Il 23 gennaio 2019 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha partecipato all’incontro annuale del World Economic Forum a Davos, in Svizzera. Durante l’evento ha tenuto un discorso in cui ha affrontato numerosi temi parlando dell’andamento del Pil, del reddito di cittadinanza, della riforma del sistema pensionistico, dell’importanza che ha per il governo M5s-Lega l’istruzione e più in generale delle misure fino a questo momento realizzate dall’esecutivo.

Sono state riportate delle informazioni corrette?

Abbiamo tratto dal discorso di Conte alcune dichiarazioni verificabili: ecco il nostro fact-checking in cinque punti.

#1: «Nel terzo trimestre del 2018, il PIL è ancora 5 punti percentuali al di sotto del picco massimo di questi anni, registrato nel 2008».

Per avere dati sul Prodotto interno lordo (Pil) confrontabili tra i diversi anni, e che tengano conto degli effetti dell’inflazione, si utilizzano di solito i cosiddetti valori “a prezzi concatenati”. In questo modo si prende in considerazione un anno di riferimento (nel nostro caso il 2010) e, in base a quello, si ricalcolano i prezzi come se fossero rimasti invariati.

I dati Eurostat relativi al 2008 mostrano come nel secondo trimestre sia stato effettivamente raggiunto il «picco massimo» del Pil italiano di cui parla il premier Conte. Confrontando, poi, i trimestri del 2008 con quelli del 2018 emerge come vi sia una differenza di sei punti percentuali tra il valore registrato nel secondo semetre del 2008 (106,5) e il terzo trimestre del 2018 (100,5). I dati, quindi, danno ragione a Conte.

#2: «Il Reddito di Cittadinanza fornisce un sostegno al reddito a circa 1,7 milioni di famiglie povere, che corrispondono a 5 milioni di persone, in cambio della loro disponibilità a lavorare o ad acquisire le competenze necessarie per essere in grado di farlo in futuro».

Il Contratto di governo e i diversi rappresentanti delle istituzioni chiamano la proposta più celebre del governo M5s-Lega utilizzando l’espressione “reddito di cittadinanza” quando, in realtà, sarebbe più corretto parlare di un “reddito minimo garantito”: cioè di un sussidio economico elargito a patto che si rispettino alcuni requisiti e condizioni.

Ad ogni modo, il 17 gennaio 2019 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge che introduce il “reddito di cittadinanza” (RdC), che verrà istituito a partire da aprile 2019.

La platea di beneficiari comprende i cittadini italiani e stranieri, comunitari ed extracomunitari residenti in Italia da almeno dieci anni (di cui gli ultimi due in modo continuativo). È inoltre richiesto di essere in possesso di un Isee inferiore a 9.360 euro, un valore del patrimonio immobiliare non superiore a 30 mila euro, un valore del patrimonio mobiliare che varia a seconda della composizione del nucleo familiare e un reddito inferiore a seimila euro moltiplicati per un coefficiente collegato alla composizione del nucleo familiare.

Come evidenziato in una nostra precedente analisi, l’obiettivo del reddito di cittadinanza proposto dal M5s è far sì che ogni famiglia possa ricevere un sussidio per integrare il proprio reddito e portarlo al livello di povertà relativa. All’interno del report La povertà in Italia stilato dall’Istat e condiviso a giugno 2018, su dati del 2017, viene riportato le famiglie che si trovano a vivere in una condizione di povertà assoluta siano 1 milione e 778 mila, per un totale di 5 milioni e 58 mila individui.

Giuseppe Conte, dunque, riporta correttamente il dato ufficiale più recente – quello del 2017 – e le informazioni presenti all’interno del decreto legge.

#3: «Vorrei rassicurare tutti coloro che sono preoccupati della sostenibilità di lungo periodo del nostro sistema pensionistico. Il sistema rimane completamente sostenibile perché coloro che scelgono di andare in pensione prima finiranno per ricevere una somma inferiore e perché questa riforma si applica solo per tre anni».

Il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2019 introduce (artt. 14 e ss.), in via sperimentale dal 2019 al 2021, il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni. Come riportato dunque dal premier Conte, la misura viene effettivamente applicata per tre anni.

Per quanto riguarda la differenza nell’assegno pensionistico in caso di pensione anticipata, si è recentemente espresso, fornendo alcuni dati, il presidente dell’Inps Tito Boeri. Durante un’audizione presso la Camera Lavoro alla Camera ha illustrato quale sarebbe la perdita per un lavoratore che decidesse di andare in pensione adesso con la quota 100 rispetto all’ipotesi di continuare a lavorare fino all’età di 67 anni.

Boeri ha dichiarato (min. 36’00”): «Sono calcoli piuttosto complessi. Se pensiamo ad una persona che aveva il retributivo fino al 2011, e quindi ha soltanto 7 anni di contributivo, e che ha una retribuzione attorno ai 40 mila euro all’anno (…) molto approssimativamente noi possiamo ipotizzare che se questa persona avesse lavorato cinque anni in più avrebbe potuto maturare una pensione di circa 500 euro al mese in più».

Dunque, secondo quanto riportato dal presidente dell’Inps, vi è effettivamente una riduzione dell’assegno pensionistico per coloro che decidono di andare in pensione prima.

#4: «Il sostegno del merito porterà la nostra attenzione sull’istruzione, e in particolare su quella della prima infanzia, che molti scienziati sociali ora considerano come la fase cruciale della vita in cui si decide il destino di una persona».

All’interno del Contratto di governo firmato da M5s e Lega, un intero capitolo è dedicato al tema dell’istruzione. A proposito della scuola della prima infanzia, l’impegno preso è quello di intervenire sui titoli di studio necessari per insegnare nei diversi istituti e la lotta contro il precariato dei docenti. Ad oggi, le misure presenti all’interno della legge di Bilancio 2019 riguardano soprattutto la scuola primaria e il mondo universitario; c’è poi anche l’estensione del “bonus bebé” che, tra le altre cose, concede anche un supporto economico per la frequenza dell’asilo nido.

Nello specifico il premier sottolinea come vi sia un nesso, secondo differenti studi realizzati da scienziati sociali, tra l’educazione della prima infazia e le scelte di vita successive.

Un articolo de Lavoce.info pubblicato ad aprile 2017 aveva affrontato il tema sottolineando come, secondo alcuni studi, vi fosse effettivamente un legame tra la frequenza dell’asilo nido e lo svilippo delle abilità dei bambini.

Una dele prime ricerche a riguardo è stata realizzata negli anni Settanta negli Stati Uniti: si tratta del Carolina Abecedarian Project. Il progetto, rivolto a bambini di età inferiore ad un anno e provenienti da famiglie svantaggiate, aveva dimostrato come gli infanti che avevano partecipato alle attività proposte avessero una maggiore probabilità di concludere il percorso di studio prefissato dalla scuola secondaria e meno probabilità di ripetere l’anno scolastico. Erano, inoltre, più propensi a intraprendere un percorso universitario.

Esistono, però, anche recenti ricerche che dimostrano come l’effetto positivo sia limitato solamente al breve periodo. Ad esempio, una ricerca realizzata in Tennessee ha valutato dei risultati positivi solo sui successivi cinque anni di frequenza scolastica dopo la conclusione della scuola dell’infanzia. Sulla stessa linea è anche uno studio spagnolo secondo cui, tra i bambini che frequentano una scuola dell’infazia, vi sia un effetto positivo sui risultati scolastici solo fino all’età di quindici anni.

#5: «Abbiamo iniziato a rivedere la regolamentazione economica praticamente in qualsiasi materia: dalla normativa sulla crisi d’impresa, al codice degli appalti, alla riforma del codice e del processo civile».

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sottolineato come alcuni interventi inerenti la «regolamentazione economica» siano in corso. Nello specifico, nomina la normativa sulla crisi d’impresa, il codice degli appalti e la riforma del codice e del processo civile.

Scopriamo, punto per punto, quale è lo stato di avanzamento dei lavori dell’esecutivo M5s-Lega.

Il 10 gennaio 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che introduce il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Come riporta il comunicato n°37 del Consiglio dei Ministri, il nuovo Codice «ha l’obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con due principali finalità: consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento di impresa dovuto a particolari contingenze».

Tra le principali novità introdotte vi è una maggiore attenzione alle situazioni di crisi e al sistema di allerta delle stesse, così da risanare le imprese e dare priorità al superamento delle difficoltà e da assicurare continuità alle aziende, l’introduzione di un apposito “sistema di allerta” della possibile crisi, la riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali e la loro semplificazione.

Anche per quanto riguarda il codice degli appalti è corretto affermare che il governo Conte ha introdotto delle novità. Infatti, l’art. 1 comma 912 della legge di Bilancio 2019 apporta delle modifiche rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo 50/2016. L’affidamento diretto, ad esempio, viene autorizzato – in seguito alla consultazione di tre operatori – per i lavori il cui valore è compreso tra i 40 mila euro e i 150 mila euro. Precedentemente, invece, era legittimato solo per gli affidamenti inferiori ai 40 mila euro.

Inoltre, sono state introdotte delle novità anche per quanto riguarda le procedure negoziate. Vengono infatti apportate delle modifiche al precedente art. 36 del decreto legislativo 50/2016. Grazie alla legge di Bilancio 2019, è possibile attuare delle procedure negoziate per gli appalti il cui valore è compreso tra i 150 mila euro e i 350 mila euro, previa consulatazione di cinque soggetti.

Per quanto riguarda, infine, la riforma del codice e processo civile il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha dichiarato, ad ottobre 2018, di essere al lavoro su una riforma. Al momento, però, non se ne conoscono i contenuti.

In conclusione

Guardando il quadro nel suo insieme, Giuseppe Conte ha riportato a Davos dati e informazioni che possiamo, al netto di qualche imprecisione, considerare corrette sull’operato dell’esecutivo che presiede.