Draghi e l’economia del Sud in tre fact-checking

Ansa
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Aggiornamento 24 marzo, ore 17.15 – Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica ha risposto alle nostre domande, consentendoci di aggiornare la parte dedicata al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.

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Il 23 marzo il presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto all’iniziativa “Sud – progetti per ripartire”, organizzata dalla ministra per il Sud Mara Carfagna (Forza Italia), e ha fatto una serie di affermazioni a proposito del Mezzogiorno.

Ne abbiamo analizzate tre: una corretta sulla crescita del divario tra Nord e Sud; una con qualche limite ma sostanzialmente corretta sui miliardi non spesi del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione; una corretta, infine, sulle opere pubbliche incomplete.

Quanto è cresciuto il divario tra Centro Nord e Sud?

«Dagli inizi degli anni Settanta a oggi [il divario tra Centro-Nord e Sud n.d.r.] è grandemente peggiorato. Il prodotto per persona nel Sud è passato dal 65 per cento del Centro-Nord al 55 per cento»

Secondo i dati più recenti dell’Istat, pubblicati a dicembre 2020 e relativi al 2019, il Prodotto interno lordo (Pil) pro capite nelle regioni del Sud era pari a 19,2 mila euro, contro i 36,8 mila euro del Nord-ovest, 35,5 mila euro del Nord-est e i 32,1 mila euro del Centro.

Il Pil pro capite del Centro-Nord nel complesso – come risulta dalle tavole Istat qui scaricabili (Tav.1) – nel 2019 era pari a 35 mila euro, rispetto al quale i 19,2 mila euro del Mezzogiorno (Sud e Isole) rappresentano in effetti il 54,9 per cento.

Per quanto riguarda il passato, le cifre citate da Draghi si trovano anche nell’Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, del 21 settembre 2019. Secondo Panetta «il Pil pro capite del Mezzogiorno in rapporto a quello del Centro Nord aumentò dal 55 per cento degli anni cinquanta al 65 di metà anni settanta». Un grafico, elaborato da Bankitalia su dati Istat, conferma queste cifre.

Nella letteratura accademica tuttavia troviamo delle cifre leggermente diverse. Nello studio “L’evoluzione del divario tra il Nord e il Sud dal dopoguerra a oggi” di Amedeo Lepore, professore di Storia economica presso l’università della Campania, ad esempio, vengono riportate cifre in parte differenti.
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Come si vede la percentuale qui non arriva mai al 65 per cento, ma al massimo al 61 per cento. Questo dato è confermato anche da altri studi sull’argomento, ad esempio “Divari di sviluppo e convergenza regionale in Italia – Un esame per il periodo 1960-1998” di Vittorio Daniele, professore di Politica economica ed esperto di divari regionali.

In ogni caso, Draghi ha ragione nel sostenere che il divario di Pil pro capite tra Centro Nord e Mezzogiorno è peggiorato – pur con un andamento altalenante – dagli anni Settanta ad oggi. Sull’entità del calo, le sue cifre sono confermate da quanto riportato da Banca d’Italia, mentre divergono leggermente da quelle riferite in alcuni studi accademici sull’aumento del divario tra Centro-Nord e Sud.

Fondi non spesi, ma quali?

«A fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi, il 6,7 per cento»

Il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione – si legge sul sito istituzionale – «è, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali».

Per quanto riguarda le sue risorse per il periodo 2014-2020, in un approfondimento di febbraio 2021 del servizio studi della Camera si legge che queste ammontavano inizialmente a 54,8 miliardi, poi aumentati a 59,8 miliardi e da ultimo – con la legge di Bilancio per il 2020-2022 – a 68,8 miliardi di euro.

«Rispetto all’importo complessivamente stanziato – riporta l’approfondimento della Camera – permangono ancora nel bilancio 2021 circa 36,8 miliardi da spendere». In particolare, circa 7,1 miliardi nel 2021, circa 7,7 miliardi nel 2022, circa 7,1 miliardi nel 2023 e 14,4 miliardi nel 2024 e anni successivi (pur essendo stanziamenti per il periodo 2014-2020 possono essere spesi anche negli anni successivi).

Dunque risulta che in realtà siano stati spesi 32 miliardi, non 3 miliardi, cioè il 46,5 per cento delle risorse del Fondo, non il 6,7 per cento.

Draghi però forse si è confuso e come suggerisce anche la sua frase precedente – «ci sono due problemi: uno nell’utilizzo dei fondi europei, l’altro nella capacità di completamento delle opere pubbliche» – voleva in realtà parlare di fondi europei. Non esiste un fondo dell’Ue che si chiami “Fondo per lo sviluppo e la coesione” ma esiste un “Fondo per lo sviluppo regionale” (Erdf), che è il più consistente tra quelli che riceve l’Italia.

Come si vede nel sito della Commissione europea dedicato ai fondi strutturali, di circa 31 miliardi stanziati dall’Erdf per l’Italia ne erano stati spesi 15 miliardi abbondanti, il 49 per cento. Anche se guardiamo agli altri fondi, i dati citati da Draghi non tornano. Abbiamo contattato il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica per avere un chiarimento e siamo in attesa di risposta. Al momento risulta che Draghi abbia fatto un’affermazione del tutto errata.

Aggiornamento: Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica ci ha comunicato che i dati citati dal presidente Draghi provengono dal Bollettino statistico – Monitoraggio Politiche di coesione programmazione 2014-2020 (situazione al 31 dicembre 2020) Ministero dell’Economia e delle finanze Mef). Qui in effetti ritroviamo i dati e le percentuali citate da Draghi. Due osservazioni sono però necessarie: in primo luogo, i dati contenuti nel Bollettino sono parziali, in quanto fanno riferimento solo alle risorse conteggiate dal Sistema nazionale di sorveglianza (Snm), che sono un sottoinsieme del totale. In secondo luogo, anche al netto di questa precisazione rimane poco chiaro il motivo della discrepanza. È possibile – ma siamo in attesa di conferma da parte del governo – che il servizio studi della Camera abbia conteggiato come spesi i soldi programmati e impegnati, mentre il Mef solo quelli programmati, impegnati e materialmente pagati. Alla luce di questi sviluppi, possiamo dire che l’affermazione di Draghi faccia perno su fonti parziali ma che, al netto di questa debolezza, sia corretta.

Le opere pubbliche incomplete

«Nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche. In oltre due terzi dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. Il 70 per cento di queste opere non completate era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi»

Come abbiamo scritto in una nostra analisi in passato, è vero che – in base all’aggiornamento sulle opere pubbliche incompiute pubblicato dal Mit il 5 luglio 2018 – queste ammontassero a 647 a fine 2017 (in calo rispetto al precedente rilevamento).

Nel catalogo open data dedicato alle opere incompiute è possibile consultare nella tabella la percentuale di avanzamento dei lavori.

Di 647 opere incomplete, 477 risultano avere una percentuale di avanzamento inferiore al 50 per cento, cioè il 73,7 per cento: quasi i tre quarti, anche più dei due terzi citati da Draghi.

Le opere incomplete situate nelle regioni del Sud sono poi 436, cioè il 67,4 per cento del totale. Una percentuale vicina a quella citata da Draghi.

Se sommiamo il valore delle opere incompiute nelle regioni del Sud otteniamo 1,37 miliardi circa, ancora meno dei 2 miliardi citati da Draghi. Bisogna però anche considerare che quasi 1,87 miliardi di opere incompiute non sono attribuiti alle regioni ma al Mit e risultano in effetti in parte situate al Sud. Ad esempio, 290 milioni di euro sono relativi alla costruzione della Diga di Gimigliano sul fiume Melito, in provincia di Catanzaro. Aggiungendo le altre opere attribuite al Mit e realizzate al Sud – di importo inferiore – si arriva in effetti a circa 2 miliardi di euro.

Ricapitolando: è vero che le opere pubbliche incompiute, nel 2017, fossero 647. È vero che nei due terzi dei casi (anzi, quasi nei tre quarti) non fosse stato raggiunto il 50 per cento di avanzamento dei lavori. È poi vero che il 70 per cento circa fosse localizzato al Sud e che avesse un valore di circa due miliardi di euro.

In conclusione

Abbiamo analizzato tre dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi a proposito del Mezzogiorno.

Draghi ha ragione – secondo i numeri che riporta Banca d’Italia – quando dice che il Pil pro capite dei residenti al Sud è passato dal 65 per cento al 55 per cento di quello dei residenti al Centro Nord, dagli anni Settanta ad oggi.

Il presidente del Consiglio ha poi ragione sul Fondo di Sviluppo e Coesione, ma servono alcuni caveat: la sua affermazione è corretta se guardiamo ai dati, parziali da un lato ma più dettagliati dall’altro, del Mef. I dati contenuti nel sito dedicato al Fondo in questione e in un approfondimento del servizio studi della Camera, più vasti ma meno approfonditi, davano invece numeri e percentuali diversi.

Draghi infine ha ragione sulle opere incompiute: 647 a fine 2017, di cui i due terzi (anzi, i tre quarti) non sono state completate nemmeno per metà, di cui il 70 per cento al Sud, per un valore di circa due miliardi di euro.

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