliardi di euro di risorse europee, tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto. Alla fine di dicembre 2022 il governo ha chiesto alla Commissione Ue l’erogazione della terza rata dei fondi, pari a 19 miliardi di euro, su cui è attesa una risposta in queste settimane.

Nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), pubblicata alla fine di settembre 2022, il governo Draghi aveva stimato che entro la fine del 2022 l’Italia avrebbe speso 20,5 miliardi di euro tra quelli ricevuti per il Pnrr. Si trattava di una spesa minore di oltre 13 miliardi di euro rispetto a quanto preventivato dal Documento di economia e finanza (Def) ad aprile 2022 e di quasi 21 miliardi di euro rispetto alla tabella di marcia originaria. Detta altrimenti: dopo il secondo anno di vita del Pnrr, la spesa effettiva delle risorse ricevute si era fermata sotto al 50 per cento rispetto alle previsioni iniziali.
Grafico 1. Profilo programmatico aggiornato relativo all’utilizzo delle risorse del Pnrr – Fonte: Nadef
Grafico 1. Profilo programmatico aggiornato relativo all’utilizzo delle risorse del Pnrr – Fonte: Nadef
Al momento non sono disponibili dati aggiornati sulla spesa effettiva del Pnrr, ma alla fine di dicembre 2022 era già evidente, come spiegava Il Sole 24 Ore, che l’obiettivo di spendere almeno 20 miliardi di euro entro il 2022 non sarebbe stato raggiunto.

Quanto ha speso l’Italia per i fondi europei

«Nella programmazione europea 2014-2020 sapete quanti soldi ha speso l’Italia dei 126 miliardi che aveva a disposizione? Circa 43 miliardi» (min. 7:40)

Anche in questo caso il dato citato da Meloni è corretto ed evidenzia  come l’Italia non sia capace di spendere tutte le risorse dei fondi europei a sua disposizione. 

La cosiddetta “programmazione europea” è lo strumento utilizzato per raggiungere gli obiettivi dei quattro Fondi strutturali e di investimento europei (Sie) assegnati dall’Ue all’Italia, tra cui il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse). La programmazione, che si articola lungo sette anni, «serve per identificare le priorità strategiche della politica di coesione, definire le risorse, chiarire le procedure di gestione e decidere i sistemi di controllo», spiega il sito della Presidenza del Consiglio. Ora è già in vigore la programmazione europea per il periodo tra il 2021 e il 2027.

I dati citati da Meloni sono contenuti in una relazione presentata il 16 febbraio in Consiglio dei ministri dal ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto. Sul totale di 126,6 miliardi di euro della programmazione 2014-2020, ne sono stati spesi 43,1 miliardi: il 34 per cento. Al netto degli interventi di emergenza sui fondi europei adottati per far fronte alla pandemia di Covid-19, la spesa è stata di 36,5 miliardi su 116,2 miliardi (31,5 per cento).

Quanto costano allo Stato i bonus edilizi

«I bonus edilizi sono costati per ogni singolo italiano circa 2 mila euro» (min. 13:24)

È vero: il dato citato da Meloni è corretto. In totale il costo per lo Stato del Superbonus 110 per cento, del cosiddetto “bonus Facciate” e di altri bonus edilizi è stato stimato finora in circa 120 miliardi di euro. Più nel dettaglio gli oneri a carico dello Stato per il Superbonus 110 per cento sono stati pari a circa 72 miliardi di euro, oltre 35 miliardi di euro in più rispetto alla previsioni iniziali. «Per gli anni 2023-2026, i maggiori oneri hanno determinato un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno», ha spiegato il 2 febbraio in un’audizione in Senato Giovanni Spalletta, ​​direttore generale del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia.

Se si prendono i 120 miliardi di euro di costi e si dividono per i circa 59 milioni di abitanti residenti in Italia al 1° gennaio 2022, si ottengono 2.033 euro a cittadino, ossia i «2 mila euro» a cui ha fatto con tutta probabilità riferimento Meloni.

Il calo della bolletta del gas

«Il calo della bolletta del gas è soprattutto il risultato della battaglia vinta sul tetto europeo al prezzo del gas» (min. 23:58)

Come già avvenuto qualche giorno fa, qui Meloni è tornata ad attribuire al suo governo meriti che non ha per il calo della bolletta del gas. 

Il 2 febbraio l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), che svolge l’attività di controllo del mercato dell’energia, ha pubblicato l’aggiornamento sui costi delle bollette del gas del mese di gennaio per le famiglie che hanno una fornitura nel cosiddetto “mercato tutelato”, ossia che non hanno un operatore del mercato libero. Arera ha calcolato che a gennaio 2023 «si registra una riduzione del 34,2 per cento del prezzo del gas naturale per la famiglia tipo rispetto al mese precedente». Una “famiglia tipo” consuma in media 1.400 metri cubi di gas all’anno. Questa riduzione è spiegata dal calo della spesa per la materia prima, ossia per il gas. Come mai è avvenuto questo calo? L’operato del governo c’entra qualcosa? La risposta è no.

Lo scorso 23 gennaio due agenzie dell’Ue (Acer ed Esma) hanno pubblicato due rapporti con una valutazione preliminare dell’introduzione in Europa di quello che è stato ribattezzato “tetto al prezzo del gas” (in inglese price cap). A dicembre i Paesi dell’Ue hanno trovato un accordo, su spinta non solo dell’Italia ma anche di altri governi europei, per introdurre dal 1° febbraio 2023 un «meccanismo di correzione del mercato» per contenere i costi elevati delle importazioni di gas. Il tetto al prezzo del gas è stato così fissato da un regolamento a 180 euro al megawattora. 

Il prezzo del gas a livello internazionale è iniziato a calare già dalla fine di settembre 2022 a causa di una serie di fattori. Per esempio, la domanda di gas delle industrie si è ridotta a causa dei prezzi elevati e delle misure di efficientamento introdotte nei mesi precedenti. Nell’Ue il livello degli stoccaggi di gas all’inizio dell’autunno era più alto rispetto agli anni precedenti e ha contribuito ad abbassare i prezzi. Sul calo hanno pesato anche il rallentamento dell’economia cinese, il maggiore ricorso al gas naturale liquefatto (Gnl) e un aumento della produzione dalle energie rinnovabili. Nelle settimane in cui è stato adottato il tetto al prezzo del gas le temperature sono state particolarmente miti rispetto agli anni precedenti.

Ricapitolando: il calo del prezzo del gas è dovuto a una serie di fattori non riconducibili a misure adottate dal governo. Nemmeno l’introduzione del tetto al prezzo del gas a livello europeo sembra aver contribuito finora al calo dei prezzi.

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