Il 26 ottobre è uscito per Piemme Un amore chiamato politica, il primo libro dell’attuale ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio. Lo abbiamo subito letto per individuare e analizzare le frasi che si basano su fatti o numeri verificabili, come facciamo ogni giorno con le dichiarazioni dei politici. In passato abbiamo già pubblicato il fact-checking dei libri scritti, tra gli altri, dagli ex presidenti del Consiglio Matteo Renzi (nel 2019, 2020 e 2021) ed Enrico Letta, dalla presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni (in un fact-checking diviso in due parti) e dal leader di Azione Carlo Calenda.

Ma a differenza di quanto avvenuto per questi politici, abbiamo scoperto che nel libro di Di Maio le frasi verificabili si contano sulle dita di una mano e non sono su temi particolarmente scottanti nel dibattito politico attuale. Per esempio, Di Maio ha ragione quando scrive che in Italia ci sono poco più di «16 milioni di pensionati» (dati Istat relativi al 2019); che siamo il «secondo Paese più anziano del mondo» (con il 23 per cento di popolazione over 65, dietro al Giappone); che nel primo trimestre del 2021 le esportazioni italiane hanno registrato un «record storico» (ne avevamo scritto in un altro fact-checking); e che la Cina è il primo partner commerciale della Germania.

In generale, in Un amore chiamato politica Di Maio sembra aver scelto di prediligere il racconto di aneddoti sulla sua carriera politica, dall’ingresso alla Camera nel 2013 in poi, piuttosto che celebrare – numeri alla mano – il suo lavoro all’opposizione (come fatto da Meloni nel suo libro) o al governo (come invece fatto da Renzi).

Pochi numeri, molti aneddoti

Prendiamo per esempio il decreto “Dignità” e il reddito di cittadinanza. In passato abbiamo più volte spiegato come il M5s e lo stesso Di Maio abbiano esagerato i risultati raggiunti da questi due provvedimenti. A volte facendo grande confusione con le percentuali, altre volte dando messaggi fuorvianti su effetti occupazionali che nella realtà sono stati piuttosto modesti, alla prova dei fatti.

Sul decreto “Dignità” – approvato a luglio 2018 – Di Maio si è limitato a scrivere nel libro che dopo la sua approvazione iniziò a «dubitare» degli effetti positivi del provvedimento. Ma che ritrovò la «forza» quando un anno dopo l’Italia «registrò un tasso di occupazione del 59 per cento, il valore più alto, secondo l’Istat, da quando erano disponibili le serie storiche, ovvero dal 1977». Come abbiamo spiegato in passato, questi numeri sono corretti. Ma se all’epoca – siamo a inizio 2020 – il M5s cavalcò molto questa statistica, esagerando i meriti del decreto “Dignità”, nel libro di Di Maio il dato viene riportato in maniera piuttosto neutrale, senza enfatizzare esclusivamente la portata del provvedimento.

Anche sul reddito di cittadinanza il ministro degli Esteri non ha dato spazio a numeri, magari travisandoli, come spesso fatto in passato dal M5s, per esempio sugli effetti sulla povertà o sulle assunzioni dei percettori del sussidio. Di Maio si è limitato anche qui a scrivere che «senza il reddito di cittadinanza più di 3 milioni di persone durante il lockdown non avrebbero nemmeno avuto un pasto». Non possiamo sapere che cosa sarebbe successo se ci fosse stato un lockdown senza reddito di cittadinanza (la frase di Di Maio ha tutta l’aria di essere un’iperbole), ma il numero dei «3 milioni» fa molto probabilmente riferimento ai quasi 3 milioni di beneficiari che oggi percepiscono il reddito e la pensione di cittadinanza. A marzo 2020 – mese in cui è stato introdotto il lockdown – erano un po’ di meno, circa 2,6 milioni.

Proprio a riguardo del reddito di cittadinanza, nel libro Di Maio ha invece ammesso l’«errore» di essersi affacciato a settembre 2018 da un balcone di Palazzo Chigi per annunciare l’“abolizione della povertà”. «Potrei cercare di motivare quell’errore, ma a quale fine? Quella frase era anche semanticamente innaturale. Non fu una mia idea, ma questa non vuole essere una giustificazione», ha scritto Di Maio. «La povertà non si può abolire, la povertà non si può giudicare, va solo ascoltata e accolta, con sobrietà d’animo. Sbagliai, punto. Ma la gente sbaglia, cresce, cambia. Deve esserci spazio per farlo».

L’errore dell’impeachment

A proposito di errori, l’ex capo politico del M5s ha dedicato un capitolo intero anche alla sua richiesta di impeachment – un «errore» – contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fatta a maggio 2018 durante le fasi concitate nella formazione del governo Conte I. «Già mentre pronunciavo quelle parole compresi che c’era qualcosa che non andava. Non erano mie», ha scritto Di Maio, commentando la diretta Facebook con cui aveva annunciato la richiesta di impeachment. «Non era mio lo spirito, lo stile. Ma il dado ormai era tratto. Non si poteva più tornare indietro».

Di quei giorni Di Maio ha ricordato anche di aver dovuto rinunciare alla possibilità di diventare presidente del Consiglio, nonostante il 32,6 per cento delle preferenze prese a marzo 2018 dal M5s alle elezioni politiche. «Quando penso alla rinuncia alla premiership, penso sempre a che Paese strano siamo. In tutta Europa il partito che arriva primo alle elezioni esprime il capo del governo», ha scritto Di Maio, citando i casi di Spagna, con il primo ministro socialista Pedro Sanchez, e della Germania, con la cancelliera Angela Merkel.

In realtà anche in Italia il Movimento 5 stelle ha poi espresso il capo del governo, con Giuseppe Conte, e più in generale non è vero che in tutti i Paesi europei chi guida la coalizione vincente alle elezioni poi diventa primo ministro. Come abbiamo spiegato a febbraio scorso, ci sono eccezioni, come la Finlandia di Sanna Marin o il Belgio di Alexander De Croo. Al di là di questo, e anche qui ne abbiamo scritto in diverse occasioni, è bene ricordare che in Italia la scelta del presidente del Consiglio spetta al presidente della Repubblica, che tiene conto dei risultati delle elezioni e delle indicazioni dei gruppi parlamentari.

I rapporti con gli altri politici

Nel suo libro Di Maio ha anche raccontato una serie di aneddoti sul rapporto con gli altri politici. Per esempio, ritornando sulla crisi di governo che nell’estate del 2019 fece cadere il governo Conte I, il ministro degli Esteri ha duramente criticato il leader della Lega Matteo Salvini, scrivendo: «Solo oggi posso dire di aver governato 14 mesi con una delle persone più false che abbia mai conosciuto, ma non la più falsa».

Non sono mancate neppure le critiche nei confronti di Matteo Renzi, mentre la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni non viene mai menzionata nel libro. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini sembra invece essere il politico del Partito democratico più stimato da Di Maio, che lo definisce un «ottimo presidente» e un «grande lavoratore».

In diverse parti del libro l’ex capo del M5s ha anche raccontato il suo rapporto – «sempre stato molto strano» – con il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, che durante la campagna elettorale per le europee del 2019, negli studi di Mediaset, lo avrebbe fermato per stringergli la mano e dirgli: «Ciao Di Maio, volevo dirti che sei davvero bravo».